martedì 25 agosto 2020

Corpo dunque sono | Per una politica del vivere.

Sei guarita e sei tornata

I guardiani sono venuti a controllare i certificati, dentro casa

La vicinanza delle istituzioni si è sentita solo in questo

Il resto è stata fatica ma anche ricchezza che resterà tra noi

 

 effimera.org Cristina Morini

Trauma. “Ferita con lacerazione prodotta nell’organismo da un qualsiasi agente capace di un’azione improvvisa, rapida e brutale”. In psicanalisi, diventa riferimento agli effetti di uno shock violento sull’insieme dell’organismo. Tutte e tutti, indistintamente, siamo feriti. Abbiamo visto la precarietà esistenziale farsi letteralmente carne mentre il virus, incurante di barriere, attraversava e segnava, a volte in modo indelebile e tragico, il corpo (individuale e collettivo). In tempi di capitalismo cognitivo, di virtualizzazione, rarefazione della presenza materiale, digitalizzazione e astrazione, in tempi in cui il suffisso bio è abusato ma sembra più un’allusione ontologica che una consapevolezza tangibile, il corpo (individuale e collettivo) ritrova tutta la propria centralità, il peso, la fisicità organica e senziente, il piacere e la sofferenza, la fragilità mortale e perciò il suo immenso potere. Il nostro corpo, completamente “disorganizzato”, improduttivo, represso, cancellato, è il solo elemento che può, semplicemente, farci vivere, mantenere in vita noi che, affannandoci per affermare un’identità precostituita, ci credevamo immortali, fidandoci della promessa del capitale.

Nel romanzo di Don DeLillo Zero K, Ross Lockhardt, il ricchissimo protagonista, e l’amata moglie Artis, malata di cancro, decidono di fare conservare (sospensione criogenica) i propri corpi e le proprie coscienze da Convergence, un’azienda tecnologica di cui Ross è il principale azionista, nella futuristica sede nascosta tra la sabbia del Kazakistan. “Tutti vogliono possedere la fine del mondo”. Arrivare fino al giorno in cui “la medicina potrà guarire ogni malattia”. Governare la morte contando sul fatto che “nel corso degli anni ci saranno dei progressi. Parti del corpo verranno sostituite o ricostruite. Un riassemblaggio, atomo per atomo”. “Non stiamo parlando di una vita spirituale eterna. Qui si tratta del corpo”. “Tempo, destino, possibilità, immortalità[1].

L’inizio del nuovo Millennio e la finanziarizzazione dell’economia, con l’immensa capacità di accumulazione di cui la finanza è capace (mai vista, prima di questa fase, in tutta la modernità capitalistica), fanno emergere dalle più recondite profondità l’eterno sogno del capitale di dominare definitivamente la dialettica soggetto/oggetto, specie umana/natura, trascendendo per sempre ogni forma di vita naturale. Andrà chiarito ancora, per non destare equivoci, che con il termine vita intendo nominare non l’esclusiva dimensione biologica né tanto meno il significato dottrinale e ideologico che può assumere, ma il contenuto della medesima in termini di vivibilità, immanente e sociale.

In questo anno terribile, l’essere umano, soggettivamente e individualisticamente immaginato da una struttura di potere che cerca di fissarlo in una unanime identità alienata (il “capitale umano”), si è trovato, in ogni luogo del mondo, improvvisamente inchiodato al problema della sopravvivenza. Già Fromm segnalava la sopravvivenza come sintomo della necrofilia della società capitalistica, con i suoi tempi manipolati, tra sentimenti, emozioni e relazioni falsate che tuttavia vanno obbligatoriamente soddisfatti per potersi dire integrati[2].

Dobbiamo riconoscere che non si può prescindere dal fatto, solo apparentemente assodato,

“che noi siamo nella natura, quindi bene o male da essa limitati. L’importante è vedere se questa delimitazione sia una delimitazione che riguarda il rapporto uomo natura e non invece il rapporto che una cosa, cioè il capitale, ci obbliga ad avere con la natura. C’è un uomo alienato, c’è una natura alienata: l’importante è arrivare a una situazione di disalienazione non solo dell’uomo ma anche della natura”[3].

