Nel 1909 Life
pubblica un cartoon dove si vede lo scheletro di un grattacielo –
colonne e solai, senza pareti. Su ognuno dei piani c’è una villetta, con
giardino, alberi, cuccia del cane, capanno degli attrezzi, eccetera.
All’82° piano si vede persino un asino affacciarsi dalla porta di una
stalla.
“Acquista un accogliente cottage nei nostri lotti costruiti in acciaio, a meno di un miglio sopra Broadway” – si legge in una didascalia. “Solo dieci minuti in ascensore, e avrai tutti i comfort della campagna, senza i suoi svantaggi – Celestial Real Estate Company”.
All’Expo 2000 di Hannover, ispirandosi alla vignetta di Life, lo studio MVRDV costruisce il padiglione Olandese, con il motto «L’Olanda crea spazio».
Il riferimento è al costante sforzo dei Paesi Bassi di rubare terra al
mare. Si cerca di sublimare la natura, portandola al terzo piano di una
struttura di acciaio e vetro.
Poi
è la volta di Daniel Libeskind, con il progetto del Madison Square Park
Tower, e di UCX Architects con il progetto dell’Urban Cactus di
Rotterdam, e di Stefano Boeri, che progetta e realizza a Milano il Bosco
Verticale.
La
torre, simbolo di forza, e strumento di controllo del territorio, ha
sempre proiettato l’immagine del potere. Sino a quando i post-moderni
non hanno deciso di attaccarla e decostruirla. Essa suscita ancora
stupore e meraviglia.
Il
suo enigma, che suggerisce svariate interpretazioni, senza evocarne
direttamente nessuna, non rimanda a un potere che ha personalizzato e
delegato il controllo al singolo, come in quel regno panottico
favoleggiato da Bentham e messo a punto da Foucault, e oggi risorto in
Immuni.
Ma
rimanda al fatto che i potenti ci hanno piantati in asso. Siamo
storditi, facciamo fatica a distinguere il fuori dal dentro, come in una
casa degli specchi.
Siamo
nell’Hotel Bonaventura di Los Angeles, che non proietta l’immagine di
chi ci sta dentro, il sovrano. Riflette l’immagine di ciò che è fuori,
alterando la percezione dei margini, illudendoci di stare dentro, quando
siamo fuori – e viceversa.
Il
mondo si riflette nei nostri appartamenti sempre più piccoli, in
stanzette modulari, ricomponibili a piacere, nelle quali non riusciamo a
isolarci, a trovare un buco dove piazzare il dispositivo per lo smart
working, per non dover sentire a tutte le ore nostro padre sintonizzato
su rete 4, o nostra madre che manda vocali chiedendo alle nipoti cos’è
Neet, Choosy e Bamboccioni; dove non abbiamo lo spazio per stendere un
tappetino per svuotare la mente con due flessioni, senza essere
molestati dal gatto; dove c’è solo una finestra che si affaccia su un
palazzone in cui il vicino, alternandosi con il cane, va avanti e
indietro, mostrando segni evidenti di esaurimento nervoso, quando non
piange sui pomodorini sardi e sulle cipolle, sulla lattuga e sul
prezzemolo del suo orto-urbano, surrogato di campagna, attrezzano sul
balcone.
Ci
manca una prospettiva lunga, vedere l’orizzonte, affacciarsi sul
niente. Ci manca andare a zonzo, stare da soli, non sentire voci, vedere
volti, essere toccati.
Soprattutto,
ci mancano altri 50 metri quadri, per decomprimere la tensione
familiare, le liti inevitabili. Ci mancano quei pochi metri che
impedirebbero a questo ménage à trois di finire a schifìo.
In
Italia, sopratutto al Nord Ovest, i giovani non riescono a vivere da
soli non perché non hanno studiato, o perché non hanno un lavoro, o sono
mammoni. E non si sentono oppressi da un potere invisibile,
customizzato, individualizzato.
