Anna Lombroso
Leggo l’editoriale, che si conclude con l’ennesimo atto di fede nell’Europa, di una rivista che si autoproclama spericolatamente l’unico giornale di sinistra e mi stupisco: “ Ora”, scrive la direttora di Left che ammette di continuare a guardare all’Ue con le lenti del Manifesto di Ventotene come Don Chisciotte guardava Dulcinea, “ci aspettiamo un passo ulteriore sul piano dei diritti umani. A cominciare dall’abolizione dei due decreti sicurezza salviniani….”.
E prosegue: “Urge un cambiamento radicale da parte del governo chiamato a realizzare quella necessaria e urgente discontinuità dal precedente esecutivo più volte annunciata”, perché oggi più che mai “È necessario rimettere al centro i legami sociali, la solidarietà, il bene pubblico e collettivo per uscire da questa crisi che non è solo sanitaria”.
Ma mica è la sola, sfacciati demolitori dello Stato sociale e rottamatori della più bella Costituzione del mondo, naufraghi delle sardine affacciatesi dai balconi per chiedere una patrimoniale universale che pesi sui poveracci e faccia sorridere sornioni i ricconi, opinionisti e leader con la scimmia sulla spalla per l’astinenza da Tv e Tav, confidano nella possibilità che l’Italia risorga dalla pandemia più bella e più superba che pria, grazie al ritrovato orgoglio nazionale, alle manifestazioni collettive di amor patrio dal davanzale, al benefico contagio di fede cristiana e carità, accessori indispensabili a corredo della speranza, coltivata in attesa del presentarsi sulla scena di un demiurgo, di un uomo della provvidenza, già individuato.
Per tutti il primo passo per la ripartenza morale consisterebbe dunque quello nel liberarsi dal vergognoso fardello del turpe passato dell’anno del nostro scontento, con la cancellazione dei decreti sicurezza, chiamati sbrigativamente decreti Salvini, in modo da rimuovere la loro natura di riedizione in fotocopia delle disposizioni del precedente Ministro in quota Pd, autore tra l’altro del trattato osceno con la Libia che l’attuale esecutivo ha pensato bene di confermare senza alcuna variazione.
Ci vuole davvero una faccia di tolla esorbitante, per parlare di solidarietà quando la popolazione è stata divisa in gente che va forzatamente protetta chiudendola in galera e convincendola che si tratti di una “scelta” responsabile, e gente che invece sarebbe condannata al rischio altrettanto responsabile, per garantire l’essenziale selezionato secondo criteri arbitrari e discrezionali e quando il dato di ieri sugli effetti di ora, nemmeno quelli di domani, delle restrizioni indica che circa 21 milioni di persone stanno vivendo questo momento di emergenza con serie difficoltà economiche, di cui la metà (oltre 10 milioni) con un reddito quasi nullo e che esistono almeno 3 milioni di persone che non dichiarano reddito al fisco e che difficilmente ora possono guadagnare un minimo per il sostentamento; oltre 18 milioni di persone con redditi inferiori a 15 mila euro, di cui 7,6 milioni con meno di 6 mila, cioè 500 euro lordi mensili.
E ci vuole una impudenza insolente per gridare all’attentato allo stato di diritto, alla nostra democrazia nata dalla lotta di Liberazione per via di provvedimenti di ordine pubblico nati con l’intento di criminalizzare i già sommersi, i marginali, i critici, gli oppositori, con l’intento di rassicurare i penultimi, quelli che vogliono solo stare al calduccio nella tana che sperano possa durare per sempre grazie alla fedeltà e all’assoggettamento, quando, per garantirne l’igiene e la profilassi, sono stati sospesi chissà fino a quando i più elementari requisiti propri delle libertà e dell’autodeterminazione.
Fossero solo gli altoparlanti delle curve a mostrarsi ciecamente affiliate alla comunicazione apocalittica prodotta dal governo e da una comunità scientifica chiamata in suo soccorso e retrocessa a elargitrice di opinioni e di consigli per gli acquisti: mascherine, guanti, pozioni, elisir in attesa del salvifico vaccino. Macché.
