domenica 16 marzo 2014

Arsenico nell’acqua: tutta Italia rientra nei parametri, il Lazio no. Il primo allarme Ue nel 2004.

Nella regione maglia nera 1o anni «non sono stati sufficienti» a risolvere l’emergenza. Il rapporto dell’Autorità per l’Energia: prevista la riduzione delle bollette per i «disagi subiti dall’utenza». Problemi a Roma, Latina e Viterbo per 281.614 persone.

corriere.it di Alessandro Fulloni

ROMA - L’ arsenico negli acquedotti italiani? Un problema che in dieci anni è stato risolto dappertutto, salvo che nel Lazio. E adesso per i «disagi subiti» dall’utenza si parla concretamente di riduzione delle bollette e addebiti - in pratica: multe - per i responsabili delle inadempienze: Regione, Province, società di erogazione. E’ quel che emerge da due rapporti incrociati - uno dell’Istituto Superiore della Sanità e l’altro dell’Autorità per l’energia elettrica, acqua e gas - visionati in anteprima da Corriere.it
La mappatura dell’Istituto di Sanità
Sono impietosi, quei puntolini rossi che compaiono sulla cartina ufficiale elaborata dall’Istituto Superiore di Sanità e che raccontano l’andamento dell’emergenza arsenico, segnalata all’Italia da Bruxelles già nel 2004. La mappa spiega come la questione dei quantitativi «fuorilegge» della sostanza venefica disciolta nell’acqua sia stata affrontata, e progressivamente risolta, in tutte le regioni. Salvo che nel Lazio. Dove si concentrano, appunto, i puntolini rossi rimasti. Che indicano le località in cui esistono criticità, oggi circa una ventina. Il perché del ritardo resta tutto da chiarire: leggerezza, sottovalutazione dell’allarme, scarsa voglia di spendere nelle apparecchiature di filtraggio. Non bastasse, sui ritardi di Regione Lazio (le giunte che si sono susseguite dalla prima allerta Ue sono quelle Storace, Marazzo, Polverini e Zingaretti), Province di Roma, Latina e Viterbo e società di erogazione idrica, si concentra anche un’inchiesta dell’Autorità per l’Energia, l’ente che stabilisce, tra le altre cose, il tariffario delle bollette. Sono assai probabili riduzioni degli importi e addebiti ai responsabili dei disservizi. Indice puntato anche contro l’Arsial, (l’Agenzia regionale per l’agricoltura) in questi giorni sotto accusa per le inefficienze mostrate nella gestione dell’emergenza esplosa negli acquedotti di due municipi romani: XIV E XV. L’Autorithy all’Energia contesta all’ente regionale di non aver adempiuto all’obbligo di comunicare i dati e le informazioni necessari all’elaborazione dei criteri tariffari.
«Disagi per l’utenza», addebiti in arrivo
Fonti dell’Autorità spiegano che i «disagi subiti dall’utenza» non possono essere contabilizzati nelle tariffe in quanto la potabilità dell’acqua non è collegabile a criteri economici (della serie: non si può monetizzare la salute in cambio di sconti in tariffa). Ma in qualche modo chi ha sbagliato pagherà. L’obiettivo è quello di delineare «la valutazione del soggetto cui imputare l’onere determinato» dalle eventuali misure sostitutive per far fronte all’emergenza, come l’uso di autobotti e la fornitura di acque minerali in bottiglia etc. Per essere più chiari: si tratta di far sì che gli oneri dell’emergenza siano correttamente addebitati ai responsabili dell’acqua contaminata. E non fatti pagare all’utenza.
Nel 2004 il primo allarme Ue
Quanto all’arsenico, l’allarme dalla Ue era stato lanciato più volte, a partire dal 2004: «L’Italia deve ridurre la presenza della sostanza venefica nell’acqua potabile, troppo alto il rischio per la salute». E appunto: da allora l’Istituto di Sanità, raccogliendo i dati in arrivo da Asl e società di erogazione idrica, ha monitorato i quantitativi di sostanza disciolta. L’emergenza si è rivelata pesantissima in molte regioni, come evidenziato nel primo riquadro della mappatura. L’allerta era in vigore in Val d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Trentino, Emilia, Toscana, Marche, Lazio.
Emergenza risolta in Val d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Trentino, Emilia, Toscana, Marche
Progressivamente, grazie sia agli interventi di filtraggio e soprattutto a un contestato programma di deroghe - in molti hanno parlato di «sanatorie» che mettevano a repentaglio la salute - autorizzate prima dal ministero della Salute e in ultimo anche dalla Commissione Sanità della Ue, il problema è stato risolto. Lo si vede chiaramente sulle tavole successive. I puntolini rossi scompaiono progressivamente. L’acqua è tornata potabile. Anche per via dell’abbassamento dei limiti tollerati: fissati inizialmente un minimo di 10 milligrammi per litro. Tetto a lungo innalzato al limite di 50 e poi ribassato dopo le rimostranze Ue.
Il rapporto dell’Autorità Energia
All’Autorità spiegano che «per quanto riguarda i Comuni delle Regioni Lombardia, Toscana, Campania e delle Province Autonome di Trento e Bolzano, l’emergenza risulta rientrata - la «fotografia» è stata scattata a inizio 2013, ndr - con la scadenza dell’ultima deroga». Diversamente, alcune «criticità si riscontrano ancora in vari comuni del Lazio, come rilevato dall’Istituto superiore di sanità - che ha conseguentemente emanato le opportune raccomandazioni - pur considerando gli investimenti previsti sia per impianti di dearsenificazione, sia per opere per l’approvvigionamento alternativo».
Misure realizzate «solo in parte»
Di fatto, le misure pianificate «sono state solo in parte realizzate, procrastinando la situazione di emergenza che a partire dal 1° gennaio 2013 riguarda prevalentemente alcune aree dell’ATO 1-Viterbo (che pare presentare la situazione più critica) e dell’ATO 2-Roma». E ancora:
«i 9 anni di deroghe, scaduti il 31 dicembre 2012, non sono stati sufficienti a rientrare pienamente nei parametri di conformità». Adesso, secondo una stima dell’Autorità, l’emergenza riguarda ancora 281.614 persone. Se non altro il futuro è incoraggiante: «per una popolazione 182 mila individui è previsto il completamento dei lavori entro il 31 dicembre 2014, anche se l’avanzamento consentirà un progressivo rientro entro i parametri di legge già nel corso del 2014». Non male, dieci anni dopo il primo allarme Ue.

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