Da Amazon a Zalando, da Esselunga a H&M, dietro i nostri clic ci sono migliaia di giovani. Che lavorano giorno e notte. Per raccogliere merci in magazzino, impacchettare e consegnare a casa. Ecco la gigantesca fabbrica della logistica nello shopping in Rete.
Nel tempo necessario per leggere il titolo e il sommario di questa pagina, sono stati completati 76 ordini di scarpe, libri o detersivi. On line. Per arrivare a questa riga sarà passato un minuto. E un minuto sono 228 consegne, che fanno 13.600 all’ora, 328 mila e 700 al giorno. Nel 2016 gli acquisti digitali di beni materiali, in Italia, sono stati più di 120 milioni: un inarrestabile pulsare di clic che crescono del 30 per cento all’anno, a 75 euro in media a scontrino. Ma dietro ognuna di queste comande, impartite senza attese o spostamenti, senza commessi o commercianti, c’è una lunga catena che si ingegna e si spreme «per minimizzare i percorsi e rispettare i tempi promessi» al cliente, come spiegano ad Amazon.Il cliente e le sue richieste. La sua fretta. I suoi orari. I nuovi padroni aspettano da casa. I nuovi operai corrono per loro. «Una delle prime cose che ti insegnano ad Amazon è il passo», racconta Daniele, 30 anni, impiegato durante il picco di Natale nel centro piacentino di Castel San Giovanni: «Un passo di marcia». Perché ci vuole ritmo, per l’eCommerce. E sorridere al citofono. È quello che raccontano le facchine e i fattorini, o meglio i “picker” e i “driver”, di H&M o di Esselunga, di Zalando o GLS che abbiamo incontrato per mostrare cosa significa stare dall’altra parte del computer nell’industria degli ordini on line: quella della catena di montaggio.
Trovando entusiasti o pessimiste. E incubi comuni. Come l’imparare presto a temere ciò che per gli altri è festa: il Natale, i saldi, l’avvicinarsi del cenone, l’inizio dell’anno. Per i regali, la scuola e le offerte, aumentano le richieste. Quindi la pressione. Perché il bisogno di comodità dei clienti schiaccia i diritti degli altri. Per arrivare prima alla consegna, gli ingranaggi digitali, meccanici e umani dell’eCommerce non si possono fermare.
PRENDERE
Via Benigno Zaccagnini, Stradella, provincia di Pavia. Passato Dc, presente operaio. In questa zona un tempo famosa per la “casalinga di Voghera” adesso s’alzano alcuni mega-snodi logistici che dalla pianura padana riforniscono via eCommerce l’Europa. A destra, i cancelli della “città del libro”, hub internazionale dei volumi comprati on line. A sinistra trecento persone che scorrono scaffali per gestire gli ordini web di H&M, la catena di vestiti low cost. I camion per le spedizioni battono la Bassa. Il gestore del magazzino di H&M è una cooperativa di Como, Easycoop. A cui gli affari vanno alla grande. Il fatturato è raddoppiato negli ultimi due anni, i dipendenti sono saliti a 674, a luglio i soci hanno votato un aumento di stipendio al presidente (204 mila lordi).
Serena Frontino ha 22 anni, un cappotto beige, un’infervorata militanza sindacale che l’ha portata più volte sui giornali negli ultimi mesi. Il suo contratto è part time, a 7,4 euro l’ora; ad aprile più della metà della sua busta paga non arrivava dall’ordinario, quanto da premi di produzione, extra e integrazioni. Perché il suo è un part-time elastico: sui contributi versati, sui diritti, sull’agenda. «Ci mandano l’orario del giorno dopo solo il pomeriggio o la sera prima, via sms», racconta: «Seguivo un corso di teatro, la mia passione, ma ho dovuto abbandonare. Perché non posso prevedere a che ora uscirò».
Sul regolamento interno, depositato con il bilancio, è scritto chiaro che «la distribuzione e la durata dell’orario potranno variare nell’arco delle 24 ore, per tutti i giorni del calendario», e ogni socio lavoratore è «tenuto a prestare la propria attività oltre quanto stabilito, sia di giorno, sia di notte, sia in giorni feriali, sia in giorni festivi». La richiesta d’abiti non conosce notte.
SMISTARE
Il facchino è fra i mestieri non qualificati più richiesti del 2016: Unioncamere ha previsto 41.100 assunzioni in un anno; più della metà a tempo determinato, ma in crescita. «Fuori non c’è niente, qui è un’altra vita», dice Mirela Feodorov in un video girato da Amazon: «Anche se è pesante,hai la sicurezza». I gesti di Mirela sono martellanti. Scatta. Dietro, i colleghi camminano svelti. «Sono stata interinale per sei mesi, poi mi hanno assunta full time», racconta orgogliosa all’Espresso Clara Merli, 44 anni, anche lei dipendente Amazon a Castel San Giovanni: «È normale che esista un passo. Che si debba essere veloci. L’azienda cresce. Non so quali aspettative abbiano i giovani, ma qui si lavora. Se ce la faccio io che ho tre figli».
