Elisabetta Ambrosi Giornalista
Ma se invece la
vicenda fosse vera dovrebbe suscitare più che indignazione – ormai
l’abbiamo esaurita e forse non serve – un sentimento di inquietudine e sgomento. Perché significa che ormai si è perso ogni senso della realtà, visto che ci sono delle persone che hanno firmato, in
questo caso il Capo Dipartimento dei Vigili del fuoco del Soccorso
Pubblico e della Difesa Civile, senza rendersi conto che quell’annuncio è
illegale. Anzi, peggio, anticostituzionale.
Che la Costituzione, laddove dice che “il
lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e
qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”
– parole che a leggerle oggi fanno piangere di commozione – venga
calpestata ogni giorno praticamente da tutti, tra stage, co.co.co,
voucher, lavoro in nero, partite Iva, contratti stagionali,
apprendistati e via dicendo è cosa nota. Talmente basse sono diventate
le paghe e il contributo orario di lavori anche di livello e fatti da
professionisti – pochi euro al massimo all’ora – che a volte ci si
chiede se non sarebbe più onesto chiedere alle persone di lavorare gratis, tornando allegramente al regime della schiavitù e abolendo la facciata ipocrita del “pagamento”.
E tuttavia in questo caso non si può non trasecolare. Perché a chiedere un giornalista con compenso zero è il Ministero dell’Interno,
cioè un’altissima istituzione dello Stato. Ancora più incredibile
appare l’annuncio se si leggono le capacità richieste e le attività che
questo giornalista dovrebbe svolgere: in generale, si tratta di
un’attività di comunicazione per il Dipartimento dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile.
In particolare, il giornalista si dovrà occupare “in accordo con
l’Ufficio Stampa del Ministro” di “supervisione e consulenza nelle
materie della comunicazione ed informazione pubblica istituzionale”
oltre che di “fornire un supporto tecnico di alto contenuto
specialistico teso a potenziare gli strumenti di comunicazione,
individuando forme innovative di comunicazione pubblica” senza
tralasciare le “pubbliche relazioni con la stampa nazionale ed
internazionale”. E poi dovrà “curare la comunicazione e le relative
attività relazionali con Istituzioni, professionisti e rappresentanti di
enti pubblici e privati” e promuovere la “valorizzazione delle attività
relazionali, sociali e culturali del Dipartimento”. Per un’attività di
questo tipo, altrove, in Germania, Olanda, Francia, Svezia, ma pure in altri continenti, il compenso sarebbe stato molto alto. E il contratto da dipendente. Giustamente.
Un anno fa il Viminale pubblicò un bando simile, quando ministro era Alfano. Oggi lo rifà con Minniti
ministro. Come giornalisti – abituati a tutto, ma non forse a questo –
denunciamo l’assurdo accaduto, sperando che arrivi sul tavolo del
ministro il quale dovrebbe quantomeno dimostrare all’opinione pubblica di non sapere nulla,
licenziando in tronco il dirigente che invece ha avuto la bella
pensata. Invece non succederà nulla, come nulla è accaduto l’anno scorso
(sarebbe giornalisticamente interessante sentire l’assunto a costo
zero: forse con qualche partita di calcetto tra i ministeriali ha
trovato nel frattempo un lavoro retribuito?). L’altro organo che
dovrebbe fare qualcosa è l’Ordine dei Giornalisti.
Associazione Stampa Romana si è limitata a fare un comunicato in cui
dice: “Il Ministero dell’interno non è nuovo a queste prodezze.
Ricordiamo lo scorso anno una vicenda identica per la copertura
informativa dei migranti. Evidentemente la storia non insegna
nulla. Continuiamo così, facciamoci del male”. Ma così non andiamo molto
lontano.
Purtroppo sulla questione della precarietà
devastante che sta distruggendo un settore fondamentale come quello
della comunicazione e del giornalismo l’Ordine dei giornalisti resta responsabile.
Ci vorrebbero interventi pesanti a favore dei lavoratori, specie se
autonomi e free lance. Bisognerebbe far rispettare le norme che ci sono
già, e che tutti calpestano, sui compensi minimi, sui tempi di
pagamento. Ci vorrebbe soprattutto una rivoluzione culturale per
cominciare a dire che “no, così non si può fare”. Non puoi pagare due euro un articolo, venti un’inchiesta.
Non puoi chiamare un giornalista quando ti serve, e poi buttarlo via
quando hai finito. E così via. In questa giungla, comunque, le istituzioni dovrebbero essere un esempio di legalità. Qui, invece, raggiungono l’illegalità massima.
Domani con questa notizia io ci aprirei giornali e qualche testa
dovrebbe cadere. Sarebbe il minimo, se ci si rendesse davvero conto di
ciò che è accaduto.
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