di Francesco Filippi
Cosa si mette in un museo? Un sacco di cose! In un museo di storia, per lo più, oggetti e testimonianze relativi a un determinato periodo del passato che permettano al visitatore di comprendere e conoscere, attraverso un percorso ragionato, il periodo preso in esame.
Il paese in cui è nato il capostipite dei totalitarismi novecenteschi non si è ancora dotato di un museo ad hoc per raccontare a sé stesso uno dei periodi più bui della propria storia. Perché?
Probabilmente perché il fascismo non pare essere ancora limitabile in un percorso ragionato immediato, se non a prezzo di ferocissime polemiche con riflessi anche sull’attualità. Il fascismo italiano non è per nulla, oggi, un periodo relegato al passato.
L’ultimo episodio in ordine di tempo, relativo alla mozione – poi ritirata – dei consiglieri comunali M5S per la realizzazione di un museo del fascismo a Roma, dimostra quale sia il terreno, tutt’altro che tecnico e/o storiografico, su cui si muove la vicenda: una mozione che avrebbe voluto dare a Roma un museo che avrebbe attirato “scolaresche, curiosi, appassionati (sic!) ma anche turisti da tutto il mondo". Un polo di attrazione turistica, insomma. Si è trattato, a una prima impressione, più di una boutade che di una proposta concreta, tant’è vero che è subito naufragata.
Le obiezioni a questa iniziativa sono state immediate e veementi, interessanti nelle loro argomentazioni: la sindaca di Roma ha ribadito che “Roma è una città antifascista”. Impossibile accogliere ora un museo sul (del?) fascismo, perché ne metterebbe a rischio lo statuto. Una dimostrazione evidente che in molti siano convinti che un museo sul (del?) fascismo diventerebbe inevitabilmente una celebrazione di quel periodo.
Che l’argomento “museo del fascismo” sia stato e sia oggetto di contese più politiche che storiche è quasi banale. Si può dire che la storia sia una delle “clave retoriche” preferite da certa politica di questo paese da quando questo paese ha una storia da poter strumentalizzare. Il ventennio non fa eccezione, anzi.
Si è discusso per molto tempo del luogo in cui accogliere un museo del fascismo: Predappio, paese natale di Mussolini, è stata una sede possibile, pur tra i molti dubbi degli storici sull’impatto che un museo del genere avrebbe su una piccola cittadina. Il rischio, evidenziato da alcuni storici, che a Predappio il museo diventi un “mausoleo” – Predappio già ospita le spoglie del duce - è concreto: già ora in occasione delle date simboliche del racconto fascista si assiste al triste pellegrinaggio di nostalgici e revanscisti di ogni età che rendono omaggio all’uomo che ha precipitato l’Italia negli orrori del Novecento.
La presenza di un museo potrebbe chiudere il cerchio attorno a quello che diventerebbe una sorta di parco a tema del ventennio: una meta ideale per allegre scampagnate in camicia nera con buona pace dei possibili intenti formativi. Le difficoltà e le polemiche hanno impantanato il progetto e le strutture della locale casa del fascio, monumento del regime al regime stesso, pare che saranno ora utilizzate per un museo di storia locale.
Un’altra città, oltre Predappio e Roma, che sembrerebbe potersi presentare come quella che meglio riuscirebbe a raccontare il fascismo anestetizzandone la retorica è Milano, che del movimento fascista fu la culla e la tomba, ma anche in questo caso non si è andati al di là delle proposte.
Prima ancora del “dove?” i problemi principali della questione sembrano essere il “chi?” e soprattutto il “come?” si deve costruire un museo del fascismo.
