Nel
mezzo dell’emergenza, con i Paesi più ricchi del pianeta messi in
ginocchio dal diffondersi del Coronavirus, una piccola isola caraibica
torna agli onori delle cronache. Mentre il sistema sanitario italiano
era vicino al collasso, ad aiutare in maniera solidale e disinteressata
il nostro Paese è arrivato il personale medico e infermieristico cubano.
Ma Cuba, oggi, non deve esserci di esempio solo per questa stupenda manifestazione di solidarietà.
Di fronte a un modello economico neoliberista che mostra la sua totale
incapacità di occuparsi della salute e del benessere della stragrande
maggioranza della popolazione, diventa prioritario interrogarsi su
un’alternativa di sistema. Ospitiamo con molto piacere un’intervista a
José Luis Rodríguez, uno strettissimo collaboratore di Fidel Castro e
Ministro dell’Economia di Cuba durante gli anni difficili del Período
Especial. Ora è consigliere del Centro de Investigaciones de Economía
Mundial (CIEM), il centro studi di economia internazionale più influente
del Paese. Ha conseguito una laurea in Economia Politica presso
l’Università dell’Avana e un dottorato in Scienze Economiche presso
l’Instituto de América Latina de la Academia de Ciencias nell’ex-URSS.
L’intervista è stata raccolta il 14 febbraio 2020 da Cristina Re.
1) Il 1° gennaio 1959, Fidel
annunciò a Santiago de Cuba il trionfo della Rivoluzione e da lì è
iniziato per Cuba un incredibile processo di sviluppo economico e
sociale. Per spiegare questo processo, in uno dei suoi ultimi scritti,
contenuto in El pensamiento económico de Fidel, riporta una
frase di Fidel del 1969, il quale afferma che il socialismo non è il
risultato dello sviluppo, come pensava Marx, ma condizione necessaria
per lo sviluppo. Pensa che sia qualcosa di valido ancora oggi?
Sì, certo. Oggi il socialismo è in un
processo di ricomposizione dopo il crollo del campo socialista europeo.
Infatti, mentre si sosteneva che l’era del socialismo era già passata,
ci sono stati dal 1998/1999, in particolare in America Latina, una serie
di governi progressisti che presto o tardi hanno proclamato che il modo
per risolvere i problemi era il socialismo. È così che è nata, per
esempio, l’idea del “socialismo del XXI secolo” che Hugo Chávez ha
introdotto intorno al 2007 in Venezuela, Correa in Ecuador dopo il 2006 e
Evo Morales anche dopo quel periodo, e del resto il suo partito si
chiama “Movimento per il Socialismo”. È tuttavia un’interpretazione del
socialismo strettamente legata allo sviluppo endogeno, alla
nazionalizzazione della ricchezza disponibile nel Paese, in particolare
delle risorse naturali, al fine di avviare un processo che ha
caratteristiche molto particolari, come nel caso di Cuba. Non è un
processo in cui tutte le risorse possono essere impiegate
nell’accumulazione per aspettare che si determini la crescita e si possa
migliorare la vita della società, ma piuttosto l’intento è quello di
migliorare la vita della società e, allo stesso tempo, creare le
condizioni per un’accumulazione che porti allo sviluppo. Per questo
motivo, mentre prima si parlava di “transizione al socialismo”, oggi si
parla di “creazione delle condizioni per lo sviluppo con il socialismo”.
È questo ciò che sta facendo Cuba e, dopo il 2009, è questo il
presupposto alla base della nostra strategia. È molto importante
sottolineare la frase “creare condizioni per lo sviluppo”, poiché lo
sviluppo non può essere intrapreso senza un insieme di condizioni
essenziali. Ciò, per quello che si può vedere dall’esperienza
dell’America Latina degli ultimi 20 anni, è credibile solo se applicato
in un modello socialista.
Fidel non ha negato che un certo livello
di sviluppo del capitalismo al tempo di Karl Marx potesse creare le
condizioni per la transizione al socialismo. Tuttavia, la Rivoluzione di
Ottobre ha trionfato nel paese capitalista più arretrato d’Europa, la
Russia, e lì è stato necessario applicare misure di transizione per
creare le condizioni di una nuova politica economica. Dopo il processo
di industrializzazione, anche se sono stati commessi errori nella
collettivizzazione forzata, è stato necessario iniziare a creare le
condizioni per poter dire in seguito di essere in una fase di sviluppo.