Clara è una “picker”. Come Serena ad H&M: ogni mattina prende la sua prima “missione”, un rotolo di codici a barre che indicano i capi d’abbigliamento da recuperare negli scatoloni, tra le file sterminate degli scaffali. A Serena è richiesto di prelevarne quattro al minuto. «Se finisci sotto i 3,8 arriva un richiamo». Ogni missione è composta da 120, 160 pezzi. Il metronomo dell’azienda prevede due missioni come queste ogni ora. «I tempi diventano sempre più stretti, la tolleranza sugli errori è bassa. Ma in questi magazzini è molto difficile sostituire le persone con i robot», spiega Riccardo Mangiaracina, direttore dell’Osservatorio dedicato al Politecnico di Milano: «L’automazione è rigida. Mentre per l’eCommerce serve flessibilità: sia sul tipo di pacchi da prendere, sia sulla stagionalità». Software e robot possono sollevare i pesi più ingombranti. Possono comandare, indicando i percorsi ottimali. Ma a eseguire, servono facchini umani.
IMPACCHETTARE
Anche Anna ha 22 anni. In H&M è una “packer”, ovvero si occupa di piegare gli abiti e imbustarli .«Quando mi hanno assunta, due anni fa, bisognava passare 200 pezzi all’ora. Adesso hanno alzato la media a 250». Anna e le altre 57 ragazze che eseguono con lei questa mansione sta in piedi, fra i carrelli e il rullo. Riceve, controlla, smista, imbusta. «C’è la musica, nel magazzino, radio Kiss Kiss». Ma con le colleghe non può chiacchierare. «Mi hanno separata da un’amica perché non mi distraessi. Anche se restavo al passo».
Nel regolamento di Easycoop si chiede di non lamentarsi: «è fatto divieto di discutere sui luoghi di lavoro, in particolare in presenza di terzi, di problematiche aziendali». Dopo due anni Anna è ancora inquadrata come “junior”, al minimo salariale. Nessuno scatto d’anzianità. Preavviso di sei giorni in caso di licenziamento. «Negli ultimi mesi alcuni aspetti sono migliorati», dice, «grazie soprattutto alle lotte sindacali». Anche lei, come le sue colleghe, si entusiasma a raccontare lo sbarco dei Cobas in magazzino, le trattative, i picchetti, i primi risultati. Poi torna a fumare. «Avrei voluto fare la nutrizionista. Ma ammetto che ho perso la voglia di impegnarmi, fuori da qui. Sono stanca, quando esco».
E poi ci sono i climax, come le “capsule collection” firmate da stilisti di grido. Non dimenticherà mai, dice, quella di un designer francese: «Durava soltanto due giorni. Piacque tantissimo, e gli ordini si impennarono. Più velocemente del solito dovevamo trattare abiti non da 30, ma da 400 euro l’uno. C’era un cappotto con dei pendenti fragili. Hai paura a respirare sui vestiti, in quei casi. Le altre “packer” imbustavano e piangevano. Io ho avuto un attacco d’ansia».
CONFEZIONE REGALO
Per far fronte allo shopping compulsivo del Natale, Amazon - 900 dipendenti a Castel San Giovanni, di cui tre dirigenti, 67 milioni di euro di ricavi - chiama centinaia di interinali per alcuni mesi. Daniele è stato uno di quelli. «Mi occupavo dei pacchi voluminosi. Ogni mattina c’era il briefing. Il “team leader” mostrava faccine tristi, diceva che eravamo stati poco produttivi il giorno prima. A volte lanciava delle sfide. Diceva “ragazzi, dai, dobbiamo spingere. Anziché 3.500 pezzi in un’ora, facciamone 5 mila”». Se ci riuscivano veniva estratto un premio, racconta.
«Sono rigidissimi sul rispetto delle norme di sicurezza», continua: «Ma anche sugli standard: ti dicono come eseguire ogni movimento per risparmiare secondi preziosi». Se sei sotto media, «si avvicina un ragazzo, col computer. Ti dice: non potresti andare più veloce?». Quant’è contemporaneo il passato: «Lulù, ma cosa mi combini? Il rendimento è bassissimo, ci devi dare dentro. Se no perdi il cottimo». «Amore, amore, va qui che exploit. Non è che non posso. È che non voglio», rispondeva Gian Maria Volonté in “La classe operaia va in Paradiso”.
SPEDIRE
Un collega di Roberto assomiglia da vicino al cottimista immortale di Petri. «Ha tre figli e due mutui, per questo accetta anche quattro doppie a settimana. Non vive. Ma guadagna più di me. Prima poteva superare anche duemila euro al mese. Ora arriva al massimo a 1.800». Dal 2008 Roberto è uno dei fattorini che portano a casa la spesa ordinata online su Esselunga. «Prima eravamo 60 autisti, per 14 consegne a servizio. Ora siamo 100 e ne facciamo 17».
