L'ex ministro greco presenta il suo movimento europeo, Diem 25, appena lanciato a Roma: «Usciamo dalla tenaglia tra establishment e nazionalismi di destra. Serve una grande coalizione progressista, fondata su un manifesto di proposte su temi concreti: dalle disuguaglianze alla finanza».
Due anni fa Yanis Varoufakis - già docente universitario di economia in Grecia e negli Stati Uniti - diventava ministro delle Finanze del suo Paese. Un anno e mezzo fa si dimetteva, dopo aver vinto il referendum. E un anno fa fondava il suo movimento politico, Diem25 , acronimo che invita a “cogliere l’attimo” ma che sta anche per Democracy In Europe Movement, con il 2025 come data entro la quale realizzare l’obiettivo di «democratizzare l’Europa». Adesso, quasi in sordina, Diem25 è arrivato in Italia, con la sua prima assemblea a Roma, il 7 gennaio scorso.
Varoufakis, che cos’è Diem?
«È la migliore chance esistente per salvare l’Europa, europeizzando
alcuni problemi giganteschi che non possono essere risolti a livello di
Stati nazionali: dalla povertà in crescita al debito, dalla crisi degli
investimenti alle banche, fino alle migrazioni. Ed è l’unica alternativa
per evitare che si ripeta lo scenario che si è verificato negli anni
‘30».
In che senso?
«Tutto quello che è successo nel 2016 - la Brexit, la crisi della Ue,
la rivolta dei ceti medi contro l’establishment, l’avanzata di nuovi
fascismi - ha le sue origini nel 2008, che è stato il 1929 della nostra
generazione. Come allora, è scoppiata una crisi deflazionistica che ha
messo in ginocchio il sistema politico esistente e ha frustrato le
aspirazioni della classe media e mediobassa, mentre la caduta della
legittimazione democratica ha aperto la strada ai nazionalismi. Negli
anni ‘30 i progressisti non sono stati capaci di creare una coalizione
transnazionale per opporsi all’internazionale dei reazionari e dei
fascisti. Ora noi abbiamo il compito di riuscire dove i nostri
predecessori hanno fallito».
Sembra un po’ difficile lanciare un movimento europeista mentre l’Europa gode di una reputazione così bassa...
«Dipende da cosa si intende per europeista. Oggi per essere davvero
europeisti bisogna opporsi alle istituzioni ufficiali europee. Vede, io
ho passato la maggior parte della mia vita - e credo che molte persone
di sinistra in Italia abbiano fatto lo stesso - opponendomi al governo
del mio Paese quando prendeva decisioni sbagliate: era un dovere
patriottico, vale a dire che come patriota avevo il dovere di oppormi al
mio governo. Allo stesso modo, oggi, proprio perché sono europeista ho
il dovere di oppormi all’Eurogruppo, alla Commissione europea e alla
Troika. E di proporre soluzioni diverse per affrontare la crisi
strutturale nella quale siamo entrati».
Siete favorevoli o contrari all’uscita dall’euro?
«Non c’è alcun dubbio che l’euro sia stato una pessima idea e sia un
terribile sistema monetario. Ma c’è una grande differenza tra la
situazione in cui non era stato ancora creato e quella in cui esiste
già: eliminare oggi l’euro, o uscirne, purtroppo non ricrea la
condizione precedente la sua entrata in vigore. Ora che c’è, la cosa
realisticamente più utile che possiamo fare è cambiarne l’architettura,
aggiustarlo radicalmente. Ma allo stesso tempo è importante avere un
piano appropriato per gestire la sua eventuale disintegrazione se non si
riesce a cambiarlo in tempo. Dobbiamo essere un po’ sofisticati nel
nostro modo di affrontare la questione dell’euro, non semplicisti. E
dobbiamo anche capire che non serve aggredire il sintomo, ma le cause di
quel sintomo».
Siete un movimento di sinistra?
«Lo scopo di Diem è quello di creare una coalizione tra progressisti
che capiscono come l’unica risposta realistica alla crisi dell’Europa (e
di ciascun Paese d’Europa) consista nel cambiare le politiche
dell’establishment: sia quello europeo sia quello di ciascuno Stato. Per
fare questo abbiamo bisogno di marxisti, socialisti, progressisti,
liberali e perfino di conservatori illuminati (“progressive
conservative”). La sinistra non è, da sola, in condizioni di offrire le
infrastrutture per dare una risposta con cui combattere le cause di
questa crisi».
Come vi rapportate ai partiti di sinistra esistenti, sia quelli socialisti sia quelli più radicali?
«Proponendo loro i nostri contenuti, il nostro
manifesto
:
il Green New Deal, che è un programma politico con molte idee concrete
sulle cose da fare in termini di investimenti, debito pubblico,
welfare, povertà, banche etc. Adesso, per esempio, lo stiamo proponendo
in Francia ai candidati alle presidenziali chiedendo se sono d’accordo e
su quali punti, e che cosa propongono in alternativa quando non lo
sono. Sulla base delle risposte giudicheremo i candidati. Lo stesso
facciamo in altri Paesi e talvolta abbiamo già trovato ascolto, dalla
Spagna (dove il sindaco di Barcellona Ada Colau è un'iscritta a Diem)
fino al Labour inglese».
Le piace Jeremy Corbyn?