Se esistessero condizioni come quelle che esistevano nel diciannovesimo
secolo, si potrebbe pensare che il tipo di sviluppo che Marx proponeva
per il suo periodo storico possa essere valido anche ora. È tuttavia
apparso nel tempo un nuovo fenomeno, il sistema coloniale, e lo stesso
vale oggi per il mondo sottosviluppato, che ha bisogno di anticipare una
serie di misure: non può aspettare che la dinamica della crescita
capitalistica gli consenta di svilupparsi, perché ciò non si verifica.
In modo palese, l’evidenza storica mostra che ciò non accade.
Va sottolineato, inoltre, un altro
elemento importante sollevato da Fidel: la differenza tra crescita e
sviluppo; è infatti possibile crescere senza svilupparsi. Sembra una
cosa molto ovvia, ma negli anni ’50, specialmente dopo il 1953/1954, la
teoria dello sviluppo cominciò a essere considerata come una teoria
della crescita. Fidel in La historia me absolverá espone
empiricamente, perché non lo concettualizza, i sei problemi ai quali
avrebbe dato attenzione se l’attacco alla Caserma Moncada avesse
trionfato. Vi sono due questioni economiche molto importanti:
l’industrializzazione e il problema della terra, ovvero la riforma
agraria. Vi sono inoltre quattro problemi sociali: alloggio, salute,
istruzione e lavoro. Fidel li presenta uniti, dopo si potrebbe dire che
li perfeziona, li esprime in un altro modo, però già in quel momento
dimostra di aver capito molto chiaramente che non si può lavorare solo
sul lato economico puro. Il sostegno alla rivoluzione deve venire dal
momento in cui alcuni effetti di quel cambiamento di transizione al
socialismo iniziano a mostrarsi. Un modello di sviluppo sostenibile deve
avere un impatto sociale immediato, e questa è una delle
caratteristiche che la rivoluzione cubana ha portato. Fidel lo dice nel
1960: “Questo deve essere un paese di uomini e scienza”. Era una cosa
molto audace, se consideriamo che ai tempi eravamo riusciti a conseguire
come livello di scolarità medio del paese solo il secondo anno di
istruzione primaria, ma questo è stato compreso chiaramente. In altre
parole, si può ovviamente esaminare il transito di modelli più vecchi e
modelli più recenti, ma tutti vanno nella direzione di cercare un
complemento alla pura crescita economica attraverso lo sviluppo sociale.
Per questo penso che la frase abbia un fondamento molto chiaro che si
vede teoricamente e che si vede anche in pratica in quei luoghi in cui
sono stati fatti progressi, al di là degli errori che sono stati
commessi e che sono inevitabili in qualsiasi processo rivoluzionario.
2) Il 29 agosto 1990, fu
annunciato che Cuba stava entrando in un “Periodo Speciale in tempo di
pace”. Nel dicembre 1991 l’URRS cadde e il campo socialista europeo
scomparve. Nel 1993, lei è stato nominato Ministro delle Finanze e dei
Prezzi e nel 1995 Ministro dell’Economia e della Pianificazione, carica
che mantiene fino al 2009. Quelli furono gli anni più difficili per
Cuba. Come descriverebbe la situazione del periodo? E quali sono state
le decisioni più difficili che ha dovuto prendere?
Esistono due piani di analisi. Uno è
quello della macroeconomia, ciò che succedeva a livello nazionale. Il
PIL cadde ininterrottamente dal 1989 al 1993 con un calo di quasi il 35%
(34,8%), che è niente di più e niente di meno che un terzo del valore
creato nel paese. L’impatto si vede negli anni che ci sono serviti per
recuperare quel livello. Il livello del PIL del 1989, infatti, è stato
recuperato solo nel 2004, ossia 15 anni dopo. È una perdita talmente
significativa che è difficile da immaginare. Ciò è stato accompagnato da
un calo delle importazioni del 75%, vale a dire che abbiamo quasi perso
il commercio estero. Ci fu una riduzione fino ad un quarto degli scambi
oltre a un calo della produttività e della produzione agricola.
Praticamente l’intero schema di funzionamento economico della società è
crollato. Siamo passati da una fase di sussistenza ad una fase di
resistenza con l’obiettivo di fermare la caduta, poi di recuperare il
livello del 1989 e assicurare quindi la creazione di condizioni per lo
sviluppo. Questa è un aspetto della vicenda, la macroeconomia, i grandi
aggregati. L’altro riguarda la vita di tutti i giorni.