La convinzione che lo stato di eccezione imposto chissà fino a quando sia una necessità, è diffusa e consolidata. E la pistola puntata dell’intimidazione del contagio – impugnata da mani che si ostinano a non voler ammettere che una qualsiasi epidemia, diventa emergenza mortale e incontrastabile quando hai distrutto il sistema di assistenza, umiliato il personale sanitario, demolita la ricerca, così come una qualsiasi stagnazione degenera in fallimento se l’economia produttiva ha fatto posto ai giochi delle tre carte finanziari, se il lavoro è stato sostituito da precarietà ricattatoria, se è stato eroso il tessuto sociale – tiene sotto minaccia una maggioranza silenziosa e reclusa, in modo da censurare anche tramite task force gli eretici, i dubbiosi, i critici, gli incazzati.
Parlo di quelli che in questi giorni ricordano che gli stati di eccezione preludono la normalizzazione della repressione, della soppressione delle libertà, sostituite dalla concessione di licenze e mance, e parlo di quelli che denunciano come le distopie di Orwell siano state superate dall’egemonia delle tecnologie dell’informazione, poco sviluppata quando dovrebbe garantire la fine della fatica, l’accesso alle informazioni e quindi l’esaltazione attraverso la conoscenza del libero arbitrio e del diritto a partecipare ai processi decisionali, promossa invece quando serve a esercitare il controllo sociale, per ricostruire l’attività lavorativa, monitorare i consumi, le preferenze, gli interessi culturali, le opinioni politiche, le preferenze sessuali, la sua mobilità, fino a entrare nella sfera delle paure, delle aspettative, delle speranze degli individui.
E siccome c’è una emergenza non si guarda tanto per il sottile, al dinamismo dei puscher del marketing digitale, alla proposta di applicazioni per l’autodiagnosi, mentre si favoleggia dei dispositivi per scansionare l’identità sanitaria di chiunque entri in un luogo pubblico, ecco presentarsi già pronta, testata, immediatamente adottabile, la ipotesi, suscettibile di diventare obbligo, di scaricare sui cellulari un’app di rintracciabilità e controllo dei movimenti dei cittadini. Se eravamo preoccupati di aver perso di vista il primo dei commissari straordinari a capo di task force che per numero battono ormai i format per l’autocertificazione, Domenico Arcuri, possiamo star tranquilli, è lui che ha firmato l’ordinanza per avviare la sperimentazione in alcune regioni di Immuni,prodotto dalla software house milanese Bending Spoons, in collaborazione con la rete lombarda di poliambulatori del Centro Medico Santagostino e della società di marketing di Milano Jakala, tre partner la cui collocazione geografica di questi tempi rappresenta di per sé una garanzia.
Chi scaricherà «Immuni» sarà in possesso di un diario clinico per tenere nota del suo stato di salute e dell’eventuale evoluzione dei sintomi del coronavirus, ma automaticamente sottoposto al tracciamento dei suoi contatti e dei suoi movimenti. Per funzionare dovrà scaricarla almeno il 60% degli italiani, ma potete star certi che con la competenza di manager dei commissari straordinari sarà presto abbinata a un vantaggioso abbonamento gratuito alle serie poliziesche, alle partite con la doverosa distanza tra calciatori.
Il deus ex machina sarebbe dunque Arcuri, ma, come era prevedibile, Immuni, già minacciata da analoghe iniziative a cura di altre regioni che non vogliono perdersi quest’opportunità di business e ci aspettiamo l’app di Bonaccini che vuole mandare chi percepisce il reddito di cittadinanza a raccogliere frutta e pomodori nei campi, così comincia a restituire l’immeritato maltolto, ha incontrato il favore di Colao. E vorrei anche vedere che non piacesse all’ex Ad di Vodafone e all’agente per l’Italia di Gates, quello che sogna da sempre l’inserimento sottocutaneo (una specie di tatuaggio) di un’identità digitale che accompagni la persona per tutta la vita e ne archivi e comunichi tracciabilità e dati!
Adesso c’è una risposta pronta a chi chiede ai critici e agli eretici che cosa farebbero al posto del governo e delle autorità.
Io non so cosa farei al loro posto, ma so cosa bisogna cominciare a fare al posto di un cittadino.
Praticare l’autodifesa, disubbidire, buttare i telefonini, rimandare al mittente i miracoli digitali, far perdere le tracce e la testimonianza della propria di indisciplina e del proprio buonsenso, della propria ribellione e del libero arbitrio.
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