«Oggi, grazie a Jeremy Corbyn, il Labour ha molti più militanti che
qualsiasi altro partito socialista europeo, compresi il Pd italiano e
l’Spd tedesco. Il partito stava morendo e lui lo ha rivitalizzato
riportando i cittadini all’attivismo politico. È stato un soffio di aria
fresca ed è un’opportunità per combattere sia i populisti nazionalisti
di destra sia l’establishment economico».
Che cosa pensa di Matteo Renzi?
«Renzi ha gettato il capitale politico che aveva fino a tre anni fa
cercando di combinare due cose che non possono stare insieme: una è la
sottomissione all’establishment negli atti politici concreti, sia in
Italia sia in Europa; l’altra sono le continue lamentele e le
dichiarazioni di ribellione verso l’establishment stesso. Il risultato
di questo comportamento incoerente è stato la perdita del suo capitale
politico».
E del Movimento 5 Stelle cosa pensa?
«Il successo del Movimento 5 Stelle è il risultato dello spettacolare
fallimento della sinistra nell’interpretare il disagio sociale e la
perdita di fiducia nei confronti dell’establishment. Anche qui, qualcosa
di simile al fallimento della sinistra negli anni 30. Vede, in Italia
(come in quasi tutti gli altri Paesi europei) c’è stata a lungo una
falsa conflittualità tra il centrodestra e il centrosinistra: una
contrapposizione che è stata solo a parole, o per la conquista del
potere, ma che non comportava una vera differenza in termini di scelte
politiche. Questo falso dualismo ha creato un grande vuoto, nel quale è
emerso il Movimento 5 Stelle. Il M5S ha interpretato l’opposizione a
questo stato di cose, anche se non è ancora chiaro come poi questa
“opposizione alle cose” si trasformi in una “posizione sulle cose”. Non
mi sembra, ad esempio, che abbia ancora costruito un solido manifesto di
idee, una piattaforma strutturata di visione e di obiettivi sociali,
anche se mi rendo conto che è un movimento “work in progress”. In ogni
caso, credo che commetta un errore di base, comune peraltro anche ad
alcuni partiti di sinistra in Europa».
Cioè?
«Cercare risposte nazionali a problemi transnazionali. La mia
convinzione è che, anche in Italia, alla fine la soluzione non verrà da
movimenti che cercano risposte su base nazionale. E i problemi
dell’Italia sono profondamente europei, a partire dalla sua stagnazione
economica. Così non avrebbe senso affrontare il cambiamento climatico su
base nazionale, allo stesso modo non si può cercare una soluzione
nazionale a problemi internazionali come la crisi delle banche, gli
effetti negativi della globalizzazione, la finanziarizzazione
dell’economia, l’esternalizzazione delle produzioni, la riduzione dei
salari e del welfare. Sono tutte questioni che nessun Paese può
risolvere da solo, che hanno bisogno di essere europeizzate. E bisogna
combinare questa europeizzazione con l’aumento della democrazia locale e
dell’attivismo sociale a livello municipale, regionale, e statale.
Questa è la nostra sfida, quella che stiamo lanciando e per la quale ci
rivedremo in un evento pubblico a Roma, quando i capi di stato e di
governo europei verranno a celebrare il 60° anniversario di un’Unione
che con le loro politiche stanno distruggendo».
Diem si presenterà alle elezioni?
«Intanto mi lasci dire che siamo un movimento europeo vero, non una
federazione di partiti nazionali: ogni decisione viene presa dai nostri
iscritti (al momento circa 40 mila) attraverso una consultazione on line
a cui si vota ugualmente in tutti i Paesi. Ad esempio, sul referendum
costituzionale italiano per prendere una posizione abbiamo ascoltato con
attenzione i pareri dei nostri iscritti italiani, che conoscevano
meglio la questione, ma poi abbiamo votato ugualmente tutti, dalla
Spagna alla Croazia. Per quanto riguarda gli appuntamenti elettorali, a
noi interessano i contenuti, le proposte, le idee per affrontare la
crisi. Quindi valuteremo in ogni Paese se ci saranno interlocutori che
facciano proprie le nostre proposte o se si renderà necessario un nostro
impegno diretto. In ogni caso, senz'altro troviamo necessario
l'emergere di veri partiti europei».
In Italia i partiti di sinistra non mancano, piccoli e divisi tra loro. Perché Diem non dovrebbe fare la stessa fine?
«Primo, noi abbiamo ben presente che se diventassimo un gruppo d’élite o
di ceto polito, ci suicideremmo: vogliamo andare nella direzione
opposta, cioè parlare alle persone, anche a quelle che non hanno mai
fatto politica, sulla base delle nostre proposte e di quelle che
emergeranno nel lavoro comune. Secondo, il nostro obiettivo è il
contrario dell’atomizzazione identitaria: è una grande coalizione tra
progressisti di diversa estrazione, in opposizione sia all’establishment
economico sia alle reazioni nazionalistiche come quelle dei vari Le
Pen, Trump, Farage, Orbán o Kaczyński. Non vogliamo essere un ennesimo
partito di sinistra, ma offrire alla sinistra la possibilità di tornare a
essere rilevante facendo parte di un movimento più ampio e nel quale
c’è un cambiamento di prospettiva e nel modo di pensare».
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