È stato molto difficile, molto difficile.
Ci sono effetti che non appaiono nella macroeconomia chiaramente, ma
che sono stati molto negativi per la popolazione. Un esempio è il
problema dell’alimentazione: il consumo medio, nel 1989, era di 2400
chilocalorie al giorno e 56 grammi di proteine, mentre nel 1993 era di
circa 1800 chilocalorie e 46 grammi di proteine. C’era denutrizione e
alla popolazione dovevano essere somministrate vitamine, in particolare
ai bambini. In ogni caso, ciò ha avuto effetti molto gravi per la
popolazione, perché a causa della mancanza di cibo, il sistema
immunitario si è depresso e sono iniziate a comparire malattie
opportunistiche come, ad esempio, la congiuntivite emorragica o le
varianti di neurite ottica, che hanno conseguenze molto gravi, come la
sindrome di Guillain-Barré, patologie paralizzanti che spesso finiscono
per uccidere in pochi giorni. L’incidenza di queste sindromi
neurologiche, fino al 1997/1998, era di 463 per 100.000 abitanti, un
tasso molto alto. Nella vita quotidiana, ricordiamo anche che i
trasporti sono crollati quasi completamente e che negli anni tra il 1993
e il 1995 ci sono stati interruzioni di corrente. Nella capitale si
alternavano 8 ore di elettricità e 8 ore senza elettricità. All’interno
del Paese era molto peggio. L’alternanza era di 12 e 12 ore. Questo ha
colpito violentemente la popolazione e, soprattutto, ci ha costretto a
prendere misure per sopravvivere che hanno creato disuguaglianze.
Sapevamo che sarebbe stato così, ma non c’erano altre alternative. Ad
esempio, l’apertura al turismo o l’approvazione della rimessa familiare,
approvate tra agosto e settembre del 1993, introducono un cambiamento
sostanziale. Le famiglie che hanno avuto la fortuna di avere qualcuno
che inviava loro denaro dall’estero, come dicevamo, sono uscite dal
Periodo Speciale perché avevano potere d’acquisto. Tutto ciò ha creato
un tale livello di differenziazione nella società che ha fatto emergere
conseguenze perverse: corruzione, non svolgimento delle funzioni
sociali, migrazione, abbandono del lavoro pubblico per il lavoro
privato, etc. Si sapeva che ciò sarebbe successo, ma era un costo che
non poteva essere evitato.
Nel Periodo Speciale, dunque, accadono
molte cose a livello sociale che creano quasi un cataclisma nella
società. Tuttavia, la fiducia della popolazione che quella situazione
sarebbe stata superata si vede a partire dal continuo sostegno alla
Rivoluzione. Sempre c’era stata una cosa straordinaria che non è nuova
in quegli anni, già era stata fatta prima, cioè discutere questi
problemi con la popolazione. In particolare, venne convocato un
congresso del Partito, il quarto Congresso, nell’ottobre del 1991, e
prima di quello, in quell’anno, si discusse in massa con la popolazione
su quali erano le loro proposte per uscire dal Periodo Speciale. Ricordo
che quello è stato un primo processo di discussione e la gente propose
molte cose e, in primo luogo, affermò che il socialismo era la
soluzione. In un sondaggio condotto all’epoca, infatti, meno dell’1%
della popolazione votò per passare ad un modello capitalista e
abbandonare il socialismo.
Poi, quando già si presero misure per
cercare di regolarizzare l’attività economica nel secondo semestre del
1993, venne di nuovo avviato un processo di discussione sulle misure
concrete e sul programma di equilibrio finanziario dell’economia. Si
discute, a quel tempo, con la popolazione nei cosiddetti Parlamenti dei
lavoratori che si svolgono all’inizio dell’anno 1994 e nei quali il
popolo riprende tutto ciò che era stato elaborato in modo preliminare e
che a me toccò poi presentare nello specifico. La gente fece 530 mila
proposte. Una volta riordinato, è stato portato in Parlamento nel maggio
del 1994 come, potremmo dire, programma di ristrutturazione socialista.
Ossia, abbiamo cercato di adottare le misure che avevano il più alto
livello di consenso preservando il più possibile la salute,
l’istruzione, l’occupazione e contemporaneamente bilanciando con
l’aumento del prezzo di bevande alcoliche, della benzina, del tabacco.