La natura, da sempre perseguitata da interpretazioni idealistiche o animistiche, da sempre “rappresentata come matrix gravida, come madre: natura a nascitura dicitur[4], ci ha fatto contemplare il suo progressivo disfacimento. Allo stesso tempo, l’essere umano, preteso onnipotente ma in realtà cosificato dalla cosa-capitale, sembra essersi consacrato alla minima dotazione istintuale e al massimo sviluppo cerebrale, processo che espone alla rovina anche la sua esistenza. Il virus ci ha avvicinati nuovamente all’animale. Come sempre nella storia, già nel mito, la macchina “estensione/protezione del corpo modificato” serve soprattutto a trasformare gli istinti: “Gli istinti sono stati profondamente modificati da processi di addomesticamento molto strutturati”. Tale variazione, “svolge un ruolo rilevante nella specie umana poiché si realizza non solo come movimento “naturale” ma soprattutto come un movimento di “tecno-natura””[5].

Esiste da sempre una polarizzazione tra estremi che non sono puramente teorici ma segnano profondamente il destino dei corpi, tra un corpo-natura e un corpo-artefatto, che richiama l’eterna separazione tra natura e cultura così tante volte, giustamente, rigettata. L’esperienza del Covid-19 ha avuto il ruolo determinante di fare riaffiorare, riportando alla luce, al centro della scena, tra tanta tossica iper-stimolazione neuronale, il significato tutto intero dei corpi, dei corpi viventi, della natura viva, meglio ancora della vitalità come sapere situato. Ha inoltre allargato la cognizione che

“il gusto della vita è determinato non dalla gioia per la vitalità della natura intera, dell’aquilegia, del merlo, del gallo cedrone del lattante, bensì dalla paura per la vita, per il suo possesso, per la sua sicurezza, nel tentativo di pianificarla e migliorarla”[6].

Come ha rammentato Donna Haraway con una preveggenza che è stata particolarmente suggestiva per molte e molti in questo incredibile momento della storia,

Nel gioco della vita stessa […] rimane l’ambiguo suggerimento di proteggere la propria specie, ovvero l’Homo sapiens, dall’estinzione. Il feticismo può essere molto divertente quando proliferano sostituti, surrogati e vampiri, ma si presenta sotto varie forme. La Natura conosciuta, ricreata come Vita attraverso una prassi culturale rappresentata come Tecnica entro specifiche circolazioni di proprietà, è un punto cruciale nel mio discorso ibrido[7].

Tutti i corpi, tutta “l’inquieta moltitudine dei non umani che le convenzioni occidentali definiscono natura” e che stanno al centro discorso ibrido di Haraway, mostrano la percezione della fondamentale interdipendenza con altri corpi. Occultata, per l’uomo contemporaneo, dall’autorappresentazione ipercompensatoria della personalità narcisistica e performante che viene stimolata dai dispositivi tecnologici al centro delle convenzioni produttive del capitalismo biocognitivo.

Il corpo è luogo dove si incontrano processi molteplici, un sensore fondamentale e inaggirabile, come bene le donne sanno. Nasciamo corpi da un corpo: “Muovere da qui non vuole dire, in alcun modo, assumere il corpo come dato certo, una cosa che posso conoscere in modo oggettivo, scientifico” ma certo esso è “il dato naturale da cui non posso prescindere. Il y a, e questo “c’è” mi costituisce”[8]. Consente di posizionarsi rispetto all’universalismo inteso come nucleo della “razionalità occidentale su cui poggia il colonialismo, la pretesa di uniformare soggetti e rapporti all’ordine e alle forme di vita dell’occidente. Anche su questo, partire dal corpo muta i termini del confronto”[9]. Ricordando ciò, voglio nominare tutti gli individui delle classi oppresse a cui è stata negata una soggettività, per farne oggetti di oppressione e appropriazione, come perfettamente spiega Monique Wittig, rifuggendo da ogni ricostruzione di “gruppi naturali” di natura ideologica “al punto che i nostri stessi corpi e le nostre stesse menti sono il prodotto di questa manipolazione”. “Fin nelle nostre carni e nei nostri pensieri”[10].

