martedì 20 agosto 2019

Ambiente & Clima. Bruciano i polmoni del pianeta.

Dall’inizio dell’estate vaste aree oltre il circolo polare articolo sono state interessate da incendi senza precedenti per frequenza, durata ed espansione territoriale. In Siberia, Alaska, Groenlandia e Canada, sono stati centinaia. Un fenomeno visibile anche dallo spazio e che testimonia la gravità del riscaldamento globale in atto.


Bruciano i polmoni delSebbene si tratti di un fenomeno normale nell’emisfero nord del pianeta, secondo il Copernicus Atmosphere Monitoring Service l’effetto dell’aumento della temperatura, che nell’artico è cresciuta a un ritmo molto più alto rispetto alla media globale, ha anticipato notevolmente l’inizio della stagione degli incendi boschivi rispetto agli ultimi 17 anni. 

Nel solo mese di giugno, i roghi scoppiati nell’artico hanno rilasciato nell’atmosfera una quantità di CO2 maggiore di quella prodotta nello stesso mese tra il 2010 e il 2018 e pari alle emissioni annuali della Svezia. 
A destare particolare preoccupazione è il fatto che i depositi di particolato sul ghiaccio lo oscurano, portando all’assorbimento della luce solare (anziché a rifletterla). Ciò aggrava ulteriormente il riscaldamento globale.  
Secondo Greenpeace, dall’inizio dell’anno in Siberia è bruciata un’area di oltre 13 milioni di ettari. 
Già a luglio, la seconda riserva di ghiaccio più grande al mondo aveva perso oltre il 40% di ghiaccio in più rispetto alla media a causa del clima caldo e secco (nelle aree più colpite la temperatura media era più alta di quasi 10 gradi rispetto a quella registrata nel periodo 1981-2010). 

Negli scorsi giorni il fumo causato dagli incendi in atto si estendeva su un’area più grande dell’Europa, causando ulteriore riscaldamento globale per effetto dell’assorbimento delle radiazioni solari.
Oltre il 90% degli incendi boschivi del paese, denuncia Greenpeace Russia, riguarda aree del paese dove le autorità non sono obbligate a intervenire (le cosiddette ”control zones”). In Alaska, dall’inizio dell’estate si sono sviluppati oltre 600 incendi. L’area bruciata dal 2000 al 2009 è raddoppiata rispetto a quella dei precedenti 40 anni e si prevede che raddoppi ancora entro la metà del secolo.
Secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC il rischio di incendi è classificato come ”alto” a un aumento della temperatura media di 1.5°C, ”molto alto” se si oltrepassano i 3°C. Le regioni più vulnerabili sono il Nord e Sud America, il Mediterraneo, l’Africa meridionale e l’Asia Centrale. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Nature, nei paesi europei dell’area mediterranea, il numero di incendi potrebbe salire del 40% se la temperatura resta nei limiti di 1.5°C in più rispetto ai livelli pre-industriali, come previsto dall’accordo di Parigi, e raddoppiare se si raggiungono i 2-3°C. 
Anche in Europa la stagione degli incendi è stata più intensa. Dall’inizio dell’anno sono stati registrati oltre 1.600 incendi boschivi, una cifra di tre volte superiore alla media dello scorso decennio, con oltre 270.000 ettari bruciati (100.000 ettari in più della media del decennio precedente). L’espansione delle aree a rischio di incendio già dallo scorso anno si stanno estendendo in alcuni paesi dell’area settentrionale, ad esempio la Svezia, il Regno Unito e la Germania.
Per far fronte alla situazione, la Commissione Europea ha proposto nel 2017 un piano di risposta alle calamità naturali (inondazioni, incendi boschivi, terremoti etc.) che è stato approvato a marzo. RescEU è un’iniziativa che, dotandosi di una riserva di risorse (es. velivoli antincendio, sistemi di pompaggio acqua), integra la capacità di risposta degli stati membri.
Se non invertiamo la rotta tagliando le emissioni di gas serra, questi cambiamenti avranno conseguenze economiche, ecologiche e sociali a tutte le latitudini. 
Le ragioni per salvaguardare le nostre foreste sono molteplici e includono la necessità di adattamento, mitigazione e di resilienza al cambiamento climatico. 
Alcuni scienziati dell’ETH di Zurigo hanno quantificato l’impatto di una riforestazione sul bilancio di carbonio atmosferico, sfruttando l’enorme potenziale degli alberi di immagazzinare carbonio su scala globale e mitigare il cambiamento climatico. Lo studio ha dimostrato che aumentando la copertura terrestre coperta da foreste di poco meno di un miliardo di ettari – escludendo le attuali regioni urbane e agricole – potremmo assorbire circa due terzi di tutte le emissioni di carbonio atmosferico causate dall’attività umana. La maggior parte di questi interventi di restauro delle foreste si trovano in sei paesi che detengono il potenziale maggiore di terra utilizzabile, cioè Russia, Stati Uniti, Canada, Australia, Brasile e Cina.

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