Si è fatta una ristrutturazione con consenso sociale, che non ha nulla a
che vedere ed è completamente diversa dall’aggiustamento del FMI, ma
alla fine si è trattato di una ristrutturazione. Tutto ciò è stato
lasciato come un processo, è stato detto bene vediamo se funziona: nella
seconda metà del 1994 l’economia inizia a crescere per la prima volta
dal 1989. Si cresce dello 0,7%, ma finalmente si cresce e inizia un
momento di recupero che durerà fino al 2004. La ripresa, in quella prima
fase, è durata dieci anni. Poi ne arriverà un’altra fino al 2009, ossia
quando inizia la nuova politica attuale, ma concretamente l’uscita dal
Periodo Speciale, o per lo meno dagli anni più complessi del Periodo
Speciale, si verifica tra il 1994 e il 2004.
Nel 2004 si creano altre condizioni. In
primo luogo, il dollaro smette fisicamente di circolare nel paese a
causa delle aggressioni statunitensi, in particolare
dell’amministrazione Bush di quegli anni, che rendeva praticamente
impossibile operare con il dollaro fuori da Cuba. Inoltre, vengono
create una serie di condizioni tra cui, dal punto di vista
macroeconomico, la più importante è la modifica delle relazioni
commerciali con il Venezuela. Dall’inizio del governo Chávez nel 1999
fino al 2004, noi garantivamo (al Venezuela, ndr) una collaborazione
praticamente gratuita: loro ci vendevano il petrolio a condizioni
puramente commerciali e noi fornivamo assistenza in salute e istruzione
gratuitamente. In quell’anno, Chávez sostiene che ciò non è giusto, che
loro stanno godendo di un’esplosione del prezzo del petrolio e propone
di convertire la collaborazione di Cuba in beni scambiabili, vale a dire
di pagarla. Ciò cambia la nostra bilancia dei pagamenti, cambia le
relazioni commerciali e la bilancia commerciale. Si creano condizioni
per un altro momento differente al punto che nel 2006, ad esempio, dopo
l’inizio di questo processo, l’economia cresce del 12,1%. Crescita senza
precedenti in quegli anni del Periodo Speciale e che dura fino al 2009,
dove assistiamo all’impatto della crisi del 2008 nel mondo. Ed è da
allora che nasce la necessità di progettare una nuova politica
economica, che poi è quella presente al momento, che è creare le
condizioni per lo sviluppo stabile e sostenibile del Paese. Queste sono
le fasi più o meno della crisi del Periodo Speciale che inizia nel 1989
ha il suo culmine tra il 1993 e il 1994, un primo recupero nel periodo
1994-2004, e una seconda fase di recupero fino al 2009, dove bisogna
correggere cose che non sono state risolte del Periodo Speciale.
3) In quegli anni difficili,
Fidel ha pronunciato in una riunione dell’UNEAC (Unione Nazionale
Scrittori e Artisti a Cuba): «La cultura è la prima cosa che deve essere
salvata». Una decisione politica completamente diversa da quelle che
vediamo applicate nei paesi capitalisti quando ci sono crisi economiche.
Potremmo definire questo come un chiaro esempio dell’insegnamento di
Fidel secondo cui nel socialismo i fattori politici hanno la precedenza
su quelli economici?
Sì, c’è un’altra frase di Fidel ancora
più diretta. Fidel iniziò a dire nel 1981 e in seguito lo ripeté molte
volte dopo il 2003 che «non esiste politica senza economia, né economia
senza politica. E, in condizioni di alta tensione sociale, la politica
ha la priorità». Ed è stato dimostrato.