In Italia finora pochissime iniziative attorno al tema sono andate al di là delle semplici uscite giornalistiche o dei pasticci politici come quello citato di Roma. Il dibattito che la stessa Predappio fece scaturire tra gli storici qualche anno fa ha dimostrato la difficoltà di dare un senso chiaro alla possibile esposizione. I molti che negli anni hanno discusso della possibile costruzione di questa struttura per lo più pare abbiano ignorato il modo e gli scopi per cui un museo sorge all’interno di una comunità. Il nocciolo della questione è che la discussione su un possibile museo del fascismo dovrebbe, per una volta, essere strappata dalle mani di chi non è materialmente competente ad imbastirla. Detta in maniera ancora più netta: se di museo si dovrà parlare, che ne parlino gli storici e gli esperti di didattica museale e non i politici o, categoria tipica del made in Italy, gli “opinionisti”.
E dal tema del “chi?” deriva direttamente il problema del “come?”.
A Monaco di Baviera, la “capitale del movimento” nazista, si è scelto di non costruire un museo sul totalitarismo tedesco ma un centro di documentazione, un luogo cioè in cui anziché cristallizzare la lettura del regime hitleriano si mostrino dinamicamente i risultati delle ricerche che quel periodo continua a produrre. Un’esposizione fluida, aperta ai progressi storiografici e soprattutto con un tema espositivo chiaro: il nazismo nella complessità del suo orrore, senza spazio per possibili sacralizzazioni.
Pare necessaria fin da subito una riflessione su quello che si racconterà, quindi. Si dovrebbe ad esempio dire, sul modello tedesco, che dovrà essere un museo in cui il fascismo verrà presentato all’opinione pubblica nella sua veste più chiara riguardo temi fondamentali del totalitarismo italiano: la violenza politica, le guerre di aggressione, la limitazione delle libertà civili individuali. I crimini che il fascismo commise nei confronti degli stessi italiani a cui il museo sarebbe principalmente rivolto. Questa funzione “militante” però si scontrerebbe inevitabilmente – non ne sentite anche voi già gli echi? – con l’idea che ci sia la necessità di presentare anche gli aspetti del fascismo che per alcuni non sono così deteriori. In nome della completezza narrativa si potrebbe arrivare ad avere un’esposizione in cui accanto ai crimini fascisti nei Balcani il visitatore si troverebbe ad ammirare i progetti architettonici del Foro Italico.
Un appiattimento, una banalizzazione delle violenze fasciste, già poco conosciute ai più, diluite in una sorta di plasma informe: un racconto alternato di omicidi politici e opere pubbliche, gas asfissianti e trasvolate oceaniche, rastrellamenti e “sconfitte onorevoli”, che darebbero l’immagine falsata di un regime che “costruiva le piste di atletica mentre ogni tanto ammazzava qualcuno”.
Questa retorica livellante va combattuta e disinnescata ancor prima di pensare alla musealizzazione del fascismo.
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Prima di mettere in bacheca la sua rappresentazione è necessaria una solida piattaforma di conoscenza della realtà della storia del fascismo e questo va portato avanti attraverso un’azione capillare. Gli strumenti ci sono già: la Rete degli Istituti per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea intitolata a Ferruccio Parri e tutti gli Istituti storici che in Italia si occupano di Resistenza dovrebbero essere il centro del progetto di racconto pubblico del ventennio, una volta tanto anche con un investimento economico pubblico adeguato. Lo sviluppo e il rafforzamento di quelli che negli anni sono stati dei veri e propri presìdi di storia e memoria potrebbero già rispondere a gran parte delle domande a cui oggi alcuni cercano di ribattere con la proposta di un museo del fascismo. Prima di musealizzare il fascismo è necessario, anzi, impellente, storicizzarlo.
A meno di non voler continuare a mantenere il tema come bandierina da sventolare a fini di dibattito politico “di giornata”, appare evidente che al momento non ci siano i presupposti per un sereno e costruttivo ragionamento sull’ipotesi di un museo del fascismo. Non perché nel paese manchino le conoscenze, le esperienze e le capacità operative ma perché, semplicemente, il fascismo in Italia non sembra davvero essere un argomento pronto per essere musealizzato. Nei musei si mettono le testimonianze del passato e pare chiaro che oggi, in Italia, il fascismo non sia ancora “passato”.
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