di Paolo Maddalena
Contributo sui profili di maggior interesse del disegno di legge n. 1883.
Riteniamo che il disegno di legge sulle semplificazioni presenti molti punti di notevole interesse e, tra questi, soprattutto quello che riguarda l’adeguamento di impianti di produzione e accumulo di energia.
Che si tenti di favorire la produzione di energia pulita è cosa fortemente meritevole, poiché siamo convinti che il problema numero uno dell’umanità sia oggi quello di difendere la salute del Pianeta e di tutelare gli equilibri ecologici fortemente compromessi da numerosi fattori, tra i quali, per l’appunto, la produzione di energia.
Ci sembra utile, tuttavia, soffermarci su quanto non ci convince di questo disegno, e cioè sulle cosiddette semplificazioni in materia urbanistica, sia sotto il profilo della “ristrutturazione edilizia”, sia sotto il profilo delle” costruzioni in zone sismiche”.
Sia nel primo che nel secondo caso, infatti, ci sembra che le disposizioni previste prescindano dal concetto fondamentale che la Repubblica è uno “Stato comunità”, e che questa Comunità è costituita imprescindibilmente, dal “Popolo”, dal “territorio” e dalla “sovranità”: tre valori che sono tra loro intimamente uniti e che non possono mai essere considerati indipendentemente l’uno dall’altro.
In questa prospettiva appare indiscutibile che il “territorio appartiene (e non potrebbe non appartenere) al Popolo a titolo di sovranità”, pena il venir meno della stessa Comunità politica. La qualifica giuridica di questo tipo di appartenenza è quella di “proprietà pubblica” (art. 42 Cost.), che Massimo Severo Giannini poco dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, definì “proprietà collettiva demaniale”.
Insomma, si può agevolmente affermare in termini di diritto corrente che “il territorio è proprietà del Popolo”. Il dato da porre in evidenza a questo punto è che la destinazione a servizio di singoli privati di porzioni di questo bene, in via di principio appartenente a tutti, e cioè la “urbanizzazione” di parte del territorio, può avvenire solo a seguito di una valutazione di carattere generale e unitario in modo da bilanciare il diritto di tutto il Popolo a godere del territorio di sua appartenenza con l’esigenza dei singoli ad avere una abitazione, esigenza che è riconosciuta come diritto dall’art. 47 della Costituzione.
Di qui l’importanza giuridicamente altissima dei piani territoriali e dei piani urbanistici, i quali, per le ragioni su esposte, devono ritenersi intangibili e non passibili di nessuna deroga. Soltanto un nuovo piano territoriale o urbanistico può modificare piani precedenti. Il fatto è molto serio e questa serietà proviene dal fatto che le edificazioni (e qualsiasi modifica del paesaggio, che è la forma del territorio e, come questo, appartiene al Popolo come “proprietà demaniale”, come è stato affermato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite a proposito delle valli di pesca della laguna veneta) non avvengono affatto, come comunemente si ritiene, in uno “spazio vuoto”, ma in uno spazio già occupato dalla “proprietà pubblica” del Popolo.
Si pensi al caso frequente di un aumento di volumetria rispetto a quanto previsto dal piano urbanistico o dal piano territoriale paesistico. In questo caso l’ulteriore spazio occupato non è uno spazio libero appartenente a nessuno, ma è uno spazio che appartiene a tutti e, per giunta, a titolo di sovranità. Dunque, a nostro avviso, tutte le “deroghe” delle quali si parla in questo disegno di legge devono ritenersi incostituzionali per violazione, fondamentalmente, degli articoli 1, primo e secondo comma, 3, e 42, primo comma, della Costituzione.
Elenchiamo di seguito le modifiche e le aggiunte, apportate dal disegno di legge in esame al testo unico dell’edilizia, approvato con DPR 6 giugno 2001, n. 380, da ritenere, a nostro avviso, incostituzionali, soprattutto per la violazione di detti (e altri) articoli della Costituzione.
- La modifica apportata all’art. 3, comma 1, lett. d), secondo la quale “nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono compresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planovolumetrice e tipologiche”.
- La modifica apportata all’art. 6, comma 1, lett. e-bis, secondo la quale è possibile eseguire lavori senza alcun titolo abitativo nei casi “delle opere stagionali e di quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate a essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità, e, comunque, entro un termine non superiore a 180 giorni”. Il che significa, in pratica, mantenere in vita opere provvisorie per 180 giorni, invadendo senza titolo, e senza necessità alcuna, l’appartenenza di quello spazio alla Comunità proprietaria.
- La modifica apportata all’art. 9 bis, comma 1-bis, secondo periodo, là dove si afferma che “lo stato legittimo dell’immobile, realizzato in una epoca nella quale non era obbligatorio acquisire un titolo abilitativo”, può essere provato da “un atto privato di cui sia dimostrata la provenienza”. Ciò significa implicitamente sanare costruzioni abusive, in violazione degli articoli 1, 3, 42 della Costituzione.
- La modifica apportata all’art. 14, comma 1-bis, secondo il quale “il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici è ammessa anche per gli interventi di ristrutturazione edilizia, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l’interesse pubblico”. Questa è una violazione aperta del principio secondo il quale le modificazioni edilizie in contrasto con gli strumenti urbanistici devono ritenersi incostituzionali, ai sensi degli artt. 1, 3 e 42 della Costituzione.
- La modifica apportata all’art. 23-ter, comma 2, secondo la quale “la destinazione d’uso” dell’immobile, può essere provata, con riferimento all’art. 9-bis, comma 1, anche da “un atto privato di cui sia dimostrata la provenienza”. Il che significa sanare le costruzioni abusive anche sotto il profilo della destinazione d’uso.
- L’ introduzione nel Testo unico dell’edilizia dell’art. 34-bis, secondo il quale “il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituiscono violazioni edilizie, se contenute entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abitativo”, precisando che queste, per così dire, manchevolezze sono da considerare “tollerabili”. La disposizione è fortemente lesiva del principio sopra enunciato dell’intangibilità dei piani territoriali e urbanistici. Altrettanto è da dire per quanto si legge nel comma 3, secondo il quale “le tolleranze esecutive di cui ai commi 1 e 2 realizzate nel corso di precedenti interventi edilizi, non costituiscono violazioni edilizie”.
SOSTIENI MICROMEGA L’informazione e gli approfondimenti di MicroMega sono possibili solo grazie all'aiuto dei nostri lettori. Se vuoi sostenere il nostro lavoro, puoi: - abbonarti alla rivista cartacea - acquistare la rivista in edicola e libreria - acquistarla in versione digitale: ebook | iPad |
- La sostituzione, all’art. 93, del comma 4, che
prevedeva la necessità di allegare al progetto una relazione sulle
fondazioni, con un diverso comma 4, che non parla più di fondazioni, ma
di una dichiarazione del progettista che asseveri il rispetto delle
norme tecniche per le costruzioni e la coerenza tra il progetto
esecutivo riguardante le strutture e quello architettonico, nonché il
rispetto delle eventuali prescrizioni sismiche contenute negli strumenti
di pianificazione urbanistica. Valgono anche in questo caso le
osservazioni appena espresse nel numero che precede.
Nessun commento:
Posta un commento