Non c’è bisogno di tornare tanto indietro
fino al Periodo Speciale. Basti considerare che l’anno scorso è stata
presa una decisione politica chiave: l’aumento dello stipendio del
settore pubblico. Perché? Per il livello di esodo di persone che
lasciavano il settore dell’istruzione, del settore scientifico, dei
settori chiave del paese, bisognava fermarlo. E l’unica cosa che si
poteva fare a questo proposito era aumentare significativamente lo
stipendio: i salari sono stati aumentati in media del 68%, per prevenire
un ulteriore esodo. E questa è una decisione politica, perché se inizi a
fare i conti, beh, aumenteremo il deficit di bilancio. Il costo della
misura è di 7 miliardi. Ma il deficit di bilancio può essere risolto in
qualche modo: il deficit può essere gestito attraverso la creazione di
debito pubblico, attraverso il recupero delle spese, ecc. Non è un
cataclisma. Ed è stato preferito andare verso quella decisione con
alcuni rischi di aumento dei prezzi, o di cose che si sapeva che
sarebbero accadute per fermare l’esodo. La prova è che solo nel secondo
semestre del 2019 sono tornati in classe 12 mila insegnanti, che non è
poco. In altre parole, 12 mila insegnanti che erano andati in cerca di
reddito, in cerca di professioni più redditizie, sono tornati nel
settore dell’istruzione. Cioè, abbiamo messo un freno a un problema che,
se lo vedi da un punto di vista di pura teoria, dovremmo dire che non
si può distribuire ciò che non è stato creato. Bene sì, è giusto, ma ciò
non è meccanico. Perché ci sono decisioni politiche che devi prendere,
perché se no rischi tutto. Questo è uno dei casi, lo stesso è stato
fatto negli anni del Periodo Speciale, nel mezzo di tutto ciò di cui
abbiamo parlato. Vi sono stati settori di investimento a cui è stata
data priorità che non risolvevano i problemi a breve termine, come ad
esempio, la biotecnologia. L’ultimo importante centro di biotecnologia
tra i grandi di Cuba è stato completato nel 1994. Oggi, soltanto da quel
centro, si esportano 65 milioni di dollari. Questo ha risolto un
mucchio di problemi di malattie a Cuba. Si è preferito sacrificare in
quel momento altre cose, ma preservare la cultura dello sviluppo, poiché
la cultura non è solo cultura artistica, la cultura si deve intendere
in un senso molto più ampio. Inoltre, la stessa cultura artistica ha
continuato a ricevere un grande sostegno da parte del governo. In quegli
anni, soprattutto dopo il 2000, si svolge quella che è conosciuta come
la “battaglia delle idee”, che è uno sviluppo assistenziale, educativo,
della salute e dell’energia. Tutto questo sempre con il blocco, che ha
avuto effetti senza alcun dubbio. Il blocco ci è costato un miliardo di
dollari fino al 1989, oggi costa 4.322.000 milioni, si è moltiplicato
per quattro l’impatto annuale del blocco, e in questo calcolo non ci
sono le ultime misure di Trump del 2019. Quando quelle si inseriranno
l’impatto non si sa nemmeno di quanto sarà.
4) Nel 2006 Fidel si ammala,
lascia lentamente tutte le sue cariche politiche fino alla sua morte nel
2016. Lei ha potuto lavorare direttamente con lui per 25 anni, dal
1979, quando è stato creato il Centro de Investigaciones de la Economía
Mundial (CIEM) fino alla malattia, come lo descriverebbe? E quali sono,
secondo Lei, le eredità più importanti che ci lascia?
Fidel era un essere eccezionale, iniziamo
da questo. Aveva, diciamo, delle facoltà che non si trovano facilmente.
Ad esempio, memoria fotografica. Fidel prendeva un documento, lo
leggeva con uno sguardo triangolare e dopo ti poteva parlare del
documento come se lo avesse letto o se lo avesse scritto lui. Questo è
eccezionale. Conosco persone che hanno memoria fotografica ed è davvero
un grande vantaggio per dirigere perché non perdi tempo. Inoltre, dagli
anni ’70 ha iniziato a studiare seriamente gli eventi economici. Ha
creato questo centro (il CIEM) nel 1979, quando Cuba stava per entrare
come presidente nel “Movimento dei Paesi non Allineati”, per
consigliarlo su questioni economiche. Abbiamo iniziato a lavorare prima
per telefono, indirettamente, e poi direttamente a partire dal 1981.
Ricordo bene la prima volta che mi chiamò a casa: abbiamo parlato per
circa due ore al telefono discutendo di questioni economiche. E ricordo,
non me lo dimenticherò mai, la prima volta che ho parlato seduto faccia
a faccia con lui di questi argomenti. L’avevo visto in altre occasioni,
all’università, ma non avevamo avuto contatti personali. Ha fatto
sedere me e il direttore del centro, Osvaldo Martínez, per cinque ore a
discutere di economia mondiale, di economia in generale e di tutto ciò
che si possa immaginare. Era il 1981 e sono uscito da lì senza sapere
più di che parlare perché non ero mai stato interrogato così fortemente
da qualcuno su questioni economiche, perché aveva domande su tutti e per
tutti. «E questo perché? E perché no? E perché è così?» Su tutto. E
inoltre, tutto ciò lo memorizzava. Ha anche fatto uno sforzo perché gli
abbiamo fatto un piano di studi, di letture, in modo che lui entrasse in
una serie di argomenti. E si può dire che praticamente su tutto ciò che
tu gli indicavi, suggerivi, o che lui scopriva, si preparava come per
un esame.
