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In un pezzo del 18 marzo 2020 pubblicato su Scenarieconomici.it (“Una Nuova Lira di Stato sarebbe perfettamente legale anche rispetto ai trattati”)
abbiamo cercato di spiegare – speriamo in modo chiaro ed esaustivo, di
certo giuridicamente basato – perché è possibile una nuova moneta di
Stato. E non tra un anno o due, magari dopo essere usciti dall’euro.
Domani mattina, e rimanendo nell’euro. Quindi, nel pieno rispetto dei
trattati vigenti. In effetti, molte delle idee maturate fino ad oggi in
ambito politico (come i minibot e i certificati di credito fiscale), per
quanto condivisibili o addirittura apprezzabili, muovevano tutte da un
presupposto erroneo: e cioè che, “juribus” sic stantibus, una moneta nazionale in aggiunta all’euro (gelosamente “amministrato”, e somministrato, dalla BCE) non fosse “legale”.
Oggi, alla buon’ora, il granitico consenso a questa sballata “mappa
del mondo” si sta sgretolando. Vediamo, dunque, di approfondire – tra
tutte le argomentazioni già in precedenza illustrate – quella decisiva.
Si tratta di una norma, e non di una norma qualsiasi: è l’articolo 117
della nostra Costituzione, dove si legge che: “Lo stato ha legislazione
esclusiva in materia di (…): moneta, tutela del risparmio e mercati
finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario”.
Ora, come noto, nel nostro ordinamento vige il principio
della gerarchia delle fonti. Un sistema piramidale al vertice del quale
troviamo la Suprema carta e poi, a seguire, le fonti primarie (leggi,
decreti legge, decreti legislativi) e le fonti secondarie (decreti,
regolamenti etc.). La regola aurea è che le fonti subordinate devono
conformarsi a quelle sovraordinate. Quindi, un regolamento non può
contravvenire a una legge e una legge non può contravvenire a una norma
costituzionale.
A questo punto, dobbiamo chiederci dove si collocano i trattati
europei in questo contesto. Secondo una prima interpretazione, ai
trattati deve essere attribuita la stessa “forza” giuridica delle leggi
con cui essi vengono ratificati. Onde per cui, se un trattato è
ratificato con una legge ordinaria avrà la forza di una legge ordinaria.
Se viene ratificato con una legge costituzionale, avrà forza di legge
costituzionale. Tuttavia, nel 2001, con la legge costituzionale nr. 3
del 18 ottobre (la stessa che ha attribuito alla Repubblica l’esclusiva
in materia di “moneta”) nel medesimo, e succitato, articolo 117 venne
inserito un “distinguo”; e cioè che lo Stato esercita la potestà
legislativa “nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali”.
Ebbene, secondo l’interpretazione maggioritaria invalsa in dottrina e
in giurisprudenza, tale modifica ha attribuito ai trattati l’efficacia
di “norme interposte”, quindi con una posizione “intermedia” tra
Costituzione e leggi ordinarie. Con sentenze nr. 348 e 349 del 24
ottobre 2007 il Giudice delle Leggi ha stabilito che i trattati, benchè
rubricabili al rango di norme interposte (e quindi superiori alla legge
ordinaria) non assurgono, però, al rango di norme costituzionali ed è
necessario che siano conformi alla Costituzione: “In occasione di ogni questione nascente da pretesi contrasti tra norme interposte e norme legislative interne, occorre verificare congiuntamente la conformità a Costituzione di entrambe e precisamente la compatibilità della norma interposta con la Costituzione e la legittimità della norma censurata rispetto alla stessa norma interposta”.
Un tanto premesso, andiamo ora a verificare le date, perché le date,
nel diritto, sono importanti. Una norma non “cade dal cielo”, ma si
inserisce in un continuum temporale fatto di norme che la
precedono e di altre che, prevedibilmente, la seguiranno. E quindi, essa
va interpretata – per essere rettamente intesa – secondo una logica
ermeneutica “di sistema”. Insomma, per capire cosa il legislatore abbia
inteso davvero “dire” innovando una norma (come l’art. 117) bisogna
“incorniciare” il nuovo dettato normativo all’interno del contesto
storico di riferimento.
Orbene, quando l’articolo 117, nell’ottobre 2001, attribuisce allo
Stato l’esclusiva in materia di “moneta”, il trattato di Maastricht è
già stato stipulato (7 febbraio 1992), l’euro è già a regime sui mercati
finanziari come moneta scritturale (1 gennaio 1999) mentre le banconote
e le monetine entreranno, di lì a pochissimo, nelle nostre tasche (1
gennaio 2002). Quini, il nostro legislatore sa benissimo che l’Unione ha
l’esclusiva in materia di “politica monetaria” (articolo 3 di
Maastricht) e sa anche che in Europa le uniche “banconote” a corso
legale sono quelle in euro la cui emissione può essere autorizzata solo
dalla BCE (articolo 106 del Trattato della Comunità Europea).
Ergo, l’articolo 117 della Costituzione non solo ha una forza
giuridica superiore ai trattati, per quanto anzidetto, ma può essere
interpretato in una sola, coerente, razionale e logica maniera: e cioè
che lo Stato conserva la potestà legislativa di emettere “biglietti di
Stato”, cosa diversa e alternativa rispetto alle “banconote” di cui
parla l’articolo 106 TCE poi trasfuso nell’articolo 128 TFUE.
Un’ultima annotazione, sempre di carattere “cronologico”. Il 13
dicembre 2007 viene firmato il Trattato di Lisbona che entra in vigore
il primo dicembre 2009. Ebbene, quel trattato non solo è gerarchicamente
subordinato alla Costituzione e, quindi, anche all’articolo 117, ma
viene stipulato anche “dopo” la riforma dello stesso articolo 117. Esso
fa confluire nell’articolo 128 il contenuto dell’articolo 106 del TCE
(Trattato sulla Comunità Europea) in materia di BCE e di banconote. Non
vi è alcun dubbio che lo Stato italiano lo abbia ratificato solo nella
misura in cui (e per la dirimente ragione che) lo ha ritenuto pienamente
conforme al contenuto dell’articolo 117 della Costituzione e della
esclusiva potestà legislativa attribuita alla Repubblica in materia di
moneta.
Quindi, l’articolo 128 laddove attribuisce il monopolio – in materia
di corso legale di “banconote” – alla BCE, non può per ragioni
giuridiche, storiche, ermeneutiche e di semplice buon senso aver
usurpato il potere sovrano dello Stato italiano di battere moneta. Se
poi temete che questa lettura sia troppo ardita e siete tentati di
ripiegare su soluzioni meno “eretiche” (ma anche meno radicali ed
efficaci) come minibot, CCF e affini, correte a firmare la petizione
lanciata il 31 marzo 2020 dal Vice Presidente Emerito della Corte
Costituzionale, nonché presidente della associazione “Attuare la
Costituzione”, Paolo Maddalena. Insomma, non ci sono più alibi, signori.
Se, d’ora in avanti, non eserciterete questo potere costituzionalmente
garantito non è perché “non potete” farlo. È perché “non volete” farlo.
Avv. Francesco Carraro
www.avvocatocarraro.it
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