di Guido Salerno Aletta, Agenzia Teleborsa
Questo è il paradigma del nuovo conflitto sociale:
a) le Banche centrali creano la moneta dal nulla;
b) di fronte alle crisi ricorrenti, gli Stati si indebitano enormemente per salvare l’intero sistema;
c) i Giovani “pagheranno” il conto del nuovo debito, mentre i loro Padri che sono dei parassiti, beneficiano dell’assistenzialismo pubblico;
d) i Mercati useranno la mannaia per punire gli Stati che si indebitano per fare assistenzialismo, trascurando i Giovani: non sottoscriveranno più i loro titoli di Stato, usando la moneta creata dal nulla.
Le parole di Mario Draghi, che sono state pronunciate all’apertura del Meeting dell’Amicizia, suonano come una vera e propria messa in guardia, se non come una velata minaccia da parte di chi conosce bene chi ha il Potere vero in mano, i Mercati. Sono i Giudici, i Saggi: le Democrazie sono sotto la loro tutela.
Il monito è sostanzialmente questo: dopo la crisi, il livello dei debiti pubblici rimarrà assai elevato. E saranno sottoscritti solo i titoli degli Stati che ne avranno fatto un buon uso di questa spesa finanziata in deficit, con investimenti in infrastrutture, nel capitale umano, e non per fare assistenzialismo.
Ad essere messo sull’avviso, non è solo il Governo guidato da Giuseppe Conte, ma l’intera strategia di politica economica che serve per superare la crisi causata dalla epidemia di Covid-19. Perché con questo virus, ha proseguito Draghi, ci si deve convivere per chissà quanto tempo.
C’è un punto da chiarire: è agli Stati che tocca intervenire, anche stavolta come nel 2008. Allora per via di un default della finanza privata ora è per la crisi epidemica, che spetta intervenire indebitandosi. È la collettività che paga il costo della messa in sicurezza del sistema.
Stavolta bisogna bloccare tutto per evitare i contagi, facendo collassare il sistema economico, e devono essere ancora una volta gli Stati a provvedere a salvare tutto e tutti.
Il punto, stavolta, è capire il motivo per cui per riprendersi dalla crisi, dovrebbero fare un “debito buono”, quello finalizzato alle spese per investimenti e non all’assistenzialismo.
Tra l’altro, il richiamo alla necessità di favorire finalmente i giovani, che in questi ultimi anni sarebbero stati trascurati e messi in difficoltà, suona davvero strana. Finora, erano stati definiti “bamboccioni”, accusati di essere viziati (choosy) e di poltrire come eterni fuori corso all’Università invece di mettersi a lavorare. Si è fatto di tutto per metterli in difficoltà nel mondo del lavoro, con le varie forme di flessibilità in entrata: precari sottopagati, co.co.co, e via discorrendo.
Chi ha scavato per anni una trincea tra le generazioni, ora incita i Figli al conflitto contro i Padri.
Serve un nuovo conflitto sociale, che sostituisca il Conflitto di Classe. E, paradossalmente, saranno i Mercati a giudicare, a punire gli Stati che si indebitano per spese assistenziali.
La crisi sanitaria è una nuvola che tutto offusca, soprattutto la forza di un sistema in cui la Moneta domina le relazioni sociali e le politiche degli Stati.
L’inflazione è stata il bau-bau usato per spogliare gli Stati dal governo della Moneta, conferito alle Banche centrali che hanno come obiettivo statutario quello della stabilità, legislativamente mitigato negli Usa con il perseguimento della massima occupazione compatibile.
Sono i Mercati che hanno bisogno di Moneta.
Già prima della crisi sanitaria, a partire dal 4 settembre dell’anno scorso, la Fed si è trovata a dover rifornire i mercati di enormi quantitativi di liquidità con operazioni di finanziamento a pronti contro termine: era entrato in sofferenza l’intero sistema dei derivati, che usa come garanzia del contratto i titoli pubblici. Se il sistema economico entra in tensione ed il mercato dei titoli di Stato porta a redimenti più alti, ne deriva automaticamente la perdita di valore delle emissioni in corso: i titoli che sono già stati dati in garanzia come collaterale non sono più sufficienti.
Comprando i titoli a tempo non solo fornisce liquidità, ma influisce sui tassi, calmierandoli.