Poi non perdeva un minuto. Era un uomo
con una capacità incredibile nell’utilizzo del tempo. La gente dice che
era come Napoleone, che poteva riguadagnare forze solo dormendo 2/3 ore
al giorno. Io l’ho vissuto lavorando con lui: lui esausto chiudeva gli
occhi, tu lo lasciavi riposare e in mezz’ora lo svegliavi, e lui aveva
già ricaricato le batterie completamente. Nessuno di noi può fare ciò.
Faceva colazione ogni giorno (all’epoca non c’era internet, non c’era
cellulare, tutto era stampato) con un blocco di telegrammi che gli
davano classificati: Cuba, America Latina, ecc… Lui se lo leggeva tutto
prima di arrivare al Consiglio di Stato, arrivava al Consiglio di Stato a
metà mattina, più o meno, dormiva molto poco, dormiva dalle 4/5 del
mattino alle 9/10 del mattino. Dopodiché, cominciava la giornata e
poteva durare fino a qualsiasi ora. La conoscenza che aveva te la
attualizzava costantemente. Perché ti diceva «no no, ma aspetta, perché
due giorni fa è uscito un telegramma che diceva così e così». E non
erano ore qualsiasi: quasi il 90% delle conversazioni con Fidel avveniva
di notte e all’alba. Molte volte abbiamo fatto le 8 di mattina con lui,
e lui era fresco come una rosa. Una volta c’è stato un incidente
risibile perché in una discussione di queste alle 3 del mattino eravamo
tutti lì che non vedevamo nemmeno il foglio che avevamo davanti. Ci
disse: «andiamo a rinfrescarci», penso menomale, «andiamo a vedere un
film», alle 3 del mattino. Beh, penso di essere stato l’unico che stava
sveglio al suo lato e lui che parlava con me del film. Era un film
socialista, non ricordo bene che film fosse, e nel piccolo cinema, tutti
dormivano , perché ti potrai immaginare dopo un’intera giornata di
lavoro. Però a lui non importava che la gente si addormentasse, se aveva
qualcuno con cui parlare continuava, continuava, continuava…
Inoltre, era anche un uomo
straordinariamente umano. Fidel era di una umanità incredibile, perché
si preoccupava dei problemi della tua famiglia, della tua casa, dei tuoi
figli. Un altro aneddoto personale. All’inizio di quando lavoravo per
lui, tra il 1993 e 1994, era l’alba e mi dice: «José Luis, cosa dice tua
moglie dei tuoi ritorni a casa tardi? Crede che tu sia con me?». Io gli
dico che beh deve crederci, si immagini cosa posso argomentare. Quindi
lui prende un pezzo di carta e scrive: «A chi può interessare, certifico
che il compagno José Luis Rodríguez era riunito con me, che ore sono?
Tale ora. Del resto del tempo non do conto. Fidel». Ho detto a mia
moglie, «guarda cosa ti manda il Comandante». Lei ancora conserva quel
pezzo di carta.
Fidel era anche molto esigente. Esigeva
che tu memorizzassi quasi al suo stesso livello. Dovevo costantemente
conoscere il prezzo del grano sul mercato mondiale, il mais, il latte in
polvere, le quantità di medicine che avevamo nel nostro inventario…
Tutto questo bisognava saperlo, non c’erano altre alternative. E quando
non lo sapevi, ti beccavi un rimprovero. Ho in memoria molte cose oggi
per l’allenamento di quegli anni. Ti posso recitare il tasso di crescita
di Cuba degli ultimi 10 anni, perché li ho memorizzati, memorizzati,
memorizzati. E questo è un suo insegnamento. L’altra cosa è che dovevi
essere davvero preparato perché lui rilevava subito se c’era qualcosa di
falso in quello che stavi dicendo, ti beccava immediatamente se tu non
avevi una vera preparazione, te lo rilevava in un minuto. Era
preferibile ammettere di non saperlo o di non avere le informazioni e
chiedere che ti fosse concesso del tempo. Non gli piaceva, ma lo
accettava. Ti guardava con uno sguardo con due occhi così, con uno
sguardo inquisitorio. Allo stesso modo accettava che se tu commettevi un
errore o gli davi un’informazione sbagliata, rettificassi. È stato un
insegnamento tremendo, è stato come passare per un’altra università. Io
glielo dicevo, sono permanentemente in un altro studio post-laurea con
Lei.
