In Val Susa come sull'Appennino, nei punti in cui si va a scavare – per la Torino-Lione come per il Terzo Valico – è accertata la presenza di amianto. Ma imprese costruttrici e governi hanno sempre assicurato: "nessun pericolo". Anche dopo le inchieste (non molte) della magistratura, quasi sempre incentrate su corruzione e mazzette, più che sulla partecipazione di famiglie mafiose o gli autentici crimini ambientali provocati da lavori peraltro inutili.
Tutti avevano anche provato a contrapporre le popolazioni residenti ai lavoratori impegnati nei lavori, e qualcuno di loro ci era anche cascato. Ora un'altra inchiesta rende pubbliche delle intercettazioni in cui i dirigenti delle imprese fanno spallucce al ritrovamento di abbondanti vene di amianto durante lo scavo delle "talpe". "Tanto la malattia arriva tra 30 anni…", quando i soldi saranno stati incassati e trasferiti in qualche paradiso fiscale, quando gli attuali ministri e dirigenti aziendali saranno morti e sepolti con tutti gli onori. Quando le famiglie dei "tumorati dalla Tav" cercheranno inutilmente un giudice che apra un processo per omicidio premeditato.
Perché ministri e dirigenti d'azienda sapevano tutto fin dall'inizio e hanno deciso che qualche decina di morti tra 30 anni era "un prezzo accettabile" pur di fare l'opera e incassare profitti o mazzette. Tanto, mica saranno loro a morire di mesotelioma pleurico…
Questo atteggiamento criminale del potere è stato sempre scoperto ex post, a cose fatte. Qui, questa volta, siamo invece "in corso d'opera". Si potrebbe benissimo fermare tutto e incarcerare i responsabili. E soprattutto escluderli per sempre da qualsiasi incarico di responsabilità, pubblico o privato che sia. Come si faceva agli albori del capitalismo (pensa un po' te…), quando esisteva pure la condanna alla prigione "per debiti". Fosse rimasta, il capitalismo familiare all'italiana non avrebbe avuto neppure un capitano d'industria…
Infine. La notizia è stata pubblicata anche da La Stampa, organo di casa Fiat-Fca in procinto di passare al gruppo Repubblica-L'Espresso. Ma opportunamente confinata nella pagina locale di Alessandria. Al resto d'Italia non far sapere….
*****
Così il dirigente Cociv rispondeva al collega preoccupato per il materiale nei cantieri
L’amianto non è sempre stata una preoccupazione per i manager del consorzio che sta costruendo il Terzo valico. Tanto
che 18 mesi fa uno dei superdirigenti poi arrestati per gli appalti
pilotati, davanti all’allarme di un sottoposto per la presenza della
fibra pericolosa nei cantieri lo tranquillizzava: «Tanto la malattia
arriva fra trent’anni…». Le cimici della Finanza stavano registrando tutto.
Pagani ai tempi era un manager di peso, risultando fra l’altro responsabile di progetto per la realizzazione del Ponte sullo stretto di Messina, opera del cui studio preliminare era stata incaricata Impregilo. A casa sua i militari del nucleo di polizia tributaria genovese avevano trovato mazzette per quindicimila euro, mentre in altre intercettazioni aveva palesato una certa disinvoltura nel rapporto con gli enti locali. Parlando con un altro collega dileggiava l’assessore alle Infrastrutture della Regione Liguria Giacomo Giampedrone (giunta di centrodestra guidata da Giovanni Toti) da cui erano state chieste garanzie sulle ricadute occupazionali nelle zone interessate dagli scavi: «Possiamo dirgli – ridacchiava Pagani – che adesso con quel tunnel facciamo una bella garetta, in cui inviteremo sicuramente delle imprese liguri. Non so quale, tanto poi non prenderà alcun lavoro, eh eh…».
