Tra le attività produttive che si sono fermate per ultime, e quelle che ripartiranno tra le prime, ci sono i cantieri.
A
più voci i governatori delle regioni del Nord Italia, hanno premuto sul
Governo perché si prendesse una decisione chiara e rapida sulla
riapertura delle opere pubbliche anche prima del 4 maggio, e la conferma
ufficiale, è arrivata ieri sera dalla conferenza stampa di Conte.
Preparativi già da domani, per la ripartenza il 4 maggio.
Perché
tanta fretta? Se i governatori si rincorrono nel parlare di necessità
di riavviare i cantieri per “riprendere” le opere pubbliche come
l’edilizia scolastica (e sappiamo bene in che stato vergognoso versano
gli edifici scolastici da decenni, non da ieri!), o addirittura
l’edilizia residenziale pubblica (bloccata, ferma, svenduta da ormai un
ventennio di politiche antipopolari e di distruzione del welfare
pubblico!), quello che in verità si vuole riavviare velocemente è la
catena della speculazione su cui i grandi costruttori vivono, le grandi
opere stradali, ferroviarie e infrastrutturali.
Ricordiamo
bene le grandi opere che con lo Sblocca Cantieri tra il 2019 e i
primissimi mesi del 2020 presero una nuova spinta vitale, come la
Pedemontana lombarda, la bretella Sassuolo-Campogalianico, i passanti di
Bologna e Firenze e il Mose di Venezia, l’alta velocità Brescia Padova,
i tram per turisti di Bologna, le bretelle , ecc (guarda caso tutte
opere concentrate per lo più nel Nord Italia, trampolino per l’Europa).
Un
mercato quello degli appalti pubblici legati alla realizzazione di
queste opere, che vale circa 120 miliardi e che ora grazie al nuovo
codice degli appalti, al Decreto Genova, e al nuovo decreto del Mit
della scorsa settimana, apre la strada ad appalti semplificati e
deregolamentati in perfetta linea con le recenti leggi regionali che
cancellano la pianificazione territoriale e danno il via libera alla
progettualità privata.
Nel
marasma del Coronavirus, infatti, il 18 Aprile scorso è stato approvato
dal Governo il modello futuro con cui queste grandi opere saranno
gestite, sdoganando con il plauso degli speculatori, il modello Genova,
basato di fatto sull’affidamento dei “pieni poteri” ad un commissario,
che può prendere decisioni con carattere di urgenza (tipico delle
condizioni emergenziali come fu nel caso del Ponte Morandi) anche in
momenti di ordinaria amministrazione e pianificazione territoriale.
Sono
21 i commissari nominati nel decreto del Mit del 18 Aprile scorso, per
il riavvio di 6 tratte autostradali e 8 ferroviarie per un giro di
affari di oltre 20 miliardi.
Un
commissario straordinario per opera quindi, che avrà il potere di
assumere ogni determinazione ritenuta necessaria per l’avvio o alla
prosecuzione dei lavori, anche sospesi, e di provvedere all’eventuale
rielaborazione e approvazione dei progetti non ancora appaltati.
Un
commissario che potrà percepire una parte fissa di massimo 50mila euro
annue, più una provvigione di altri 50mila euro annui in base agli
obiettivi realizzati.
Un
commissario che potrà scavallare ogni autorizzazione, parere, visto e
nulla osta agli enti competenti perché per procedere basterà l’accordo
con i presidenti di regioni e province.
L’unico
vincolo rimanente, oltre a quelli europei e antimafia (le cui procedure
sono già state comunque semplificate nel nuovo codice degli appalti!)
sarà quello di ottenere l’autorizzazione ambientale, i cui termini per
il silenzio assenso saranno comunque dimezzati.
Insomma
questa è l’Italia che ci aspetta dal 4 maggio in poi, con la ripresa
delle opere di cementificazione, devastazione e saccheggio del
territorio in nome del profitto, come se questa crisi sanitaria non
avesse già abbastanza palesato lo scontro in atto tra capitale e natura,
e la necessità di invertire la rotta del paradigma dell’attuale sistema
produttivo in modo radicale.
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