Il corpo è perciò, primariamente, il corpo sessuato e genderizzato. I dispositivi di controllo sui corpi hanno il compito di eclissare le rotture di cui il corpo è portatore, pulsioni, potenza e affetti, anche qui, paradossalmente, partecipando a un ordine e a una razionalità universale che porta con sé il principio e la strategia dell’esclusione o dell’oggettificazione. Il primo oggetto concepito dall’uomo, l’archetipo della proprietà privata, è l’oggetto sessuale, scrive Carla Lonzi[11]. La specie dell’uomo ha sfidato continuamente la vita, cercando “un senso della vita aldilà e contro la vita stessa”, mentre “per la donna vita e senso della vita si sovrappongono continuamente[12] (il femminismo è una filosofia della vita). I corpi non protagonisti, relegati all’immanenza come marchio di inferiorità che ne gerarchizza i destini, la loro potenza generativa e libidinale, storicamente sono sempre stati controllati e semmai tradotti in valore “psico-economico”. L’interesse che il potere economico ha verso questi corpi sembra indissociabile da una valutazione del loro potenziale libidinale. Si tratta di una visione monca della condizione umana stessa, della omissione di “certe verità sulla vita”, una dimenticanza talmente intrisa di significati, concreti e simbolici, che dovrebbe indurci a scavare ancora meglio nelle oscurità profonde dei nodi originari.

I problemi inediti con la pandemia restano, mai dimenticati. I movimenti di liberazione transfemministi e antirazzisti dovrebbero tenere alta la guardia rispetto a tutti i processi che, generando esclusione e repressione, limitano le differenze, la libertà di scelta, i diritti in campo riproduttivo, le garanzie relative alle possibilità di espressione e di movimento, la salvaguardia delle istituzioni politiche create dal basso che si fondano sul’incontro. Come già sperimentato dalla comunità gay in anni passati, lo stigma, lo spaesamento, la paura, l’isolamento e il silenziamento hanno un potente effetto distruttivo (luttuoso) sulla collettività, che può essere certamente recuperato ma dovendo andare a ricostruire da capo i collegamenti, dovendo riedificare dal principio solidarietà e fiducia.

Il timore è che tutto ciò esalti il recupero di ruoli atavici, fondati su ancestrali meccanismi psichici (i pochi lavori disponibili vadano ai maschi capofamiglia; le donne si dedichino ai figli, cui è levata la scuola, e ai compiti donneschi; la cellula costitutiva resti la famiglia, non importa se disfunzionale, visto che si tratta di reggere pesantissime conseguenze economiche). In generale, l’emergenza ha imposto la “moralità familiare”, lo scambio tra “congiunti”. Il potere conferma, non diversamente nell’era Covid-19, anzi, le sue lunghe radici intimamente reazionarie. “Sessuofobia, moralismo, conformismo, terrorismo”, con la famiglia come caposaldo dell’ordine patriarcale[13], mentre la spinta concentrazionaria dei capitali sembra sempre più collimare con già noti meccanismi delle “vite a perdere”.

Se siamo ancora consapevoli di questo, forse, allora, riprendendo il filo dalle esperienze e dai saperi dei corpi dissidenti, la tragica esperienza con la pandemia potrà servire in qualche modo a mutare i nostri punti di vista? Forse possiamo ammettere che ciò che abbiamo vissuto, se analizzato più profondamente e più apertamente, può essere interpretato come morte della fantasia di un’impossibile padronanza? Forse la sofferenza e la confusione dell’anno 2020 potranno aiutarci ad affrontare il nodo del nostro rapporto con la tecnologia, che imprigiona la vita, pretendendo di mortificarla e con ciò rendendola controllabile, estraibile? “Nel feticismo delle merci, all’interno di zone mitiche e ferocemente concrete delle relazioni di mercato, le cose sono fonti di valore, mentre le persone appaiono e addirittura diventano cose improduttive, mere appendici delle macchine, semplici veicoli per replicatori”[14] (corsivo mio).

