martedì 21 aprile 2020

Regolarizzazione.

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Serve coraggio per regolarizzare tutti gli invisibili, indipendentemente da utilità economica, emergenza coronavirus o paura. Per una questione di civiltà e dovere di Stato.

“Volevamo braccia, sono arrivati uomini”, scrisse Max Frisch a proposito dell’ostilità dei suoi connazionali svizzeri nei confronti degli immigrati italiani.
Negli ultimi 30 anni, le varie leggi sull’immigrazione, varate trasversalmente da governi di destra e di sinistra compresi i post-ideologici, sono state emanate sulla base del paradigma della paura, emergenza, sicurezza e quello dell’utilità.

Quest’ultimo paradigma stabilisce che un permesso di soggiorno debba essere concesso a persone utili alle esigenze del mercato del lavoro e dell’economia del paese. In quest’ottica, il valore della vita umana viene valutata in base alla sua “utilità” e alla sua produttività.
Ovvero un essere umano ha il diritto di esistere non perché “è” ma perché “fa”, quindi utile.
Questo cinismo esistenziale normalizzato culturalmente è alla base del paradigma utilitaristico che ha ispirato la legge Bossi-Fini tutt’ora in vigore.

Tuttavia, questo paradigma fragilizza i lavoratori visto che li rende sistematicamente e facilmente ricattabili. A questo riguardo, i lavoratori in questione sono costretti ad accettare qualsiasi proposta a qualsiasi condizione pur di salvaguardare il loro permesso di soggiorno. In effetti, la loro esistenza è subordinata all’offerta prospettata.
Questo paradigma crea come conseguenza un esercito di lavoratori razzializzati esposti alla deprivazione materiale, all’alienazione immateriale e alla vulnerabilità esistenziale. Questa voragine di ingiustizia finisce tuttavia per risucchiare nei propri abissi anche i lavoratori italiani, visto che l’equilibrio tra lavoro e tutele viene profondamente turbato da questa labilità di diritti.
In queste ultimi settimane, il dibattito pubblico si è polarizzato attorno al tema della regolarizzazione. Purtroppo, i sostenitori e i detrattori della regolarizzazione hanno spesso argomentato le loro tesi all’interno del recinto del paradigma dell’utilità, dell’emergenza e della paura. In effetti, ci viene detto per esempio che abbiamo bisogno di regolarizzare i braccianti perché servono all’agricoltura in un’ottica economicista (paradigma dell’utilità).
Inoltre, serve regolarizzarli subito altrimenti sarà una grande catastrofe per questa stagione di raccolte dei prodotti agricoli (paradigma dell’emergenza). In fine, serve regolarizzarli perché rischiano di diventare i potenziali untori (paradigma della Paura).
Purtroppo, legiferare in base all’emergenza dell’adesso, alla passione della paura e all’esigenze economiche preclude il decisore di assumere decisioni politiche strutturali incentrate sull’essere umano e che tengono conto della complessità della realtà in modo olistico.  L’allarme di esponenti politici e del mondo imprenditoriale rispetto alla carenza di manodopera in agricoltura, sembra fare da velo a questa politica razzializzante e categorizzante che richiama le condizioni di vita degli immigrati italiani in Svizzera descritte da Max Frisch.
Tuttavia, impostare il dibattito della regolarizzazione su questo versante rischia di fare sviare un tema centrale che deve essere affrontato con lucidità, senso di responsabilità, lungimiranza e coraggio soprattutto in questo momento storico. Di fronte a una pandemia che minaccia le vite umane, bisogna avere l’audacia di prendere misure straordinarie per fronteggiare circostanze straordinarie.
In questo contesto, lo Stato ha il dovere di salvare la vita di tutti, allogeni e autoctoni, al fine di salvaguardare il diritto inalienabile all’esistenza. Il governo deve avere l’audacia di assumere una posizione facendo la regolarizzazione nell’unico interesse di salvare la vita di tutti, visto che la vita umana è un bene prezioso. In questo momento particolare, è la cosa giusta da fare anche se può essere impopolare, inconveniente o insicura, parafrasando Martin Luther King.
Questo momento storico non può essere affrontato con ricette disarticolate, frammentate e prive di una solida bussola politica capace di fare navigare il paese attraverso le onde incerte. Il paese abbisogna, a questo proposito, di visione chiara declinata nell’azione perché teoria e prassi vanno coniugate ed interpretate insieme.
Per questo, è arrivato il momento di mettere il potere al servizio degli ideali umani, se si vuole scrivere la storia, invece di mettere gli ideali al servizio del potere per effimeri interessi politici. Questo è quindi il momento di regolarizzare le colf e badanti non perché servono ma perché sono esseri umani che meritano di essere tutelati dal Covid-19.
Questo è il momento di regolarizzare i rider non perché sono utili ma perché sono esseri umani da salvaguardare dal nemico invisibile. Questo è il tempo di regolarizzare i dannati invisibili dei vari decreti sicurezza perché sono esseri umani. Questo è il momento di regolarizzare i braccianti non perché sono braccia ma semplicemente perché sono esseri umani da salvare dalla pestilenza silente e da altri mali che attanagliano la loro vita come ad esempio lo sfruttamento e le imposizioni dei giganti del cibo (un tema complesso che merita di essere approfondito in separata sede).
Serve coraggio per fare una regolarizzazione per tutti gli invisibili, indipendentemente dall’utilità economica, per una questione di civiltà e dovere di Stato, come direbbe Giuseppe Di Vittorio.
Anche se alcuni vorrebbero solo braccia qui ci sono esseri umani ai quali vanno riconosciuti diritti e dignità. È in questa prospettiva che si colloca anche lo spirito della petizione dei braccianti rivolta al Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte.

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