martedì 25 agosto 2020

IRRIDUCIBILI DI STATO.

Ogni volta che si riapre la questione dell'indulto per gli anni di piombo, le passioni si scatenano.

Per Rossana Rossanda è sempre colpa degli altri... e lei, con il ...

"Il manifesto" Rossana Rossanda
Degnissime persone, come Piersanti Mattarella, sussultano: così in fretta! Eppure, da quel tempo sono passati almeno vent'anni, i carcerati ne hanno scontati mediamente diciassette - più di chi compie altri delitti - una vita, e dell'indulto si parla da almeno due legislature, anzi da quando l'allora presidente della repubblica, Cossiga mandò un documento solenne al parlamento.
Giovanni Moro, figlio della vittima più illustre, esclama: ancora no, perché troppi sono i misteri che avvolgono la fine di mio padre.
Sì, troppi, ma non dalla parte di chi lo ha sequestrato e ucciso, come anche un irrimediabile dolore può discernere.
Piuttosto, di come e perché fu deciso di non agire come Moro chiedeva e avrebbe agito, la ragione va chiesta a quel che rimane della Democrazia cristiana e del Partito comunista.
C'è un nervo scoperto nel ceto politico italiano - altra cosa sono le famiglie delle vittime - che gli rende possibile capire dal lontano fascista al presente tangentista, ai fratelli Brusca, diventati strumenti di giustizia, ma non di capire i movimenti eversivi e armati degli anni settanta.
Dico "capire", non assolvere.
Dico rendere la sua vera tragica immagine a colui che ha alzato le mani contro l'assetto sociale e statale di allora, in una guerra civile non dissimile dall'Eta o dall'Ira, o da Hamas, che si condannano ma si intendono.
E malgrado quelle siano organizzazioni terroristiche in senso proprio, che colpiscono le popolazioni, mentre gli armati italiani no: da noi la strage appartiene solo al filone oscuro degli apparati fascisti nello stato.
Si può gridare che l'estrema sinistra non aveva il diritto di uccidere, ma non si può negare la politicità del delitto, il suo contesto, la sua parabola e fine.
Perché è così difficile? Perché quelle straniere sono lotte armate per indipendenze o secessioni, e queste nostre erano dirette contro un assetto sociale e statale ritenuto ingiusto? Fu una sollevazione meno arcaica: non è ingiusto, non lo era l'assetto sociale? Che esso avesse le forme della democrazia rendeva impensabile che venisse attaccato? Ma le hanno Spagna, Gran Bretagna, Israele.
Da noi si sollevò gettando la vita propria e altrui, una minoranza di coloro che avevano sperato in una grande stagione di cambiamenti, forse utopica, certo non indegna.
Fu un errore, anche una protervia verso chi come loro sentiva ma non li aveva delegati alle armi.
Certo non fu una faccenda di crudeltà né di soldi.
Neppure si può dire che fossero comunisti, picisti, tentacolo dell'odiato totalitarismo russo: erano figli della generazione del dopoguerra, che le bombe di piazza Fontana e l'esito cileno d'un tentativo tutto legalitario e tutto parlamentare, convinsero che una strada percorribile per il movimento operaio non c'era.
Sbagliarono? Certamente.
Non soltanto nel metodo, nell'analisi dei rapporti di forza, anche sulla maturità dei cambiamento.
Ma non nel cogliere la violenza senza sangue visibile, con la quale quella generazione operaia e studentesca sarebbe stata sconfitta in quel che aveva sperato e financo creduto di vivere, e che un sistema politico forte e senza sensi di colpa avrebbe colto ed elaborato, impedendo in tempo la deriva disperata.
Questo fu capito da tutti, a quel tempo, fino al sequestro di Moro.
Fu visto che la violenza non'era da una sola parte, né da quella più visibile. Basta leggere i giornali di allora.
E' dopo che siamo diventati un paese di anime belle, che nega la violenza d'un sistema anche davanti alle sue devastazioni.
E quando alcuni di noi dicono che quel tempo è finito, che dal 1987 gli armati hanno deposto anche ogni interiore arma, e molti riflettono sull'errore, e hanno pagato tutto salvo con la morte, e non pochi anche con questa, saltano per aria il ceto politico, e certa base ex comunista, che per trovare pace deve credere che fossero agenti della Cia o del K.G.B.
Non è una storia da chiudere soltanto con gli ormai non più giovani protagonisti di allora: è una storia che il paese deve chiudere con se stesso. Non c'entra il dolore delle famiglie, privato e insanabile, che non merita di essere usato per nascondere la incapacità pubblica di leggere quel che è avvenuto.
Tanto meno c'entra il diritto, che da tempo ha elaborato il delitto politico. C'entra uno stato che era debole, è diventato guasto, non ha un'idea di sé sufficiente a darsi un profilo storico e umano di qualche levatura.
La dura Germania ci è riuscita.
Perché noi no?

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