Karl Marx ha impostato questi passaggi. Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 già si nota che il capitale sostituisce il lavoro con le macchine ma respinge una parte dei lavoratori “ad un lavoro barbarico, riducendo a macchine l’altra parte”. Lo smartworker perennemente connesso nel lavoro domiciliare e il rider che corre sulla bicicletta nelle città blindate dal lockdown sono i due prototipi estremi di questa sola “vita produttiva” che è solo “vita generica”: “la vita stessa appare nel lavoro alienato, soltanto mezzo di vita[15].

È stato un apprendistato, per noi, arrivare all’essenza, un attimo prima che si spegnesse la luce? Da queste attività, pure estraniate, del corpo-mente della donna e dell’uomo, il capitale ha continuato a guadagnare, accumulando, virus o meno. Garantendo solo “le più schiette funzioni umane” (“mangiare, bere, generare”[16], è ancora Marx a fare questo elenco minimo). Solo la sopravvivenza del necrofilo capitale.

Ci siamo perciò scoperti inermi e svuotati. Il corpo è immerso in processi che lo producono, lo riproducono, lo sostengono, lo compongono, lo impoveriscono e lo dissolvono. Il corpo che noi abitiamo è l’irriducibile misura di tutte le cose pur restando un’entità sempre aperta e intercomunicante con il mondo[17]. Ecco l’arcano del valore, infine. Ecco risolto un enigma solo apparente, poiché già conoscevamo la soluzione.

La debolezza, la malattia, la vecchiaia, la solitudine, la povertà, le esperienze relegate ai margini, non valgono, ma hanno guadagnato il centro. Fine di una rappresentazione mentale fittizia che diventa sostitutiva della realtà. Basta con il rischio permanente di una scissione del vissuto dal pensato. L’uomo neuroconnesso, iperconnesso capisce ma non sente. Il virus ha portato in superficie i sentimenti più intensi (paura, amore, dolore, rabbia) che sono anch’essi un’espressione corporea.

Dice la Cassandra di Christa Wolf:

“Paura della morte. Come sarà. La debolezza avrà il sopravvento. Il corpo imporrà il dominio sul pensiero. Con un violento spintone la paura della morte tornerà facilmente a occupare tutte le posizioni che ho strappato alla mia ignoranza, ai miei agi, al mio orgoglio, alla mia viltà, indolenza, pudore”[18].

Il malessere provato nella solitudine del distanziamento sociale, distanza dagli ammalati, dagli amici, dagli amori, dai propri studenti, dai propri professori, dai compagni e dalle compagne che si stagliavano lontanissimi nelle notti insonni di tutte le ricorrenze senza piazze che abbiamo attraversato, è espressione vitale di un bisogno di riconquista dei corpi, che debbono stare insieme. Desiderio cocente di altri corpi.

“Se dovessimo fare una lista delle cose che più ci sono mancate in questa quarantena – esercizio utile, se non altro per rendersi conto di quanta poca importanza un certo consumismo rivestisse nelle nostre vite – le relazioni umane sarebbero senz’altro ai primi posti. Ci mancano gli amici. Ma proprio tutti? Ecco un esempio semplice di cosa significa superare la scelta binaria fra crescita e decrescita. Meno amici e più amicizia”[19].

Il corpo vale nella sua materialità, in quanto metafora di intrecci, inscrizioni/incorporazioni, trame collettive con altri corpi. Poi ci sono le narrazioni egemoniche, autoritarie, selettive del potere che si sono scatenate contro intere popolazioni indifese. Penso al Brasile, ai neri afroamericani che si sono visti “morire e buttare nelle fosse comuni”, come ha scritto Sergio Bologna[20], penso alla Palestina allo stremo, ma anche alle forme di genocidio applicate nel nord d’Italia nelle Residenze sanitarie assistenziali, su pazienti anziani e disabili. In Lombardia, i parenti di queste persone, che in centinaia di casi sono morte, raccontano storie di abbandono e stanno pensando di appellarsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo per “potenziali crimini contro l’umanità”. Che ruolo hanno avuto, in questa tragica storia, le riforme sulla sanità varate dalla Regione dai tempi di Roberto Formigoni e la cancellazione della medicina del territorio?

