martedì 25 agosto 2020

Classe dirigente. Ci vogliono 320 lavoratori 'normali' per fare lo stipendio di un ad. Per i top ceo, buste paga più ricche del 1.167% in quarant'anni.

I dati sul compenso dei capi azienda nelle maggiori società americane: considerando la parte in azioni, nel 2019 hanno superato i 21 milioni di euro. E il 2020 si annuncia di nuovo in crescita, nonostante la pandemia. "Tassare di più le aziende che hanno gap elevato tra cima e fondo della piramide". In Italia il multiplo retributivo è di 9,3 volte.

Ci vogliono 320 lavoratori 'normali' per fare lo stipendio di un ad. Per i top ceo, buste paga più ricche del 1.167% in quarant'anni

repubblica.it RAFFAELE RICCIARDI

MILANO - Un multiplo sbalorditivo di 320 volte a uno. E' tanto il rapporto tra la paga di un amministratore delegato nelle maggiori compagnie americane e un lavoratore "normale" tipo. Una forbice che si è allargata a dismisura nel tempo, con le buste paga dei top ceo sempre più legate alla crescita dei mercati finanziari: nel 1965 la distanza era soltanto di 21 volte.
E' questo uno degli elementi che emerge dal rapporto pubblicato il 18 agosto dall'Economic Policy Institute che prende in considerazione le 350 maggiori società americane (per ricavi) e calcola il compenso dei loro ceo considerando sia le parti fisse che le assegnazioni di bonus e azioni, conteggiando il loro valore al momento dell'incasso e non dell'assegnazione. Una componente fondamentale, se si considera che secondo il rapporto circa i tre quarti dello stipendio di un top ceo sono proprio composti da azioni.

Nel 2019, complice l'andamento a razzo dei mercati, questi super ad sono riusciti a garantirsi una paga media di 21,3 milioni di dollari, con una crescita del 14% rispetto al 2018. Siamo ormai prossimi ai picchi di 21,9 milioni realizzati nel 2000, al culmine della bolla delle dotcom che poi ha portato al crollo dei mercati finanziari e dei compensi dei manager. Allora, il rapporto con i lavoratori era ancora più sbilanciato e viaggiava sulle 366 volte. Quella crisi e la successiva grande recessione non sembrano però aver instillato nelle grandi aziende Usa i germi dell'eguaglianza.
Il rapporto calcola infatti che nel decennio della ripresa - tra il 2009 e il 2019, quando i mercati hanno conosciuto una fase di crescita senza precedenti - il compenso dei ceo è cresciuto di oltre il 105% contro il misero +7,6% dei lavoratori normali. I confronti diventano ancor più impietosi se si guarda a quanto accadeva in passato. Nel 1965, il multiplo retributivo tra impiegati e ceo era di 21 a 1 ed era salito a 61 a 1 nel 1989. Ma il salto è forte anche se si prendono i lavoratori ai più alti inquadramenti: i ceo guadagnano sei volte più di coloro che si collocano nello 0,1% con gli stipendi più alti.

Il balzo dell'ultimo anno è attribuito dagli autori dell'Epi alla crescita rapidissima delle azioni assegnate, fattore correlato a sua volta alla buona performance dei mercati finanziari. Tra il 1978 e il 2019 la paga di questi ceo è esplosa del 1.167% e - notano nello studio - non solo straccia la crescita tipica di un salario (+13,7%) ma anche l'andamento dello stesso mercato azionario americano (+741% per lo S&P500). Questo meccanismo è attribuito a due fattori: "Gli ad stanno guadagnando sempre di più perché hanno il potere di fissare i loro livelli di remunerazione e perché la maggior parte del loro stipendio (circa i tre quarti) è collegata ai valori azionati, non perché stiano incrementando la produttività delle aziende o posseggano specifiche caratteristiche e capacità di alto livello".

Considerati questi fattori, la stima è che anche nel 2020 si assisterà a un andamento al rialzo delle loro paghe nonostante l'impatto economico del Covid sull'economia e verosimilmente sugli utili delle loro aziende. In una nota ripresa da Cnbc, gli autori attaccano anche la scelta di alcuni ceo di offrire tagli al proprio salario durante la pandemia "buoni per la stampa ma non per fare reali progressi verso la riduzione delle diseguaglianze e la crescita dei salari dei lavoratori", visto che la parte di 'salario' è solitamente di scarsa incidenza sulla remunerazione totale.

In tempi di attivismo dei fondi sul tema delle compensation e di attenzione ai criteri di formazione delle paghe come pilastro di una buona governance societaria, gli autori suggeriscono alcuni interventi per far sì che la deriva verso l'allargamento a dismisura della forbice si fermi: maggior tassazione per questi top manager, un tetto alle paghe e anche una differente tassazione sulle aziende a seconda dei loro multipli retributivi.

Proprio facendo riferimento al concetto dei multipli, grazie al lavoro dell'Osservatorio JobPricing sulle buste paga dei lavoratori del settore privato in Italia è possibile tracciare un quadro di quel che accade da noi. Secondo l'ultimo Salary Outlook di JobPricing, si può misurare la distanza fra vertice e base della piramide aziendale considerando il 9° decile della curva retributiva di un Amministratore Delegato e rapportandolo al 1° decile della curva relativa a lavoratori con inquadramento Operaio. Il risultato è un indice pari a 9,3: la retribuzione del vertice aziendale (meglio retribuito nel mercato) è quindi oltre 9 volte superiore a quella dei lavoratori con la retribuzione globale (l’intero pacchetto retributivo, comprensivo anche della retribuzione variabile percepita) più bassa. Si passa dai 22.400 euro dell'operaio ai quasi 209 mila del vertice. Un dato riferito a tutto l'universo italiano, non soltanto alle società di maggiori dimensioni (come nel caso dello studio americano) dove ci sono le più forti differenze.

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