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La nuova Punto sarà prodotta in Polonia su piattaforma della PSA,
azienda francese di auto con la quale la FCA sta predisponendo la
fusione. La notizia dei giorni scorsi segue analoghi annunci nelle
scorse settimane per la produzione di Fiat500 e Lancia Ypsilon. Dopo
decenni in cui ha segnato in maniera determinante le politiche
industriali italiane e ricevuto immensi sovvenzioni statali, ultimo il
prestito di 6.3 milioni di euro da Intesa San Paolo garantito da Sace e
senza nessun obbligo previsto dallo Stato per il mantenimento di
produzioni e livelli occupazionali, l’ex FIAT si prepara a completare il
processo di completo abbandono del nostro Paese?
La FCA non è più ormai italiana, rifugiatasi nelle comode braccia del
fisco olandese. Il vecchio progetto “Fabbrica Italia” di Marchionne non
ha realizzato nessuno degli investimenti promessi ma ha falcidiato i
livelli occupazionali e lanciato l’offensiva contro i diritti dei
lavoratori culminata nell’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei
Lavoratori e nel jobs act renziano. Ora, le notizie di queste settimane
fanno temere un nuovo massacro sociale con la chiusura di altri
stabilimenti o, comunque, la cancellazione di migliaia di posti di
lavoro. Notizie che potrebbero interessare direttamente gli stabilimenti
per la produzione di auto di Pomigliano d’Arco e Melfi. Ma in
prospettiva, considerando il peso della produzione di auto e il processo
in atto dai tempi di “Fabbrica Italia”, interessare tutti gli
stabilimenti del gruppo a partire dalla Sevel in Abruzzo, attualmente il
più grande stabilimento del settore.
Se aver concesso la garanzia sul prestito durante lo scoppio
dell’emergenza sanitaria e sociale dei mesi scorsi appare una decisione
sconcertante, il silenzio del governo italiano e dei rappresentanti
istituzionali locali dei territori coinvolti è gravissimo e
inaccettabile. Sono in ballo i diritti e le sorti di migliaia di
famiglie e il rischio di un colpo terribile per il tessuto economico
italiano. E ancora una volta dobbiamo registrare una “politica” (le
virgolette non sono casuali) che si piega e tace davanti all’arroganza
di industriali che considerano le persone una variabile dei loro
portafogli e si credono onnipotenti. È ora invece che lo Stato italiano
cominci a pretendere dall’ex FIAT il rispetto del Paese e dei
lavoratori, chiedendo finalmente (con decenni di ritardo ma meglio tardi
che mai!) il conto delle miliardi di lire e milioni di euro che nei
decenni sono stati regalati alla società della famiglia Agnelli.
Mostrando quella schiena dritta che non c’è mai stata, piegata com’è
stata la “classe dirigente” (anche qui le virgolette non sono casuali)
di questo Paese ai loro desiderata.
La fuga definitiva dall’Italia è sconcertante, inaccettabile il
prezzo che gli italiani rischiano di dover pagare. Chi di dovere, dai
palazzi del potere romano a coloro che dovrebbero rappresentare le
istituzioni italiane (non olandesi, polacche, francesi o fiattesche),
rompa il silenzio, alzi la voce e si imponga di fronte a quest’ennesimo
possibile sopruso padronale.
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