Si sono rese trasparenti le differenze di classe, le scelte classiste, selettive, in termini di assistenza, di stato sociale, di accesso al reddito, alla casa, alla sanità, alla cura, all’istruzione, operate in questi decenni in tutto il mondo, sotto la governance dell’austerity, del debito e della precarietà di vita, imposta dal prevalere dell’economico sul politico, laddove il progetto è stato esattamente quello di un governo razionale e tecnocratico dei corpi. Tutto ciò è completamente manifesto in alcuni regimi, già sopra citati, che hanno estremizzato la violenza dell’esclusione. Ma le “democrazie” d’Europa e d’Italia non sono da meno. Tra privatizzazioni, tagli e sussidiarietà, il diritto alla salute è per pochi, o è differenziato. L’istruzione non sarà per tutti. Ci sono corpi e corpi, malattie e malattie, persone che contano e persone che non contano. Protezioni differenti, trattamenti differenti, a seconda di possibilità economiche differenti[21]. Restrizioni delle libertà personali con ordinamenti politico-giudiziari che sorvegliano, infine, tali separazioni “per il bene comune”. Che cosa possono raccontare i malati oncologici della gestione di questi mesi, che si va facendo “strutturale”? Quale tipo di sanità pubblica avranno a disposizione i comuni cittadini, da qui in poi? Che cosa ne sarà dei migranti che continuano ad arrivare? Tenuti a distanza da noi, al largo, su altre navi? La rivista scientifica The Lancet ha recentemente pubblicato uno studio dell’Università di Liverpool dal quale si evince che molti malati di Covid-19 hanno avuto conseguenze come ictus, psicosi, stati confusionali, disturbi dell’umore, forme di demenza prima non registrati. Mi domando: “effetti collaterali” del virus Covid-19 o del virus della solitudine?

L’isolamento è, risaputamente, una forma di tortura che il corpo avverte, che fa anche esso ammalare. L’individuo ha necessità di sperimentare ed esprimere la propria unicità ma non a prezzo della solitudine e della abolizione del suo bisogno di appartenenza, della dissoluzione dei legami con il corpo collettivo.

Come rapportarsi a questo complesso e inedito, intricatissimo, ordine di problemi?

Prezioso, ho già detto, è il contributo del pensiero delle donne e dei movimenti femministi e tranfemministi, dei movimenti che mettono al centro le differenze e il valore delle vite, come Black Lives Matter, delle pratiche di resistenze messe da sempre in atto da tutte le soggettività “non conformi”, da tutte le soggettività “ai margini”, da tutte le culture subalterne – purché non si facciano catturare dalle amplificazioni previste dal sistema stesso.

Fino a questo momento, al “realismo capitalista” si è risposto, da sinistra, con un’acquiescenza delle politiche, altrettanto “realiste” di fronte alle imposizioni neoliberali. Viene da domandarsi se la situazione nella quale ci troviamo non abbia proprio in questo indifferente “realismo” la propria radice ultima, e se il virus e la contaminazione dei corpi non siano spie della nostra incapacità di vedere i corpi (noi e gli altri) e di amarli e di averne cura.  Che cosa è la politica se non la cura del vivere[22]? Il virus è sintomo della crisi non solo di una società e di una economia, ma anche della politica. Una politica distaccata dalla vita e dai corpi. La destra finisce per attirare interessi di classe che una parte della sinistra, blindata tra compatibilità e paure, non sa raggiungere. Eterogenesi dei fini.

In tutto questo abbiamo capito che non si parla mai all’unisono e che le voci sono per forza dissonanti. Non accettare la spirale del silenzio, il conformismo dilagante. Accogliere il dubbio, legittimare l’esperienza dell’Altro da sé. Ci si deve abbandonare a ciò, come ci si abbandona a una passione.

