Dopo la seconda guerra mondiale milioni di profughi interni all’Europa frantumata in più rigidi confini nazionali. Da Danzica a Trieste, dalla Prussia orientale prima della ‘Cortina di ferro’, cinque milioni di profughi dalle zone germanofone, dall’Ungheria, dalla ex Jugoslavia e dalla Romania
Per motivi geografici ed etnici, o meglio ‘geopolitici’, la Germania si trovò attraversata da questi viaggi senza fine: non si trattava solo di raggiungere una meta, ma di restarvi per riprendere a vivere, e nemmeno il secondo obiettivo era facile. Dalla parte orientale (Slesia, Brandeburgo e Prussia orientale) affluirono almeno cinque milioni di profughi e circa metà dalla zona germanofona della Cecoslovacchia. Ad essi si aggiunsero gruppi minori, ma comunque di una certa consistenza, dall’ Ungheria, dalla ex Jugoslavia e dalla Romania. Considerando le condizioni molto difficili del paese nell’immediato dopo guerra, viene ancora da chiedersi come sia stato possibile sostenere una simile situazione.
Meno noto -sulle rotte dalla tragedia attuale dalla Siria- è invece quanto accadde alla fine della Prima guerra mondiale sul mar Nero tra Grecia e Turchia. Dopo la guerra e il crollo dell’impero ottomano, un intraprendente primo ministro greco pensò di ampliare la Grecia ai danni della sconfitta Turchia e, poiché nella zona di Smirne viveva la più numerosa comunità greca dell’Anatolia, ingenti forze greche vi sbarcarono. Dopo qualche mese non solo la guerra volse a favore della Turchia, ma dalla sconfitta rovinosa dei greci, Ataturk ottenne il successo su cui fondare la moderna Turchia.
A parte il rogo che distrusse Smirne, la conseguenza immediata fu l’esodo della popolazione greca. Il regno di Grecia contava circa sei milioni di abitanti e i profughi che attraversarono il mar Nero furono oltre un milione: in pratica un quinto dei residenti. Un trattato internazionale tra Grecia e Turchia sancì lo scambio delle popolazioni e toccò allora ai turchi di Grecia il penoso viaggio verso l’Anatolia: fu un altra tragedia che qualche nazionalista greco definì «deottomanizzazione», forse per dimenticare la sconfitta subita.
Eventi come una guerra o una qualsiasi altra catastrofe incidono in modo determinante sulla mentalità e sul comportamento collettivo: alla fine ci sono ferite che guariscono e cicatrici che restano. La sensazione odierna di trovarsi di fronte ad orrori e azioni criminali ma più viste dalla Seconda guerra mondiale è condivisa da molti. Impossibile non apprezzare i gesti di apertura nei confronti dei profughi e dubitare seriamente di chi invece si ostina a non riconoscere che è in atto una guerra molto più estesa di quanto possa sembrare.
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