Fonte:
il manifestoAutore:
Luca Fazio
Il ragazzo si contraddice un giorno sì e l’altro
pure. Non mantiene le promesse. Ma questa volta la questione è più
seria del solito, perché stiamo parlando degli impegni presi dall’Italia
per contrastare il riscaldamento globale. “Quella dei cambiamenti
climatici – disse Matteo Renzi al Climate Summit di New York del
settembre 2014 – è la sfida del nostro tempo, lo dice la scienza, non
c’è tempo da perdere: la politica deve fare la sua parte. I nostri figli
attendono che a Parigi l’accordo sia vincolante”.
Appunto. Sono
trascorsi due anni, l’accordo di Parigi (COP21) è entrato in vigore
cinque giorni fa e l’Italia è tra quei 60 paesi che formalmente si sono
impegnati a ridurre le emissioni di gas a effetto serra entro il 2030
(l’obiettivo nostrano è stato fissato al 33%). Tutto bene? Non proprio.
L’inadeguatezza delle politiche energetiche messe in campo dal
governo risulta evidente alla lettura del fitto dossier “L’Italia vista
da Parigi-Impegni internazionali e politiche nazionali per la lotta ai
cambiamenti climatici” preparato dall’associazione A Sud e dal Centro
Documentazione Conflitti Ambientali (Cdca). La pubblicazione fa il punto
della situazione proprio mentre a Marrakech stanno entrando nel vivo i
lavori della COP22, la conferenza sul clima dove 170 paesi dovranno
dotarsi di regole e strumenti per agire nell’immediato visto che gli
anni tra il 2011 e il 2015 sono stati i più caldi mai registrati a
livello globale, come documentato dall’Organizzazione meteorologica
mondiale (Omm). Un dato drammatico che dovrebbe spingere i paesi a fare
di più per rispettare l’obiettivo minimo di mantenere l’aumento della
temperatura entro 1,5 gradi.
Il dossier, spiega Marica di Pierri, presidente del Cdca e curatrice
del rapporto, mette a fuoco alcuni provvedimenti del governo – tra cui
il decreto Sblocca Italia, il decreto Spalma Incentivi e il decreto
Inceneritori – e sottolinea perché “le politiche infrastrutturali,
energetiche e di gestione dei rifiuti varate da Renzi sono in assoluta
contraddizione con gli impegni di riduzione assunti nell’ambito
dell’accordo di Parigi”. Un’evidenza che ancora ieri non ha impedito al
ministro dell’Ambiente Galletti di affermare che l’Italia “farà di tutto
per rendere ancora più ambizioso quell’accordo”. Nient’altro che
dichiarazioni di rito a fronte di politiche che moltiplicano gli
investimenti per lo sfruttamento delle energie fossili, per le
infrastrutture per il trasporto su gomma e per l’incenerimento dei
rifiuti.
Lo dice il “calendario” dei principali provvedimenti approvati in
Italia nell’ambito della Strategia Energetica Nazionale (Sen) varata dal
governo Monti nel 2013. Nel dicembre dello stesso anno il governo Letta
autorizza l’erogazione di incentivi per 20 anni per la realizzazione di
una centrale nel Sulcis, in Sardegna (secondo uno studio pubblicato a
luglio, nel 2013 in Europa le emissioni delle centrali a carbone hanno
causato più di 22.900 morti premature, decine di migliaia di casi di
malattie e costi sanitari stimati in circa 62 miliardi di euro). Nel
cosiddetto decreto “Spalma incentivi”, convertito in legge dal governo
Renzi nell’agosto 2014, vengono ridotte le risorse per gli impianti
fotovoltaici e i risultati sono evidenti: i nuovi impianti nel 2012
erano 150 mila, l’anno scorso 40 mila.
Non è tutto. Il decreto “Sblocca Italia” – convertito in legge nel
settembre 2014 con un voto di fiducia e fortemente avversato da
opposizioni e associazioni ambientaliste – di fatto si presenta come la
negazione dell’accordo di Parigi. Gli articoli 36, 37 e 38 – si legge
nel rapporto – incoraggiano l’attività estrattiva per mezzo della
formula di rito che identifica le attività di prospezione, ricerca e
coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas
naturale come “operazioni di interesse strategico e di pubblica utilità,
urgenti e indifferibili” (è la storia, triste, del referendum sulle
trivellazioni dello scorso 17 aprile, con Matteo Renzi che ha tifato per
l’astensione). Lo stesso decreto sblocca alcuni cantieri per un valore
di 28 miliardi e 866 milioni, soprattutto per opere autostradali e
aereoportuali. E ancora. L’articolo 35 sembra un inno alla CO2 e
promuove la costruzione di nuovi inceneritori definiti come
“infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse
nazionale ai fini della tutela della salute e dell’ambiente” (un altro
decreto, del 10 agosto 2016, poi individua otto aree in cui realizzare
inceneritori).
L’elenco dei provvedimenti climalteranti del governo Renzi potrebbe
continuare, ma ce n’è abbastanza per dire che l’Italia per essere
credibile di fonte alla sfida del riscaldamento globale non può far
altro che dotarsi di un nuovo piano energetico. Secondo gli autori del
rapporto le soluzioni esistono e l’azione del governo dovrebbe
rispettare una regola molto semplice: “Ogni legge o provvedimento che
riguardi produzione di energia, infrastrutture, utilizzo dei suoli,
trasporto o gestione dei rifiuti deve avere come punto di riferimento
gli obiettivi dell’accordo di Parigi, ogni politica che anziché favorire
la diminuzione ne produce incremento deve essere abbandonata”. E se la
volontà politica manca, come è evidente, dovrebbero essere i cittadini a
battersi e a vigilare, anche servendosi di azioni legali. Insomma è un
problema di democrazia, e anche in questo caso manca come l’aria (per
scaricare il dossier: asud.net e cdca.it).
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giovedì 10 novembre 2016
Il pianeta scotta e l’Italia continua a puntare sulle energie fossili
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