“Può anche accadere che la vita stessa venga preclusa, quando si decide in anticipo qual è la via giusta da percorrere, quando si impone ciò che si reputa giusto per tutti senza trovare un modo corretto di relazionarsi alla comunità […] può anche essere che il giusto e il bene consistano nel mantenere una certa apertura nei confronti delle tensioni che assillano le categorie fondamentali di cui abbiamo bisogno, nell’essere consapevoli dell’inconoscibilità che sta alla base di quello che conosciamo e di cui abbiamo bisogno, nel saper riconoscere il segno della vita in quello che accade, senza alcuna certezza di ciò che avverrà”[23].

Vogliamo discuterne? Come vogliamo agire da qui in poi? Quali azioni vogliamo intraprendere? Come ridare linfa ad alternative sociali che non possono vivere se non nell’incontro e nella interconnessione? Come riattivare il potenziale antistemico, rivoluzionario, dei sentimenti e delle relazioni che ci legano le une agli altri e alle altre? Come ritornare ad avere cura del mondo in senso precisamente politico? La fine dell’uomo è il divenire donna della politica: “La donna afferma che la vita deve ancora iniziare per lei sul nostro pianeta. Vede dove l’uomo non vede più”[24].

NOTE

[1] Don DeLillo, Zero K, Einaudi, Torino 2016, pagg. 5; 9; 14; 41-42

[2] Eric Fromm, Anatomia della distruttività umana, Arnaldo Mondadori Editore, Milano 1973

[3] Luciano Parinetto, “Il corpo del sabba”, in Francesco Muraro, Mario Domina, Nicoletta Poidimani, Luciano Parinetto (a cura di) Corpi in divenire. Soggettività ai margini e pratiche di resistenza, Edizioni Punto Rosso, Milano 1999, pag.  113

[4] Barbara Duden, Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull’abuso del concetto di vita, Bollati Boringhieri, Torino 2007, pag. 119

[5] Tiziana Villani, Corpi mutanti, Manifestolibri, Roma 2018, pag. 41

[6] Ibidem, pag. 124

[7] Donna Haraway, Testimone_modesta@ FemaleMan_incontra_OncoTopo. Femminismo e tecnoscienza, Feltrinelli, Milano 2000, pag. 191

[8] Maria Luisa Boccia, Le parole e i corpi. Scritti femministi, Ediesse, Roma 2018, pag. 15

[9] Ibidem, pag. 14

[10] Monique Wittig, Il pensiero eterosessuale, ombre corte, Verona 2019, pagg. 29-30

[11] Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel, Scritti di Rivolta Femminile 1,2,3, Milano 1974, pag.22

[12] Ibidem, pag. 59

[13] Ibidem, pag. 33

[14] D. Haraway, cit., pag. 191

[15] Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, edizioni Rinascita, Roma 1958, pag. 227 e 230-231

[16] K. Marx, cit. pag. 229

[17] David Harvey, Il corpo come strategia dell’accumulazione, Edizioni Punto Rosso, Milano 1997, pag. 11

[18] Christa Wolf, Cassandra, Edizioni e/o, Roma 1990, pag. 28

[19] Franco Berardi, Cronaca della psicodeflazione. Diario della pandemia. Ripartire!, 14 maggio 2020, Not Nero Edizioni, https://not.neroeditions.com/ripartire-pandemia-psicodeflazione/

[20] Sergio Bologna, “Postfazione”, in Uprising/Sollevazione – Voci dagli Usa, Officina Primo Maggio, giugno 2020, https://www.officinaprimomaggio.eu/postfazione/

[21] Vedi articolo su The Lancet, The lockdown is not egualitarian: the costs fall on the global poor, 4 luglio 2020, https://www.thelancet.com/pdfs/journals/lancet/PIIS0140-6736(20)31422-7.pdf

[22] M.L. Boccia, cit., pag. 172

[23] J. Butler, cit., pag. 259

[24] C. Lonzi, cit., pag. 57

 

Immagine in apertura: Portland, Black Lives Matter, Naked Athena, foto di Dave Killen

 

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