Infine, la figura di Fidel non era una
figura qualsiasi, Fidel era molto visionario. Nel 1992, al Vertice della
Terra, fece un discorso che lasciò tutti colpiti. È un discorso di 7
minuti, probabilmente uno dei più brevi che abbia mai pronunciato, e
contiene una frase del genere: «è necessario porre fine alla fame e non
all’uomo». Frasi molto puntuali che erano praticamente come degli spari.
Anche con la questione dei paesi socialisti, nutriva serie
preoccupazioni. C’è stato un incontro a cui sono stati invitati tutti i
capi di stato, penso che sia stato l’ultimo incontro di quel tipo in cui
è stato invitato Fidel, per il 70 ° anniversario della Rivoluzione
d’Ottobre del 1987. Già quando tornò da quel viaggio aveva tremende
preoccupazioni. Tremende perché vide da dentro, come era già la
situazione lì. Il 26 luglio 1989, le cose erano a un livello tale che
non c’era altra scelta che il famoso discorso in cui dice «Se un giorno
l’Unione Sovietica che sta attraversando situazioni molto tese, ecc. si
disintegrerà o scomparirà, cosa che speriamo non accada», non dimentico
mai che ha detto ciò, «noi continueremo ad essere socialisti».
Ascoltami, fu anticipatore di un mese: nell’agosto del 1989, il Partito
Operaio Unificato Polacco (POUP) perse il potere in Polonia, che finì
nelle mani di Solidarność, e da lì tutta l’Europa orientale cadde fino
al crollo del muro che avvenne nel novembre del 1989.
5) Al VI Congresso del Partito
Comunista di Cuba, nel 2011, sono state approvate le Linee guida della
Politica Economica e Sociale e, nel 2012, è entrata in vigore la nuova
Costituzione. In questo modo, siete passati da una situazione di
resistenza a quella di creazione del “socialismo possibile” come l’ha
definito Raúl Castro. Quali sono, secondo Lei, le sfide più importanti
che il Paese ha davanti? E le lezioni più significative che sono state
apprese nella pratica della costruzione del socialismo?
La sfida di questi anni è centralmente
per l’economia. Abbiamo fatto molti progressi socialmente, abbiamo fatto
molti progressi nel creare una coscienza socialista nella popolazione
che non è di una sola generazione, è già di diverse generazioni. Non
senza difficoltà, ma il successo sociale è lì e questo è il fattore
chiave dell’esistenza di Cuba. Tuttavia, abbiamo il problema
dell’economia, dobbiamo avere una base sostenibile per lo sviluppo della
società e questo passa necessariamente attraverso l’economia. Quindi,
dobbiamo vedere come orientiamo le riforme che noi chiamiamo di
“aggiornamento del modello economico”, cercando meccanismi che lo
rendano efficiente e lascino indietro le pratiche che si sa che non
danno quei risultati. Dalla gestione amministrativa del mercato alle
pratiche di pianificazione che sono totalmente schematiche e che non
appartengono a quest’epoca, non verrà la soluzione a nessun problema. In
altre parole, la sfida principale è la solidità della nostra
riproduzione del punto di vista economico del Paese.
Il paese per svilupparsi deve crescere di
oltre il 5% all’anno, noi siamo in una crescita molto bassa dal 2016 al
2019, siamo intorno all’1,9%, praticamente non abbiamo nemmeno
raggiunto il 2%. Soprattutto, questa situazione è diventata più acuta a
causa di tutti questi problemi che si sono verificati con Trump. Perché
nel 2015, quando apparentemente eravamo in un’apertura stabile con gli
Stati Uniti e quindi il blocco tendeva a finire, siamo cresciuti del
4,4%. In altre parole, dipendiamo molto da fattori esterni. Questo non
può essere risolto a breve termine, dobbiamo continuare con questo.
Nella prima metà del 2017 Trump non ha imposto grandi cambiamenti nelle
relazioni con Cuba . Ma già a partire dal giugno ’17, consigliato dai
settori cubano-americani più reazionari, ha iniziato ad applicare misure
concrete contro Cuba. E ci sta facendo un danno tremendo, una politica
di tremenda aggressività che è iniziata a metà 2017 e ha accelerato
notevolmente nella seconda metà del 2019. Il turismo è stato bloccato,
comprese le crociere a giugno, tutta la limitazione delle rimesse arriva
ad agosto, arriva la persecuzione del petrolio a partire da settembre, è
un’accelerazione quasi al massimo. L’unico passo che manca,
praticamente, è la rottura totale delle relazioni.
