Contrordine, americani! La gobalizzazione non ci conviene più….
Gli
analisti sono ancora alla ricerca di una chiave di lettura unitaria che
consenta di tracciare lo scenario giusto entro cui infilare il “Mule”,
il miliardario impresentabile che tra 15 giorni entrerà alla Casa Bianca
da presidente dell'unica superpotenza ancora in vita.
Ma alcuni effetti già si vedono, anche se il tycoon gioca sporco (e facile) attribuendosene il merito.
La
notizia è semplice. Nella giornata di ieri Trump ha sparato un tweet
(per ora ancora non governa…) con cui criticava pesantemente la General
Motors, rea di assemblare in Messico uno dei modelli più venduti negli
Stati Uniti, la Chevy Cruz (in Europa nota come Cruze, sotto il marchio
Chevrolet, che ha assorbito qualche anno fa la coreana Daewoo). La
minaccia più pesante era comunque quella di istituire una “tassa di
confine”, in pratica un dazio pesantissimo, tale da da rendere
antieconomico produrre laggiù (dove i salari sono ovviamente assai più
bassi). "Fatelo in Usa – ha twittato Trump – oppure pagate una
consistente tassa".
Poche
ore dopo la Ford ha annunciato di aver annullato un accordo con lo
stesso Messico che prevedeva un investimento di 1,6 miliardi di dollari a
San Luis Potosì. Ne spenderà solo 700, ma per allargare lo stabilimento
di Flat Rock, in Michigan. L'azienda ci ha tenuto a precisare che la
decisione era stata presa molto prima, dunque in completa autonomia e
senza tener conto del futuro presidente Usa. Il quale ha però subito
emesso il solito tweet con cui rivendicava: "Tutto merito mio".
Chiacchiere
e propaganda, storytelling… Fatto sta che tutta la grande industria
manifatturiera Usa “sente” la pressione – sia del nuovo presidente che
dei cittadini impoveriti, clienti d'obbligo per i modelli più piccoli,
come Focus e Fusion (che qualche anno fa non venivano neppure
distribuiti negli States). E sente ormai molto meno il vantaggio di
produrre altrove.
Lo
stesso amministratore delegato della Ford, infatti, pur smentendo che
la decisione sia stata frutto della futura linea Trump, ha tenuto a far
sapere che lui "incoraggia le politiche pro crescita che il presidente
eletto Donald Trump e il nuovo Congresso hanno indicato di voler
perseguire. Crediamo che queste riforme fiscali e regolatorie siano
criticamente importanti per aumentare la competitività degli Usa e
naturalmente portare a una ripresa nel manifatturiero americano e
nell'innovazione high-tech".
Trump,
però, ha solo tradotto il slogan di successo qualcosa che stava già
avvenendo sotto la presidenza Obama: la ri-localizzazione della
produzione manifatturiera delle multinazionali Usa.
Dicevamo
all'inizio che la crisi economica ha messo di fatto fine al processo di
globalizzazione (o mondializzazione), innescando un movimento in
direzione opposta. Vuoi per l'aumento dei costi di trasporto delle
merci, vuoi per l'aumento dei salari anche nei paesi di nuova
industrializzazione, i margini di profitto su prodotti che devono fare
il giro del mondo si sono alquanto ridotti.
Ma
c'è anche una ragione ancora più strutturale, specie con riguardo a un
prodotto “maturo”, ma altamente simbolico, come l'automobile: le catene di montaggio sono ormai quasi completamente automatizzate (basta
guardare attentamente, nella foto di apertura, una delle catene di
montaggio più moderne utilizzate dalla stessa Ford, come peraltro fanno i
concorrenti). Questo significa che i dipendenti in carne e ossa
sono ridotti al minimo, in prospettiva sono “in via di estinzione”. La
conseguenza sui costi di produzione è immediata: la parte destinata ai
salari (operai, tecnici, impiegati) diventa quasi irrilevante. Quindi il
vantaggio di produrre all'estero si riduce a ben poco, specie per quei
modelli che debbono raggiungere un mercato lontano come quello “patrio”.
Ed è un vantaggio eroso o annullato dai costi della logistica,
soprattutto per i modelli meno costosi (che ovviamente garantiscono un
margine di profitto per unità molto basso).
Dunque
si può “tornare a casa”, quasi senza rimetterci nulla. Anzi,
guadagnandoci in popolarità, benefici fiscali, finanziamenti agevolati,
trattamenti di favore.
Unico
neo (ma ci vorrà qualche tempo prima che la “classe operaia bianca”
statunitense se ne accorga): i benefici per l'occupazione saranno
pressoché nulli.
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