domenica 12 aprile 2020

«L’Ue ripete gli errori commessi dopo il 2008»


Dopo la crisi dei subprime – spiega l'ex ministro greco Varoufakis – l'Europa trattò un problema di insolvenza come se fosse di liquidità, finanziando prestiti. Ora fa lo stesso, evitando ancora di usare le sue risorse a favore della maggioranza dei cittadini.

 

 
Yanis Varoufakis è abituato alle polemiche. Da quando si è dimesso da ministro delle finanze della Grecia nel 2015, l’autodefinito «marxista erratico» è diventato il principale portavoce di DiEM25, un partito europeo che cerca di ristrutturare le istituzioni dell’Unione nell’interesse della maggioranza.
A marzo, Varoufakis ha fatto notizia per aver fatto cadere quelle che lui stesso definisce «EuroLeaks» – le sue registrazioni segrete delle riunioni tenutesi a porte chiuse nelle quali i ministri delle finanze della zona euro avevano deciso il destino della Grecia nel 2015.
Le registrazioni confermano molti dei nostri peggiori sospetti in merito al funzionamento di questi organismi a dir poco opachi – e forniscono affascinanti intuizioni su come operano realmente i tecnocrati neoliberali.
Le istituzioni europee sono di nuovo sotto i riflettori oggi, a causa della loro debole reazione alla pandemia di Coronavirus e al conseguente blocco economico.
Mentre si profilava un altro ciclo di pacchetti di salvataggio, Varoufakis ha parlato con Loren Balhorn del Jacobin sulla risposta data dall’Unione europea, sulle lezioni che le élite hanno imparato dall’ultima crisi e sulle diverse strade che oggi si aprono per la sinistra.


Hai pubblicato gli «EuroLeaks» qualche settimana fa. Sei soddisfatto della reazione che hanno ricevuto finora?
Assolutamente. Volevamo permettere a tutti coloro che si preoccupano di capire come il potere abusa non di sé stesso, ma di chi lo ha creato – cioè gli elettori e il demos più in generale.
Siamo stati sopraffatti da risposte positive, anche da chi non è d’accordo con noi. Dicono: «Finalmente qualcuno ci ha lasciato entrare, ci ha dato un posto in prima fila per vedere quello che stava succedendo a porte chiuse, a nostra insaputa».

Quale è stata la reazione in Grecia?
La stessa. Anche se c’è chi si guadagna da vivere servendo gli interessi dell’oligarchia che considera l’EuroLeaks un nemico importante, un affronto, e fanno di tutto per screditarlo.
Ma anche costoro non possono fare a meno di ascoltare le fughe di notizie e, si spera, si sentano almeno un po’ in imbarazzo.

Sembra che uno dei motivi per cui avete pubblicato le registrazioni in questo momento sia perché siete stati incolpati, sia dall’attuale governo greco che dalla leadership di Syriza, per le durissime condizioni che Bruxelles ha imposto al Paese. Quanto di tutto questo riguarda un regolamento dei conti contro i vostri nemici politici, che stanno cercando di screditarvi?
Lascia che ti dica da dove vengo.
La Grecia è un Paese la cui popolazione era a terra già da prima che il Coronavirus si diffondesse. Abbiamo visto un nuovo governo neoliberale di ultra destra, nazionalista e xenofobo, introdurre una legislazione che, con certezza matematica, aumenterà seriamente il malcontento e la miseria della popolazione.
A dicembre hanno approvato un disegno di legge che vende la maggior parte dei prestiti in sofferenza e dei mutui a fondi di avvoltoi, principalmente dagli Stati uniti e alcuni dall’Europa.
È inoltre in procinto di iniziare una sequenza di sfratti. Quando sentite il ministro delle Finanze presentare quel disegno di legge, cercando di difenderlo sulla base di distorsioni di quanto accadeva in quelle riunioni dell’eurogruppo – in cui io rappresentavo la Grecia – penso che, se foste al mio posto, fareste lo stesso anche voi. Non per regolare i conti, ma esattamente il contrario: per svelare le menzogne e le notizie false che trapelavano da quegli incontri.
Per evitare che nuove politiche vengano legiferate contro gli interessi delle persone più deboli e di innocenti che sono ancora bersaglio delle liquidazioni.

