Trent’anni in trenta giorni, o se volete, in trenta righe. Se Carlo Verdone fosse un collaboratore di Contropiano probabilmente intitolerebbe così questo articolo, in memoria della fortunata commedia “Sette chili in sette giorni”,
o forse metterebbe in immagini la carrellata dei rivolgimenti occorsi
nell’ultimo mese nelle parole della classe dirigente del nostro paese.
Giravolte
a 180 gradi sono un classico nel “tempo storico della politica”, quando
si tratta di cogliere al volo l’occasione o si è obbligati a cambiare
radicalmente indirizzo ai processi politici, sociali ed economici di uno
Stato.
L’ultima in ordine di tempo è l’intervista rilasciata dal ministro dell’economia Roberto Gualtieri (Pd) sulle pagine de Il Fatto Quotidiano e pubblicata nell’edizione cartacea del primo aprile. Senza scherzi, tuttavia.
Il tema è il “decreto aprile”,
l’atteso maxi-provvedimento che sta elaborando il governo per provare a
tappare le falle che rischiano di affondare il sistema-paese,
schiaffeggiato dalle onde provocate dalla pandemia, che – fuori di
metafora – tante perdite, sofferenze e incertezza sta provocando nella
popolazione.
Il decreto, annuncia il ministro, metterà al centro della proposta la liquidità necessaria alle imprese
per affrontare l’emergenza nel sistema produttivo. Uno studio della
Confindustria misura nell’ordine del 6% il calo del Pil a fine anno,
quindi anche comprensivo dell’eventuale ripresa nella seconda parte;
stima definita «realistica» dallo stesso ministro.
Il
governo, per rispondere, dopo i soli 25 miliardi messi in campo nel
mese di marzo, stima allora di poter mobilitare nell’economia reale
circa 500 miliardi di euro, soprattutto sotto forma di prestiti anche
alle grandi imprese con “mega-garanzie” per i rientri, mentre dalla
parte del lavoro si prospetta un’estensione della cassa integrazione
(che secondo Il Sole 24 Ore a oggi interessa circa 10 milioni di lavoratori e lavoratrici) e il «rafforzamento» dell’indennità dei lavoratori autonomi.
Queste
previsioni confermano che il virus del “non ci sono i soldi” – questo
per davvero – è stato messo subito in quarantena, anche dai vari Draghi e
dai Cottarelli, non appena si è manifestato il Covid-19, ben più
pericoloso per gli interessi che da anni si occupano di proteggere. Il
primo, solo ideologico, si occupava invece solo di mantenere
inamovibili i rapporti sociali necessari alle caratteristiche del ciclo
di accumulazione (ossia, al “modo” di fare profitto) dell’attuale tempo
storico.
Che la logica di fondo
sia ancora tutta di tipo neoliberale lo conferma d’altronde il ministro
stesso. Alla domanda sulla proposta del reddito di cittadinanza
universale, Gualtieri risponde che questo «esiste già, si chiama
reddito di cittadinanza. Pur essendo stato istituito dal governo
precedente e pensando che debba essere migliorato sul lato delle
politiche dell’occupazione, l’ho sempre difeso e continuerò a farlo».
Ma non è tutto, anzi, continua il ministro, «io
penso che il cardine della nostra società debba essere il lavoro e che
la via maestra sia la piena occupazione, buoni salari e progressività
delle imposte attraverso cui si finanzia il welfare universale e
gratuito».
Quindi,
ministro Gualtieri, lei, il suo partito – e in generale chiunque si sia
alternato al governo nell’ultimo trentennio, garantendosi di diritto
uno scranno nel “Partito trasversale del Pil”, dal Pd alla Lega a quelli
di Berlusconi e della Meloni (che sostenne Monti nel 2011, per esempio)
– quando ci avete massacrato a suon di austerità, tagli al salario
sociale e sacrifici (economici secondo voi, umani per noi), perché lo facevate? Se volevate “piena occupazione, buoni salari e progressività delle imposte“, perché avete fatto costantemente l’opposto?
La
risposta la conosciamo fin troppo bene, ed è tutta dentro la piccolezza
di una classe dirigente che, di fronte alle sfide che l’evoluzione del
modo di produzione capitalistico imponeva, ha scelto la subordinazione
al progetto a guida “europea”, più tedesca che francese, scegliendo di
dare acqua allo stagno dei profitti togliendola al rubinetto del
lavoratori.