Era solo una avvisaglia.
Per la prima volta nella storia, il 20 aprile scorso il prezzo del future sul petrolio è sceso sotto lo zero: il petrolio WTI con consegna a maggio registrò una flessione negativa di oltre il 300% (il più forte ribasso giornaliero mai registrato dal 1983) portando la quotazione del contratto derivato a meno 37 dollari al barile. In pratica, chi si era impegnato a vendere un barile di petrolio per quella data, non avrebbe ricevuto nessun prezzo per la consegna, ma avrebbe dovuto addirittura pagare l’acquirente versandogli 37 dollari per evitare la consegna fisica di ogni barile di petrolio, come previsto dal regolamento dei contratti future. La crisi sanitaria allora in corso, con la conseguente riduzione dei consumi ed un eccesso di stoccaggio, stava per mandare in tilt anche il sistema dei derivati.
Il 16 marzo, al termine di una riunione straordinaria, la Fed aveva già deciso di intervenire con un nuovo Quantitative Easing per immettere liquidità sui mercati e restituire fiducia agli investitori, portando i tassi a zero ed impegnandosi a comprare immediatamente circa 700 miliardi di titoli. Già nella prima settimana, l’intervento era ammontato a 375 miliardi in titoli del Tesoro ed a 250 miliardi di bond garantiti da mutui (MBs’).
Neppure una settimana dopo, il 24 marzo, l’impegno fu esteso all’acquisto di “tutti i titoli necessari”: un Qe potenzialmente illimitato.
Il 18 marzo, convocato a sorpresa, anche il Consiglio dei governatori della BCE aveva deciso un piano di misure straordinarie: un Qe da 750 miliardi tra titoli di debito pubblici e privati, da completare entro la fine del 2020, denominato Pandemic Emergency Purchase Program (PEPP). Il 4 giugno la BCE amplia il Piano, portandolo a 1350 miliardi di euro di acquisti di titoli da effettuare entro la fine di giugno 2021.
Gli spread sul debito pubblico italiano si sono ridotti fortemente, anche per la deroga esplicita che è stata adottata rispetto alla “chiave di capitale”, cioè alla effettuazione degli acquisti in proporzione alla partecipazione di ogni Stato al capitale della BCE.
Alla data del 4 agosto scorso, il totale degli acquisti già effettuati dalla BCE ammontava a 440 miliardi di euro, una cifra aggiuntiva rispetto agli acquisti effettuati sulla base del precedente Qe deciso sotto la Presidenza di Mario Draghi, per i quali si procede al rinnovo degli acquisti dei titoli alla loro scadenza.
Per quanto riguarda i titoli di Stato italiani, a fine luglio risultavano esserne stati acquistati sulla base del PEPP per 73,4 miliardi di euro, su un totale di 384,8 miliardi: si è trattato del 19% rispetto ad una chiave di capitale del 13,8%.
In prospettiva, se la BCE dovesse comprare titoli pubblici italiani entro la fine del 2020 sulla base della chiave di capitale (13,8%) e dell’importo iniziale del PEPP di 750 miliardi, si arriverebbe a 103,5 miliardi. Se dovesse proseguire la maggiore generosità manifestata nei confronti dell’Italia per abbattere lo spread, si arriverebbe a ben 142,5 miliardi di euro: una cifra enorme, ampiamente superiore a quella prevista dal governo per finanziare i provvedimenti anticrisi.
A marzo, il Tesoro stimava per il 2020 emissioni nette di titoli a lungo termine per 47 miliardi di euro. Successivamente, la situazione del bilancio pubblico italiano ha subito un forte peggioramento dei saldi: il Governo ha infatti richiesto ed ottenuto dal Parlamento ben tre aumenti dell’indebitamento che era stato stabilito inizialmente dalla legge di bilancio per il 2020 in 39,4 miliardi di euro.
Il primo scostamento, determinato dal decreto Cura Italia, è stato di 20 miliardi di euro, tutti sull’anno; il secondo, derivante dal Decreto Liquidità, è stato di 55 miliardi di euro nel 2020 e poi di 25 miliardi nel 2021, di 33 miliardi dal 2022 al 2031 e di 29 miliardi dal 2032, per un totale di 155 miliardi. Il terzo scostamento, dovuto al Decreto Rilancio, ha avuto un impatto di 25 miliardi nel 2020 e successivamente di importi più limitati per tener conto delle spese per interessi.