Passando all’Unione europea, il partito paneuropeo che hai contribuito a fondare, DiEM25, sta indubbiamente portando avanti le critiche più evidenti sul funzionamento dell’Unione europea e su quali misure politiche si potrebbero adottare per renderla meno neoliberale e tecnocratica dal punto di vista istituzionale. Ciononostante, avete fatto pochi progressi a livello elettorale, e l’anno scorso non siete riusciti a entrare nel Parlamento europeo. Come valuti questi risultati finora? Perché è così difficile ottenere consenso e convincere un gran numero di persone a partecipare a una piattaforma come la tua?
Ci siamo riuniti nel febbraio del 2016 a Berlino per riavviare il processo di riflessione sulla politica transnazionale progressista. Nel bel mezzo di una sconfitta – perché il 2015 è stato una sconfitta, non solo per noi qui in Grecia, ma per la sinistra di tutta Europa. In un momento di crescente xenofobia, abbiamo previsto che la nostra sconfitta collettiva sarebbe stata il primo passo verso il rafforzamento di quella che chiamerei «l’Internazionale nazionalista», che si trova in un anello di rafforzamento positivo con l’establishment liberale. Perché diciamocelo, i Merkel e i Macron d’Europa hanno bisogno di persone come [Marine] Le Pen e l’Alternative für Deutschland (AfD) per convincere gli altri a votare per loro. Allo stesso tempo, le persone come la Le Pen e i sostenitori dell’AfD hanno bisogno delle politiche di austerità di Macron e Merkel per creare il malcontento che le alimenta. Abbiamo sempre saputo che ci saremmo trovati in mezzo a queste forze, che si inimicavano e si alimentavano a vicenda. Non avevamo organizzazione e non avevamo soldi, e abbiamo sempre saputo che sarebbe stata dura. Alla fine, ogni singola forza progressista in Europa, incluso DiEM25, ha perso alle elezioni del Parlamento europeo nel maggio del 2019. Abbiamo tutti sofferto per il trionfo dell’establishment liberale, che continua a fare affari come se nulla fosse, in una situazione in cui gli affari non potrebbero continuare come se nulla fosse. Essi alimentano l’internazionale nazionalista, che poi alimenta e rafforza l’establishment liberale. Abbiamo 120.000 membri, ma non sono così tanti in tutta Europa. Siamo riusciti a ottenere 1,5 milioni e mezzo di voti con una campagna elettorale con un budget totale di 60.000 euro. Non è un granché, mi aspettavo che facessimo meglio, ma non è nemmeno disastroso. Questo è stato solo un primo piccolo passo. Ce la faremo? Non ne ho idea. Quello che so è che ciò che DiEM25 ha cercato di fare è la strada da seguire.

Undici anni dopo la crisi economica mondiale e cinque anni dopo che la Troika ha imposto l’austerità alla Grecia, l’Europa sta affrontando quella che sembra essere una crisi congiunta di una pandemia e, causata da essa, di una massiccia recessione economica. Hai qualche speranza che i tecnocrati europei possano aver imparato qualcosa dall’ultima crisi e che questa volta adottino un approccio diverso?
C’è una spettacolare coincidenza di errori da parte dell’Unione europea nel presente e nel 2010. Stanno commettendo la stessa categoria di errore: nel 2010 hanno deciso di dipingere la crisi come una crisi del debito pubblico e della mancanza di liquidità, il che significa che la soluzione deve certamente essere il prestito. Così, allo Stato greco è stata prestata la più grande somma della storia, in condizioni di austerità. Confondere una bancarotta con un problema di liquidità è ciò che ha di fatto incarcerato una grandissima parte dell’Europa – una grande maggioranza degli europei – obbligandola in una stagnazione permanente. Quando il Coronavirus ha colpito, l’economia della zona euro era già molto danneggiata dalla fallimentare gestione della crisi dell’euro, a causa di quella categoria di errore consistito nel confondere volutamente una crisi di insolvenza con una crisi di liquidità. E ora stanno facendo esattamente la stessa cosa. Se si guarda al comunicato dell’eurogruppo, alle dichiarazioni di Olaf Scholz [il Ministro delle finanze tedesco, ndt], le loro politiche sembrano piuttosto consistenti – con somme ingenti, come 500 miliardi di euro solo alla Germania. Ma se si osserva nel dettaglio ciò che propongono, sia in Germania che nell’eurogruppo per l’Unione europea nel suo insieme, si trova esattamente la stessa categoria di errore – propongono grandi somme sotto forma di linee di credito, prestiti, o differimenti di imposte. Anche in questo caso, trattano quella che è fondamentalmente una sequenza di fallimenti come una mancanza di liquidità, come qualcosa che può essere affrontato con i prestiti. Stanno facendo esattamente la stessa cosa. Quindi, no, non hanno imparato. Sono determinati a continuare con lo stesso errore. Ma non facciamo gli ingenui. Questo non è un fallimento dovuto alle loro capacità, non è un fallimento della razionalità. L’eurogruppo e l’Unione europea sono stati cablati per non poter mai prendere decisioni che utilizzano la finanza pubblica a favore della maggioranza dei cittadini. L’obiettivo della creazione dell’eurozona è stato quello di cancellare la possibilità di una politica fiscale. E perché? Perché una particolare configurazione del capitale europeo ha deciso che il modo migliore per massimizzare l’accumulazione di capitale in Europa fosse quello di fissare la politica monetaria e non dare mai ai parlamenti la possibilità di rimediare alle crisi capitalistiche con stimoli fiscali. Sono assolutamente determinati in questo. Preferirebbero piuttosto vedere affondare metà del continente europeo che rinunciare a questo principio, che dal loro punto di vista è un principio di conflitto di classe. Lo abbiamo visto nel 2010, e lo vediamo oggi con il Coronavirus.

Quindi, se da un lato i banchieri e le istituzioni non cambieranno nulla, dall’altro questo apre una finestra di opportunità per la società?
Sì. Ogni crisi è un’opportunità per i popoli d’Europa per unirsi. Ma fino a quando non avremo formato un movimento progressista veramente transnazionale – non una confederazione di partiti di sinistra basati sugli Stati nazionali, ma un movimento transnazionale veramente paneuropeo contro i banchieri e gli oligarchi transnazionali – non saremo in grado di utilizzare questa finestra di opportunità. Questa è la lezione tratta dal 2015 – per lo meno, la lezione che ho appreso qui in Grecia.

*Loren Balhorn è editor di Jacobin e coautore, con Bhaskar Sunkara, di Jacobin: Die Anthologie (Suhrkamp, 2018). Questa intervista è uscita su Jacobinmag.com. La traduzione è di Larisa Anastasia Bulgar.

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