Il governo più egemonizzato dalla destra radicale dal secondo dopoguerra entra in crisi per iniziativa delle sue componenti più antipopolari e razziste, mentre la sinistra di classe latita
- di Renato Caputo
- 10/08/2019
- Editoriali
Dopo aver portato a casa il decreto sicurezza bis, sfruttando la minaccia della crisi di governo che è riuscita a imbrigliare tanto il M5S quanto lo stesso capo dello Stato, e dopo aver votato tutte le proposte di legge delle maggiori forze di opposizione sulla Tav, per far passare l’alleato di governo come il vero responsabile della crisi, Salvini ha dichiarato la fine del governo Conte. Forte dei sondaggi che danno la Lega nettamente come primo partito e di una legge elettorale fatta su misura dal Pd per favorire la Lega, Salvini presumibilmente punta a un governo populista di destra radicale con il supporto di Fratelli d’Italia, che nei sondaggi ha superato Forza Italia.
La mossa di Salvini sembra intelligente, in quanto sfrutta non solo il picco raggiunto nei sondaggi dalla destra radicale, ma la crisi nera dell’opposizione che, pur di non andare alle urne, ha evitato di assumersi il merito della caduta del governo. Dimostrando, in tal modo, la paura di presentarsi davanti agli elettori, al punto che il Pd non solo ha fatto di tutto per salvare il governo, ma è arrivato addirittura a votare a favore della proposta di legge sulla Tav di FdI.
In tal modo l’ignavia delle opposizioni e la priorità data da praticamente tutti gli altri parlamentari, a partire dai fautori della democrazia diretta del M5S, alla difesa della propria poltrona, ha consentito alla Lega di presentarsi al contempo come la forza egemone di governo e la principale forza di opposizione. Così potrà presentarsi alle urne forte dei risultati ottenuti, in primo luogo sdoganando compiutamente il razzismo, e allo stesso tempo come principale forza in grado di incarnare la volontà di cambiamento al solito molto popolare fra gli elettori.
Del resto attendere ulteriormente avrebbe senza dubbio finito con l’indebolire la Lega, in quanto sarebbe emersa sempre più palesemente la natura demagogica del suo populismo e sovranismo. Ben presto avrebbe, infatti, dovuto fare i conti con i poteri forti della Ue che non avrebbero certo accettato di aumentare l’indebitamento del Paese, per realizzare i due principali obiettivi della Lega: la flat tax e l’autonomia differenziata, senza doversi piegare a misure decisamente impopolari e antipopolari come l’aumento dell’Iva.
Del resto dietro il teatrino della politica politicante, si cela l’egemonia del pensiero unico (neo)-liberista, che nei fatti accomuna praticamente tutte le forze rappresentante in parlamento. Per cui è evidente che nessuna delle attuali forze parlamentari ha la volontà, prima ancora che il coraggio, di mettersi contro i poteri forti nazionali e transnazionali che pretendono, in barba alla sovranità popolare, che i costi negativi della crisi debbano continuare a colpire le classi subalterne.
Evidentemente queste posizioni oligarchiche non possono che essere impopolari, per quanto il pensiero unico possa essere dominante, e quindi nessuna forza politica se ne vuole assumere direttamente la paternità: da qui il rischio sempre presente di un governo “tecnico” pronto a fare il lavoro sporco per conto del partito unico (neo)-liberista. Anzi, in particolare la Lega, che deve buona parte del suo consenso al presentarsi dinanzi a delle masse popolari – mai come ora prive di coscienza di classe – come una forza “sovranista” di opposizione in primo luogo nei confronti dei poteri forti dell’Unione Europea. Anche in questo caso si tratta in realtà di pura demagogia, in quanto non solo la Lega ha sino a ora appoggiato praticamente tutte le misure antipopolari dell’UE sin dalla sua fondazione, ma anche durante l’ultimo governo non vi si è mai realmente contrapposta.