Nel complesso, l’indebitamento netto del 2020, che è dato dalla differenza tra le entrate finali e le spese finali al netto delle operazioni finanziarie, misurando il differenziale con riferimento al momento economico in cui si compie ciascuna operazione (e non al momento in cui se ne effettua la regolazione finanziaria), si arriva a 139,4 miliardi di euro. E’ una cifra intermedia tra i 103,5 ed i 142,5 miliardi di acquisti di titoli previsti da parte della BCE fino alla fine dell’anno: al mercato si chiede dunque poco o nulla.
In termini di saldo netto da finanziare, vale a dire della differenza tra le entrate finali e le spese finali che include per entrambe sia il conto capitale che le partite finanziarie (con esclusione solo delle voci relative all’accensione ed al rimborso dei prestiti), e dunque considerando anche gli oneri che graveranno effettivamente solo negli anni successivi, si arriva a 384 miliardi di euro, di cui 129 miliardi erano già previsti dalla legge di bilancio approvata a dicembre scorso: il volume complessivo degli interventi disposti per contrastare gli effetti della crisi è di 255 miliardi, di cui 155 derivanti dalle garanzie per prestiti alle imprese che sono state decise con il Decreto Liquidità. Anche in questo caso, la BCE copre ampiamente con i suoi acquisti tutto il sostegno all’economia.
Sono queste spese assistenziali?
Si vuole il fallimento del sistema delle imprese per carenza di liquidità?
La BCE è intervenuta tempestivamente, con il Qe: compra titoli di Stato, ma in realtà fornisce liquidità ai Mercati. Anche il sistema bancario europeo è stato ben rifocillato dalla BCE, con ampie operazioni di rifinanziamento a lungo termine: solo a giugno è stata erogata liquidità per 1.310 miliardi, distribuita fra 742 istituti.
Se consideriamo l’intero ammontare del PEPP, che arriva a 1350 miliardi, in Italia ci si sta larghissimi: con la sola chiave di capitale del 13,8%, la quota di titoli di Stato acquistabili dalla BCE arriva a 186,3 miliardi. Salendo al 19% per favorirci, come è accaduto in questi mesi, a giugno prossimo ci si attesterebbe addirittura a 256,5 miliardi di euro.
In pratica, i Mercati non hanno dovuto tirar fuori un solo euro in più per finanziare i provvedimenti anti-crisi: anzi, hanno ricevuto molta nuova moneta, creata dal nulla dalle Banche centrali, per sostenere le quotazioni di Borsa.
Ma i debiti pubblici si ingigantiscono comunque, perché si contano anche i titoli comprati dalla Banche centrali emettendo nuova moneta dal nulla.
La minaccia sta nel dopo: gli Stati torneranno sotto ricatto dei Mercati non appena l’intervento della BCE sarà finito.
Gli Stati si indebitano per salvare tutto e tutti, ma rimarranno presto senza tutela. Bisogna sterilizzare per sempre gli acquisti di titoli di Stato effettuati da parte della BCE.
Nessuno sa, e qui sta la minaccia, “se” i Mercati compreranno ancora i titoli di pubblici emessi da Stati così pesantemente indebitati.
Ma i Mercati sono saggi: puniranno gli Stati che non avranno fatto un “debito buono”, spendendo per l’assistenzialismo anziché per favorire i Giovani.
Con il denaro creato dal nulla dalle Banche centrali, i Mercati avranno il Potere di punire gli Stati. E’ questo il terrorismo finanziario, la legittimazione morale della spada di Damocle con la quale si minacciano le democrazie.
Dalla Lotta di Classe al Conflitto tra Generazioni.
Moneta creata dal Nulla,
Stati indebitati,
Mercati con la mannaia
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Di Guido Salerno Aletta, Agenzia Teleborsa
19 agosto 2020
Link fonte: https://www.teleborsa.it/Editoriali/2020/08/19/moneta-creata-dal-nulla-stati-indebitati-e-mercati-con-la-mannaia-1.html?p=5&fbclid=IwAR0eFHLjdvtY2RmFwNsB7XOnQoggFGuN2xCRqN51wQcRdDYmXe0snLJiEZo#.Xz7H_HUzakB
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