Io sono uno di quelli che pensano che
Trump abbia un’alta probabilità di essere rieletto. Pertanto, non mi
aspetto che non ci sarà nel 2021. No, ci sarà e dobbiamo prepararci per
questo senza pensare che il peggio sia finito. No. Questo continuerà. E
quindi Cuba deve gestire un’altra alternativa, altre aperture, altre
cose per poter resistere. Abbiamo già fatto i conti e sappiamo che la
cifra alla quale cresceremo è tra l’1 e il 2% da ora al 2021. Vale a
dire, la crescita di quest’anno e quella del prossimo anno
probabilmente, se Trump continuerà ad esserci, non saranno una crescita
che ci porta allo sviluppo, ma alla resistenza. E bene, quali altre cose
possiamo fare? Ci sono una serie di importanti proposte, che abbiamo
avuto l’opportunità di presentare ogni volta che ce le hanno richieste,
in cui esistono alternative. Tuttavia, tutte le alternative prima di
tutto hanno dei costi, niente è gratis. Ci sono cose molto benefiche, ma
ci sono costi che devono essere assunti. D’altra parte, ci sono rischi
perché nel mondo, non a Cuba, in tutto il mondo, chi osa prevedere cosa
accadrà ai prezzi del petrolio, cosa accadrà ai prezzi degli alimenti?
Nessuno lo sa. E a quest’incertezza deve essere aggiunto il blocco per
Cuba. Voglio dire, cos’altro farà quest’uomo? Non sembra che opterà per
un’opzione bellica, ma non è nemmeno escluso. Può anche infliggere danni
con le stesse misure che sta usando adesso, perché lo stiamo vivendo.
In altre parole, oggi ci troviamo nella peggiore situazione dagli anni
’80, con la differenza che negli anni ’80 esisteva ancora l’Unione
Sovietica, esistevano i paesi socialisti e potevamo compensare in larga
misura l’impatto del blocco, a cominciare dal petrolio. Ciò non esiste
oggi, quindi anche se la stretta è stata aumentata negli anni del
Periodo Speciale, non è stato raggiunto in quegli anni neanche il titolo
tre della legge Helms-Burton[1],
non hanno potuto applicarlo. E quest’uomo, sì, l’ha fatto. Ciò ci crea
una situazione molto grave e, oltre a tutto ciò, la pressione contro il
Venezuela ha compromesso la nostra situazione energetica, perché abbiamo
dovuto iniziare a comprare petrolio praticamente in contanti o con
qualche piccolo sconto. Questo non è il caso con il Venezuela. Noi
pagavamo il petrolio venezuelano con servizi, non in contanti. Quindi il
colpo è serio. Inoltre, dal loro punto di vista l’hanno gestita molto
bene, creando una costante instabilità, perché oggi ti impongono una
misura, dopo tre giorni te ne impongono un’altra, dopo una settimana te
ne impongono un’altra ancora, e così via. Fino all’inizio di quest’anno,
Trump ha imposto oltre 190 nuove misure contro Cuba. Ed è molto
difficile pianificare così.
Quindi, è una situazione complicata, ma
ha una soluzione. In altre parole, Cuba ha creato capacità, deve
solamente applicarle in un ambiente di maggiore rischio, deve applicarle
con costi, ma si può andare avanti. Non è tutto impossibile. Inoltre,
c’è tutta l’esperienza degli anni della sopravvivenza, di come
mobilitare le persone, di come far sentire alle persone che stanno
partecipando a una decisione collettiva, che viene creato un consenso. E
penso che sì, le cose possono essere fatte e, inoltre, sono già state
fatte. Io ho esperienza di cose fatte, non è teoria. E ovviamente è
difficile, è difficile perché devi cambiare il modo di pensare di molte
persone, devi correre dei rischi, ma penso che la posizione dell’attuale
presidente, Diaz-Canel, sia questa. Cioè, devi correre dei rischi e
devi fare cose diverse. Lo abbiamo già fatto in condizioni più difficili
e ci sono possibilità, oggettivamente ci sono.
Come ha detto il compagno Raúl Castro, abbiamo dimostrato che si è potuto, si può e si potrà
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