Si
sentono oppressi dalle solite vecchie magagne. Sentono che non possono
fare un mutuo, perché hanno un contratto di lavoro a termine; perché
hanno paghe basse, e non riescono a tirare su quel 10% di anticipo
chiesto dalla banca; perché non hanno testa per sé – “solo computer e
smartphone”, dice la mamma – disponibili h24, per clienti che hanno
sempre un dispositivo che non si connette; o, se si connette, si collega
a un sito di speed date, tirandosi dietro un’intera progenie di virus –
a tutte le ore.
Perché
anche quando riescono a comprarla, la benedetta casa, e la comprano, si
impegnano, per tutta la vita, a lasciare alla banca metà dello
stipendio, solo per la rata del mutuo.
Secondo
l’ultimo rapporto immobiliare (2019), settore residenziale, redatto
dall’Agenzia delle Entrate in collaborazione con l’ABI, nel 2018 in
Italia sono state vendute abitazioni per un totale di oltre 61 milioni
di metri quadrati, con una superficie media per unità abitativa pari a
105,9 metri quadrati. Nel Nord Ovest, la media scende a 89,8 mq, 0,7 mq
in meno rispetto al 2017.
Si
tratta ovviamente di una media. Il taglio di abitazione maggiormente
compravenduto, anche nel 2018, è stato quello compreso tra 50 e 85 mq.
Il tasso di crescita maggiore si è registrato nella classe dimensionale
più bassa (+9,5% per gli immobili fino a 50 mq).
Rispetto
al 2017, sempre nei capoluoghi del Nord Ovest, la compravendita di
abitazioni fino a 50 mq è aumentata del 16%. Non parliamo di bruscolini.
Con un fatturato di 34 miliardi, il Nord Ovest assorbe il 36,5% di
tutto il mercato nazionale. E proprio nel Nord Ovest, le case più
comprate sono proprio quelle nella fascia tra ai 50 e gli 85 mq.
Sul
totale delle abitazioni acquistate da persone fisiche, quelle favorite
da mutuo, hanno riguardato circa la metà degli scambi.
Cosa fare di fronte a questi dati?
Se
lo chiede anche la Banca d’Italia, in un rapporto congiunto con il
SIDIEF. Se i giovani italiani, che sono circa dieci milioni, volessero
vivere fuori casa, di quante case avremmo bisogno? La risposta, dice la
Banca d’Italia, è che ci troviamo di fronte ad una domanda potenziale di
circa un milione di case.
Non
si tratta di abitazioni necessariamente tutte da costruire: ad esempio,
solo nei capoluoghi ci sono 1.8 milioni di case vuote, escluse le
seconde case, escluse quelle nei piccoli centri.
L’offerta
non manca – dice la Banca -, si deve però sciogliere il nodo del
mancato incontro fra la domanda e l’offerta. Bisogna mettere in
condizione il mercato immobiliare, nella locazione e nell’acquisto, di
poter offrire case ai giovani ristrutturando complessi importanti e
frazionandoli, realizzando delle case più piccole.
Sessanta metri quadri alla Barona (Milano) costano 200 mila euro. Dico: 60 mq commerciali.
Nel
2018, dice il rapporto dell’Agenzia delle Entrate, il tasso medio
applicato alle erogazioni per acquisto di abitazioni perde, rispetto al
2017, ulteriori 0,22 punti percentuali, portandosi al 2,17%, e segnando
un nuovo minimo dall’inizio della serie storica.
Per
comprare la casa alla Barona, un quartiere popolare, con un mutuo di
360 rate – 30 anni – bisogna lasciare alla banca 756 euro al mese, tutti
i mesi, tutta la vita. Oppure scegliere una casa da 100 mila euro
(sempre di 60 mq), e pagare 378 euro, ma spostarsi di 20 km.
Abbiamo portato il mondo in casa. Adesso non sappiamo come cacciarlo fuori. Manca solo l’asino sul balcone.
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