Gli appalti sul Terzo valico rappresentano il cuore dell’inchiesta sulle tangenti per le grandi opere (altri episodi sospetti riguardano i lavori sulla Salerno-Reggio e la nascita del people mover di Pisa) che tre mesi fa aveva fatto scattare 21 misure cautelari. Il tribunale del Riesame le ha confermate e l’Anac, l’autorità nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, ha chiesto il commissariamento di Cociv, che aveva nel frattempo rimpiazzato il management.
Per contestualizzare la vicenda occorre
tornare alla fine del luglio 2015. Fra alcuni tecnici del Cociv,
raggruppamento d’imprese capeggiato da Salini-Impregilo che realizzerà
la nuova ferrovia Genova-Milano, c’è un po’ di apprensione poiché dagli
scavi saltano fuori materiali pericolosi. Gli abitanti delle aree
circostanti protestano, sia in Piemonte dove dovrebbe essere realizzata
gran parte del tracciato, sia sul versante ligure. In
quel periodo le Fiamme gialle e i carabinieri, su ordine delle Procure
di Genova e Roma, registrano ogni dialogo negli uffici Cociv del
capoluogo ligure: molte commesse potrebbero essere state assegnate in
modo illegale dal medesimo consorzio, che svolge il ruolo di general
contractor affidando lavori pagati con miliardi di soldi pubblici pur
essendo un soggetto privato.
C’è una conversazione fra le altre che
fa sgranare gli occhi agli investigatori, sebbene non rappresenti di per
sè la prova d’un reato. L’allora numero due Cociv Ettore Pagani – finito ai domiciliari a ottobre proprio per l’affaire appalti
(nella foto d'apertura, ndr) – è a colloquio con un collega, allo stato
in via d’identificazione. Il secondo si dilunga in una serie di
considerazioni più o meno dettagliate sulle rocce che contengono amianto
e sulle contromisure da adottare, lasciandosi andare a un certo punto a
un commento inquietante: «Il primo che si ammala è un casino», ripete, riferendosi agli operai che lavorano ogni giorno nelle zone più esposte.
Da Pagani ci si aspetterebbe un approfondimento dei rischi per la
salute, ma il tenore della frase che pronuncia di getto è differente: «Tanto – risponde – la malattia arriva fra trent’anni…». Questo
scambio non è contenuto nell’ordine d’arresto notificato nelle scorse
settimane, ma fa parte d’un corpo d’intercettazioni già trascritte dagli
inquirenti dopo l’ascolto audio, con le quali si focalizza la
spregiudicatezza che ha segnato per lungo tempo la gestione dei
cantieri.
Pagani ai tempi era un manager di peso, risultando fra l’altro responsabile di progetto per la realizzazione del Ponte sullo stretto di Messina, opera del cui studio preliminare era stata incaricata Impregilo. A casa sua i militari del nucleo di polizia tributaria genovese avevano trovato mazzette per quindicimila euro, mentre in altre intercettazioni aveva palesato una certa disinvoltura nel rapporto con gli enti locali. Parlando con un altro collega dileggiava l’assessore alle Infrastrutture della Regione Liguria Giacomo Giampedrone (giunta di centrodestra guidata da Giovanni Toti) da cui erano state chieste garanzie sulle ricadute occupazionali nelle zone interessate dagli scavi: «Possiamo dirgli – ridacchiava Pagani – che adesso con quel tunnel facciamo una bella garetta, in cui inviteremo sicuramente delle imprese liguri. Non so quale, tanto poi non prenderà alcun lavoro, eh eh…».
Gli appalti sul Terzo valico rappresentano il cuore dell’inchiesta sulle tangenti per le grandi opere (altri episodi sospetti riguardano i lavori sulla Salerno-Reggio e la nascita del people mover di Pisa) che tre mesi fa aveva fatto scattare 21 misure cautelari. Il tribunale del Riesame le ha confermate e l’Anac, l’autorità nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, ha chiesto il commissariamento di Cociv, che aveva nel frattempo rimpiazzato il management.
Nessun commento:
Posta un commento