ROMA -
L’ arsenico negli acquedotti italiani? Un problema che in dieci anni è
stato risolto dappertutto, salvo che nel Lazio. E adesso per i «disagi
subiti» dall’utenza si parla concretamente di riduzione delle bollette e
addebiti - in pratica: multe - per i responsabili delle inadempienze:
Regione, Province, società di erogazione. E’ quel che emerge da due
rapporti incrociati - uno dell’Istituto Superiore della Sanità e l’altro
dell’Autorità per l’energia elettrica, acqua e gas - visionati in
anteprima da Corriere.it
La mappatura dell’Istituto di Sanità
«Disagi per l’utenza», addebiti in arrivo
Fonti
dell’Autorità spiegano che i «disagi subiti dall’utenza» non possono
essere contabilizzati nelle tariffe in quanto la potabilità dell’acqua
non è collegabile a criteri economici (della serie: non si può
monetizzare la salute in cambio di sconti in tariffa). Ma in qualche
modo chi ha sbagliato pagherà. L’obiettivo è quello di delineare «la
valutazione del soggetto cui imputare l’onere determinato» dalle
eventuali misure sostitutive per far fronte all’emergenza, come l’uso di
autobotti e la fornitura di acque minerali in bottiglia etc. Per essere
più chiari: si tratta di far sì che gli oneri dell’emergenza siano
correttamente addebitati ai responsabili dell’acqua contaminata. E non
fatti pagare all’utenza.
Nel 2004 il primo allarme Ue
Quanto
all’arsenico, l’allarme dalla Ue era stato lanciato più volte, a
partire dal 2004: «L’Italia deve ridurre la presenza della sostanza
venefica nell’acqua potabile, troppo alto il rischio per la salute». E
appunto: da allora l’Istituto di Sanità, raccogliendo i dati in arrivo
da Asl e società di erogazione idrica, ha monitorato i quantitativi di
sostanza disciolta. L’emergenza si è rivelata pesantissima in molte
regioni, come evidenziato nel primo riquadro della mappatura. L’allerta
era in vigore in Val d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto,
Trentino, Emilia, Toscana, Marche, Lazio.
Emergenza risolta in Val d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Trentino, Emilia, Toscana, Marche
Progressivamente,
grazie sia agli interventi di filtraggio e soprattutto a un contestato
programma di deroghe - in molti hanno parlato di «sanatorie» che
mettevano a repentaglio la salute - autorizzate prima dal ministero
della Salute e in ultimo anche dalla Commissione Sanità della Ue, il
problema è stato risolto. Lo si vede chiaramente sulle tavole
successive. I puntolini rossi scompaiono progressivamente. L’acqua è
tornata potabile. Anche per via dell’abbassamento dei limiti tollerati:
fissati inizialmente un minimo di 10 milligrammi per litro. Tetto a
lungo innalzato al limite di 50 e poi ribassato dopo le rimostranze Ue.
Il rapporto dell’Autorità Energia
All’Autorità spiegano che «per quanto riguarda i Comuni delle Regioni
Lombardia, Toscana, Campania e delle Province Autonome di Trento e
Bolzano, l’emergenza risulta rientrata - la «fotografia» è stata
scattata a inizio 2013, ndr
- con la scadenza dell’ultima deroga». Diversamente, alcune «criticità
si riscontrano ancora in vari comuni del Lazio, come rilevato
dall’Istituto superiore di sanità - che ha conseguentemente emanato le
opportune raccomandazioni - pur considerando gli investimenti previsti
sia per impianti di dearsenificazione, sia per opere per
l’approvvigionamento alternativo».
Misure realizzate «solo in parte»
Di
fatto, le misure pianificate «sono state solo in parte realizzate,
procrastinando la situazione di emergenza che a partire dal 1° gennaio
2013 riguarda prevalentemente alcune aree dell’ATO 1-Viterbo (che pare
presentare la situazione più critica) e dell’ATO 2-Roma». E ancora:
«i
9 anni di deroghe, scaduti il 31 dicembre 2012, non sono stati
sufficienti a rientrare pienamente nei parametri di conformità».
Adesso, secondo una stima dell’Autorità, l’emergenza riguarda ancora
281.614 persone. Se non altro il futuro è incoraggiante: «per una
popolazione 182 mila individui è previsto il completamento dei lavori
entro il 31 dicembre 2014, anche se l’avanzamento consentirà un
progressivo rientro entro i parametri di legge già nel corso del 2014».
Non male, dieci anni dopo il primo allarme Ue.
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