La “doppia” è il doppio turno: «Significa che inizi alle 5.43 e guidi fino a dopo cena. Con la pausa per il pranzo». Roberto accetta solo una volta a settimana. «Voglio continuare ad allenarmi a rugby», dice. Alcuni suoi colleghi, per bisogno, sostengono ritmi molto più pressanti. «Siamo pagati un fisso di 1.250 euro al mese per undici consegne al giorno», spiega: «Tutti gli extra sono a cottimo - uno, 2,5 euro a ordine».
La mattina si presenta al magazzino di Milano Sud, «rinconcilia», spiega in gergo, «i freschi al resto della gastronomia» e inizia le tappe. «Preferisco andare a Quarto Oggiaro», un quartiere popolare: «Perché lì i clienti sono spesso manovali che non hanno il tempo per andare al supermercato. E scendono a darmi una mano. In altre zone ti trattano da schiavo. E devi pure sorridergli».
Roberto lavorava all’inizio per il consorzio Alma, che ha perso l’appalto dopo i guai giudiziari del fondatore, a cui la Guardia di Finanza contesta decine di milioni d’Iva evasa. Ora la gestione è di una srl «molto più seria, nelle buste paga», spiega. «Ma fa fatica a trovare nuovi autisti. Molti scappano dopo la prova. Perché è faticoso: sei sempre da solo, devi portare la spesa fino al corridoio del cliente, a prescindere dal peso». Lui non se ne va, «perché fuori non ho trovato altro. Vivo con mia madre. Stiamo finendo di pagare i debiti di papà».
CONSEGNARE
Anche Alessandro è tornato a vivere con i genitori a 35 anni. Diplomato in ragioneria, è stato per 18 anni trasportatore a Latina. «Ero arrivato a guadagnare, con il mio mezzo, anche tremila euro netti al mese. Certo, stavo molto in furgone. Fino a 140 consegne in un giorno. Ma non potevo lamentarmi». Parla al passato perché l’anno scorso ha lasciato la sua vita da “corriere espresso”. Il suo ormai ex settore non conosce crisi: il fatturato delle consegne a domicilio ha superato i cinque miliardi e mezzo di euro l’anno, come mostrano i dati dell’osservatorio Logistica del Politecnico di Milano che pubblichiamo in anteprima: seicento milioni di euro in più rispetto a sei anni fa.
L’eCommerce alza i volumi. Ma non la qualità di vita per i “driver”: «È diventato tutto più insostenibile. Io ho portato pacchi per Gls, Bartolini, Sda, Mtn. Pagato a ore oppure da un euro a 4,2 a ordine. Avevo il mio giro di negozi. Sapevo come ottimizzare i tempi, le strade. Come gestire le giornate. Poi sono cresciute le spedizioni a casa, e la mia attività è passata al 70 per cento sui privati.
Ovvero persone che magari non rispondono subito al citofono perché non possono, o il portiere non c’è, o chiedono di tornare dopo. Con tutti gli imprevisti non riuscivo più ad assicurarmi un cottimo che mi permettesse di guadagnare bene». Così ha cambiato mestiere, e pur di continuare a seguire l’Inter («Sono di Latina, ma la mia casa è San Siro. Se ho dei soldi, li spendo per le trasferte») è tornato dai suoi.
RESTITUIRE
L’anno prossimo si sposa. «Poi il mio sogno è comprarmi l’auto, se riesco a risparmiare». Debora è l’operaia modello dell’eCommerce italiano. A 22 anni è al suo secondo impiego fra carrelli e scaffali. Da quattro mesi è dipendente a tempo pieno del consorzio Ucsa: si occupa dei “resi” nel magazzino di Zalando, la piattaforma online di vestiti griffati.
«Siamo tutte donne, nel mio reparto. Dobbiamo assicurarci che gli abiti restituiti siano intatti, puliti, senza difetti». Lo fa otto ore al giorno, più mezz’ora di pausa pranzo. Anche per lei l’orario è confermato solo giorno per giorno. «Prendo 1.400 euro al mese. La paga è buona. Il sabato ci danno il doppio. Fuori trovavo solo offerte in nero come cameriera al bar». Deve controllare 40 pezzi l’ora. «Riesco senza problemi, ma che non aumentino». Una volta al mese arrivano dei controllori di Zalando, «ci intervistano per sapere come va. Hanno dato feedback positivi sulla mia attività. Come premio ho ricevuto un buono da 200 euro da spendere sul sito web. Avrei preferito un aumento. Ma penso di potermi prendere qualcosa di bello». L’affitto, la Bassa, il fidanzato. «Se dovesse rimanere così, penso di poter tenere questo posto per tutta la vita».
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