Il cosiddetto “decreto affitti”, approvato dal
governo Renzi mercoledì scorso, è la più classica delle bufale:
presentato come un passo importante verso il superamento dell’emergenza
abitativa, è in realtà un contributo ulteriore al restringimento degli
spazi di intervento pubblico su questo fronte.
rifondazione.it Nando Mainardi
In Italia ci sono due
milioni di persone che vivono in condizioni di bisogno economico e di
precarietà abitativa: degli spot propagandistici del governo non se ne
fanno nulla. Se oggi ci sono 650.000 nuclei familiari – secondo i dati
diffusi da Federcasa – in graduatoria per l’assegnazione di una casa
popolare (negli ultimi tre anni le domande sono aumentate di 46.000
unità), non è solo una conseguenza della crisi, e quindi di una crescita
della domanda, ma è anche il risultato della riduzione progressiva del
patrimonio abitativo pubblico, ovvero dell’offerta. Dal 1993 ad oggi,
infatti, sono stati venduti ai privati ben 190.000 alloggi,
corrispondenti al 22% del patrimonio pubblico complessivo. Ad oggi, il
nostro Paese occupa gli ultimi posti in Europa per qualità e dimensioni
dell’intervento pubblico sul fronte abitativo: gli alloggi sociali,
rapportati al totale dello stock degli alloggi in affitto, corrispondono
al 5%, quando la media europea è del 25%. Un dato sconcertante, se si
tiene conto che, dal 2008 ad oggi, gli sfratti sono aumentati del 100% e
che nel solo primo trimestre del 2013 hanno toccato quota 40.000, di
cui 35.000 per morosità.
Difficile trovare qualcosa che, nel “decreto affitti”, possa essere
valutato positivamente. Dietro la patina della propaganda e delle slides
del premier, il “cuore” del decreto – come ha bene messo in evidenza
l’Unione Inquilini – pare essere proprio una nuova accelerazione della
dismissione del patrimonio abitativo (art.3). Si dà infatti mandato ad
un decreto ministeriale, che sarà emanato entro il 30 giugno, di
definire le procedure di alienazione degli immobili di proprietà degli
istituti delle case popolari. Inoltre viene istituito un fondo presso la
Cassa Depositi e Prestiti, finanziato per 18,9 milioni di euro per anno
dal 2015 al 2020, per dare contributi in conto interessi per l’acquisto
degli alloggi. Al contrario, tutte le misure che vengono contrabbandate
come positive sul fronte dell’emergenza abitativa sono dei veri e
propri “castelli di carta”. Il fondo per la morosità incolpevole (art.1)
è sì pari a 241,4 milioni, il che sarebbe uno stanziamento
ragguardevole. Peccato che Renzi non abbia spiegato che tale cifra è
riferita all’arco temporale 2014-2020, e che quindi – ad esempio – nel
2014 la cifra disponibile sarà di soli 39,6 milioni di euro. Un discorso
simile può essere fatto per il fondo sociale per l’affitto (art.1):
l’aumento di 100 milioni è in realtà riferito al biennio 2014-2015, e
non al solo 2014. Questo significa che, ai 50 milioni precedentemente
stanziati per quest’anno, vanno aggiunti altri 50 milioni. Per farsi
un’idea dell’adeguatezza della cifra, ricordiamo che nel 1999, quando
gli sfratti erano un terzo di oggi, lo stanziamento era di 388 milioni.
Un po’ più concreto è l’intervento sul recupero degli immobili di
edilizia residenziale pubblica (art.4), comprendente sia il ripristino
di alloggi di risulta sia gli interventi di manutenzione straordinaria,
al quale sono stati assegnati 500 milioni. Anche in questo caso, però,
non tutto è oro quello che luccica: c’è un problema sui tempi, perché
l’intervento verrà definito dal governo attraverso un decreto attuativo
entro sei mesi dalla conversione in legge del “decreto affitti”, e solo
dopo dovrebbe partire il piano vero e proprio; in più le risorse sono
state trovate da Renzi attraverso la revoca di finanziamenti ad altre
leggi riguardanti la riqualificazione urbanistica, l’edilizia pubblica e
gli interventi nelle aree ad alta tensione abitativa.
Il problema del “decreto affitti” è questo: gli interventi che
dovrebbero alleviare l’emergenza abitativa sono dei giochi di prestigio
o, comunque, presentano diverse incognite; quelli che puntano
all’ulteriore riduzione del patrimonio abitativo pubblico o che fanno
gli interessi dei proprietari sono certi, senza se e senza ma. Questo
vale per la riduzione della cedolare secca (art.9) dal 15% al 10%, che –
così com’è – si traduce unicamente in un vantaggio per i proprietari.
Il plauso di Confedilizia su questa misura non è certo casuale. Lo
stesso vale per l’introduzione dell’impedimento per chi occupa
abusivamente un immobile di chiedere la residenza e di allacciarsi ai
pubblici servizi (art.5). Da notare che il divieto, così come è definito
nel decreto, non riguarda solo l’occupazione abusiva di case popolari,
ma di qualsiasi immobile. E’ evidente che tale articolo ha una matrice
autoritaria e repressiva, ed è un attacco brutale ai movimenti e a chi
lotta.
Per tutto questo, il “decreto affitti” non rappresenta alcun passo in
avanti, ma pone le basi per un ulteriore arretramento. Se si volesse
intervenire sul serio sull’emergenza abitativa, il primo atto da
assumere – immediatamente – sarebbe quello di bloccare gli sfratti per
un anno su tutto il territorio nazionale. Poi si potrebbe cominciare a
discutere sul serio su come finanziare vere politiche pubbliche per la
casa e l’incremento del patrimonio abitativo pubblico, su come definire
gli interventi necessari. Invece ci troviamo a discutere di un semplice
spot, la cui credibilità dura quanto lo spazio di una slide.
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giovedì 20 marzo 2014
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