Da questo punto di vista tanto la Lega, quanto le altre principali forze presenti in parlamento, stanno facendo di tutto per non rimanere con il cerino in mano dinanzi alle misure ancora una volta decisamente antipopolari che i poteri forti del capitale finanziario, che governano la UE, torneranno a presentare nella consueta forma di ultimatum al nostro paese. Così praticamente tutte le forze politiche parlamentari, per non perdere il sostegno dei poteri forti oligarchici, in primo luogo nazionali, non intendono arrivare a un reale scontro con l’UE, ma al contempo, come del resto dimostrano tutte le elezioni precedenti, applicando tali misure non possono che essere puniti dalle urne.
D’altra parte, aprendo la crisi, Salvini ha dovuto rinunciare alla sua principale arma di ricatto sulle altre forze politiche, in un modo o nell’altro egemonizzate dal pensiero unico dominante. Questo ha dato la possibilità a Conte e Mattarella, che sino a ora gli avevano fatto passare tutto o quasi, di stoppare la volontà di Salvini di arrivare subito a nuove elezioni. A questo punto anche le altre forze politiche sono interessate a non far gestire al leader della Lega la crisi fino alle elezioni. È, dunque, più che probabile che si cercherà una soluzione per non consentire al ministro degli interni, che ha aperto la crisi ed è il principale candidato alla guida del prossimo governo, di gestire il processo elettorale. Questo apre lo spazio a un governo di scopo o, soluzione al momento più improbabile, a un governo tecnico che guidi il paese sino alle prossime elezioni. Il governo di scopo potrebbe essere la soluzione più probabile in quanto l’Italia si è già impegnata nel 2018 con l’UE a coprire il deficit di bilancio con l’aumento dell’Iva, in mancanza di altre soluzioni. Un tale governo toglierebbe le castagne dal fuoco un po’ a tutte le forze politiche, che potranno così continuare a fare il gioco del capitale finanziario transnazionale senza assumersene direttamente la responsabilità, in assenza di una opposizione che ne denunci la subalternità.
D’altra parte, questa probabile limitazione dello strapotere e della indegna super esposizione mediatica di Salvini non sarà sicuramente sufficiente a far sparire gli orizzonti nefasti di un governo della destra radicale. Le altre principali forze politiche, rappresentate in parlamento, non solo hanno contribuito sino a ora a questo esito, ma non sembrano voler apprendere dai propri errori. In tal modo rischiano di perdere ulteriori consensi e credibilità alla fine di questa crisi di governo.
A uscirne male dal governo e dalla sua crisi è in primo luogo il M5S, che ha già visto più che dimezzati i consensi guadagnati alle ultime elezioni politiche, in cui si era presentata come la forza parlamentare che più si era opposta, per quanto in modo inefficace, alle politiche anti-popolari del governo Renzi. Le ambiguità e le contraddizioni di questo partito dell’uomo qualunque, che si era mascherato da principale forza di cambiamento e di opposizione ai poteri forti sono in gran parte, come era naturale, emerse una volta giunto al governo prima delle grandi città e poi, soprattutto, del Paese. La forza che avrebbe dovuto trainare il governo del cambiamento si è dimostrata una versione peggiorativa della vecchia Democrazia Cristiana, alleandosi prima nel parlamento europeo, poi per governare, con la destra radicale. In tal modo l’unico elemento progressivo che si poteva rinvenire nel populismo qualunquista del M5S, ovvero il fatto che la sua demagogia non avrebbe lasciato spazio a quella più pericolosa della destra radicale, è decisamente venuto meno.
Il governo in cui i Cinque stelle avevano la maggioranza è stato il migliore trampolino di lancio per la destra radicale, che mai come ora è forte e sembra destinata a guidare il prossimo governo. Particolarmente penosa è la risposta del leader del M5S dinanzi alla crisi di governo aperta da Salvini. Pur di mantenere i propri privilegi da leader del “movimento” e da politicante istituzionale, mira in primo luogo a far passare il disegno di legge anti-politico e demagogico volto a ridurre il numero dei rappresentati del popolo in parlamento, depotenziando ulteriormente la sovranità popolare che pretenderebbe di ampliare, eliminando tra l’altro lo stesso diritto di tribuna per le minoranze e favorendo ancora di più il successo elettorale della Lega. Per altro tale legge ridurrebbe quasi certamente lo stesso numero di rappresentanti dei 5 stelle. Quale sarebbe, dunque, il reale intento di questa misura, oltre che continuare ad alimentare qualunquismo e antipolitica da sempre funzionali alle oligarchie? Evidentemente consentire a sé e ai parlamentari del M5S di rimanere abbracciati alle loro poltrone istituzionali, dal momento che il probabile referendum contro tale legge consentirebbe di rinviare le elezioni di un anno. Tutto questo per il terrore del vincolo del secondo mandato che dovrebbe, a ragione, impedire alla maggioranza del ceto politicante qualunquista dei cinque stelle di proseguire la carriera istituzionale.