Classe politica indecente dunque, specchio accurato di quella imprenditoriale, incapace di vedere – oltre il proprio blue book
– il tonfo collettivo inevitabile di un modello sociale “economicista”,
basato sulla deflazione salariale e sul disinvestimento nei settori
strategici della produzione. Il plusvalore assoluto (lo
sfruttamento del lavoro basato sull’aumento dell’intensità lavorativa o
dell’orario di lavoro) ha le gambe corte, ma non richiede “il coraggio imprenditoriale della sfida in mercato aperto”. O almeno così ci sembra chiamiate la tendenza al monopolio in cui vi spinge la mano “pesante” di Adam Smith.
«Borghesia stracciona»,
scriverebbe allora a buon conto Luciano Vasapollo, la quale intuendo la
distruzione di capitale in eccesso in corso causata dalla pandemia,
prova a “diventare grande” e cogliere il tempo storico di una ripartenza
del ciclo di accumulazione.
Tanto che il sindaco di “Milano-non-si-ferma” Giuseppe Sala (sempre Pd) dalle pagine de La Stampa chiama a una “nuova Costituente”, come nel Secondo dopoguerra… E non è forse questa crisi, nella bocca di tutti, una guerra?
“Prova
a diventare grande” abbiamo scritto, perché alla domanda decisiva sulla
provenienza di questi soldi emerge, crediamo, il pensiero che muove le
parole del ministro.
Parlando del Mes, Gualtieri dice che «con Conte stiamo conducendo insieme, passo dopo passo, questo difficile negoziato, come d’altronde è ovvio. Abbiamo sempre detto (purtroppo anche le bugie hanno le gambe corte, ndr) che
tutte le risorse disponibili devono essere immediatamente messe a
disposizione senza alcuna condizionale […]. Il Mes è stato concepito per
affrontare choc asimmetrici, mentre questa è una crisi
simmetrica che riguarda tutti […]. Servono soluzioni nuove che
garantiscano parità di condizioni […], (come) uno sforzo comune di
politica fiscale, come quello messo in campo dagli Stati Uniti».
Il riferimento agli States
non è casuale, il ministro è chiaro nel riferimento: l’Unione europea,
se vuole “passare la nottata”, deve riequilibrare i pesi interni,
federare l’“Europa” e consolidare obiettivi e strumenti comuni. Niente
più spread che garantisce lo scambio diseguale di valore tra le aree economiche dell’Eurozona, niente più competizione fiscale interna, che alla fine grava sulla domanda aggregata.
«La Bce sta acquistando centinaia di miliardi di titoli di Stato e fornendo liquidità pressoché illimitata al sistema finanziario», dice ancora Gualtieri, ma forse sta anche pensando “facciamo
come gli Stati Uniti, rendiamo competitivo l’Euro e scarichiamo la
crisi fuori dai confini dell’Eurozona, o magari dell’Ue, uniamoci in
questo nuovo ciclo di accumulazione e giochiamo alla competizione
interimperialistica” (su questo punto Macron, col Franco-Cfa, sarebbe d’accordo).
Ma
neanche quest’ultima, qualora potesse essere realizzata, sarebbe “un
pranzo di gala”. E se è difficile perdere sette chili in sette giorni,
figuriamoci diventare degli “statisti” in appena trenta. Senza contare
che, da una parte, nel Bundestag per ora non se ne parla proprio (per Olaf Scholz «non c’è necessità di trovare nuovi strumenti»); dall’altra, le ultime due volte in cui si è cercato di spegnere le velleità imperiali della Germania, si è rovinati velocemente nella tragedia di una guerra.
Qui
in realtà i conti non sarebbero da fare tanto con la Germania stessa,
alle prese con non pochi problemi, ma con la fedeltà a quell’Alleanza
Atlantica che sarà pure morente, ma il cui leader indiscusso conta pur sempre 5 “grandi basi militari”, circa 13.000 soldati e un’enorme quantità di testate atomiche sul nostro territorio.
Come dire, non basta uno stimolo fiscale a mettere in pari la bilancia globale.
E tuttavia: «naturalmente,
come la nottola di Minerva di Hegel, che spicca il volo quando il sole è
già tramontato, l’ideologia spesso segue la realtà e quindi molti libri
di economia dovranno essere riscritti sulla base di quanto sta
accadendo».
Naturalmente.
Solo dal 2008, si possono sommare 5 miliardi di ore lavorate perse
(base anno 2018), Pil annuale a mala pena pareggiato dopo ben dieci
anni, ma con distribuzione della ricchezza ancora più diseguale, 17.000
morti sul lavoro (2009-2019), continuo “snellimento” dello stato
sociale, di cui nel comparto sanità vediamo in questi i giorni gli
effetti del “resto dell’iceberg”.
Ma
“naturalmente”, basterà riscrivere un compendio di macroeconomia, cui
magari seguirà quello dei libri di storia, con una Sua prefazione.
Almeno fino a quando continuerà a essere insegnata.
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