Egualmente penosa appare la risposta del Pd che, come sedicente principale opposizione di sinistra al governo, in realtà non ha fatto che rafforzarne la componente più di destra ed eversiva, attaccandolo sulle questioni economiche e sociali quasi sempre da destra, per mantenersi come forza più affidabile per i poteri forti. Per altro, in modo del tutto contraddittorio con la volontà di dimostrarsi affidabile, il Pd in questa situazione così critica e delicata per le sorti del Paese non trova niente di meglio da fare che dilaniarsi in una guerra interna condotta esclusivamente per rafforzare il potere e il numero di istituzionali di una corrente, piuttosto che di un’altra. Così dinanzi all’apertura della crisi, i renziani e Calenda, come se nulla fosse, hanno continuato a farsi pubblicamente la guerra, per motivi unicamente legati alla “logica” di potere, visto che condividono la stessa visione liberista del mondo. Altrettanto patetico l’operato del segretario che a parole non fa altro che chiedere nuove elezioni, le quali allo stato attuale porterebbero a un governo della destra radicale, con il solo intento di aumentare il numero di poltrone dei propri uomini a danno di quelle controllate dai renziani. D’altra parte, Zingaretti non ha fatto nulla di reale e significativo per potersi presentare come protagonista della caduta del governo, arrivando a votare con la Lega e Fratelli d’Italia per evitare di perdere una parte del suo potere, a causa di una paventata scissione dei renziani.
Non resta che affrontare la parte più ingrata dell’articolo, rispondendo alla domanda posta nel titolo. In quanto l’elemento che più colpisce in questa crisi è che, nonostante segni la più che probabile fine del governo più egemonizzato dalla destra radicale dal secondo dopoguerra, non vi sia nessun segnale di esultanza da parte delle masse popolari. Tale apparente paradosso dipende dal fatto che queste ultime non hanno svolto praticamente nessun ruolo in tale crisi, di cui è stata protagonista la componente più destra dello stesso governo. Evidentemente questa quasi completa passività delle masse popolari può essere solo in parte attribuita alle forze parlamentari che, in quanto seguaci in modo più o meno diretto del pensiero unico liberista dominante, proprio a questo obiettivo miravano. La restante parte della colpa non può che ricadere sulle forze della sinistra radicale e di classe che, al contrario, avrebbe dovuto praticare proprio l’obiettivo opposto, ovvero essere protagoniste grazie alla mobilitazione delle classi subalterne contro questo governo ormai apertamente egemonizzato dalla destra radicale e razzista.
Purtroppo non possiamo che constatare che la sinistra di classe, la nostra parte, ha continuato a giocare il ruolo di convitato di pietra. In effetti, nonostante il modo di produzione capitalistico viva il momento più basso della sua crisi strutturale, sempre più irreversibile, e la stessa capacità di controllo sulle sovrastrutture sia sempre più difficile, gli spazi di opposizione che si aprono sono sempre più occupati dai critici di destra del capitalismo, piuttosto che dai suoi critici da sinistra. Ciò chiama in causa in primo luogo i comunisti che dovrebbero tornare a svolgere la loro essenziale funzione di promuovere lo sviluppo di una coscienza di classe fra gli sfruttati, al fine di favorirne l’unità e l’organizzazione per rilanciare una efficace lotta di classe dal basso, in grado finalmente di arrestare l’offensiva padronale in atto ormai da troppi anni.
10/08/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: https://www.lettera43.it/crisi-di-governo-cosa-succede/
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