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“Le antiche memorie
sibilline, narrate ancora oggi da vecchi analfabeti col ritmo poetico di
una costruzione sapiente, servono a fare storia, a recuperare culture
sommerse ma non defunte, sconfitte ma maggioritarie, diverse da quelle
delle minoranze di padroni e di guerrieri; a ricostruire rapporti
sociali e modi di produzione, a riannodare fili d’intelligenza creativa e
di saggezza capace di tessere maturazioni e proiezioni nel futuro.”
Joyce Lussu
Quei
monti dell'Appennino, punto di incontro tra Marche, Lazio, Abruzzo e
Umbria, dove in questi mesi si sta liberando una spaventosa energia
proveniente dal cuore della terra, venivano chiamati da Giacomo
Leopardi “I Monti Azzurri”. Lui, il sommo Poeta, ne coglieva la
luce e il colore.
Ma
il loro vero nome è “Monti Sibillini”. Per chi li conosce,
nessun altro nome sarebbe più appropriato.
Qui,
tra le vette di montagne possenti, creste frastagliate, immense
pianure e pendii mozzafiato, il mistero trasuda dall’aspra bellezza
della natura, e penetra e scava e riporta in superficie sensazioni
perdute.
Qui
magia e leggenda, esoterismo e favole, si intrecciano da sempre in un
imprevedibile connubio tra culti pagani e cristianesimo, e innervano
il paesaggio del fascino del mistero. I nomi dei luoghi parlano da
soli: Gola dell’Infernaccio, Pizzo del Diavolo, Valle Scura, Passo del
Lupo, Passo Cattivo, Monte di Morte, Passo delle Streghe e tra gli altri
il Monte Sibilla dove c’è
ancora, ad oltre 2000mt, la grotta della Sibilla Appenninica.
I
pastori e gli anziani ancora oggi narrano la leggenda di un regno
appenninico sotterraneo e misterioso in cui vive una Sibilla saggia e
benefica, le cui ancelle scendono nei paesi a valle per insegnare
alle fanciulle l’arte della tessitura. Una leggenda di segno
opposto descrive invece la Sibilla Appenninica come una maga potente
e terribile, capace di conoscere il passato e di predire il futuro,
la regina malefica di un mondo sotterraneo dove si praticano riti
orgiastici di natura sessuale, ai quali partecipano giovani cavalieri
che penetrano nella montagna e cadono prigionieri delle sue arti
magiche.
Il
mito della Regina Sibilla fu interpretato dalla scrittrice Joyce
Lussu che
applicò ad esso la teoria del “matriarcato primitivo” risalendo
con i suoi studi ad un passato remoto, quando fioriva una civiltà
danubiana che si estendeva dall'Ucraina alla Spagna, da cui avrebbe
avuto origine il mito della Grande Madre mediterranea. La Lussu
trascorse molto tempo i questi luoghi dell'Appennino centrale,
studiando il formarsi di una società di
navigatori-mercanti dediti alla pesca, all’agricoltura e agli
scambi commerciali.
Queste
comunità politiche, secondo i risultati delle sue ricerche, erano
indipendenti e si reggevano sulla legge del matriarcato. In esse non
esistevano differenze di classe e non si praticavano le guerre come
mezzo di conquista. In queste comunità la Sibilla era la depositaria
del sapere e delle conoscenze utili per l’agricoltura,
l’allevamento e l'artigianato. La Sibilla presiedeva le assemblee,
dove si discuteva l’assegnazione dei lavori, la conservazione e la
distribuzione delle scorte, la salvaguardia della salute, la
coltivazione e l’uso delle erbe medicinali, la difesa del
territorio dagli animali selvatici e dalle razzie di avventurieri.
Le
donne, le anziane, spesso tacciate di fare uso di arti magiche e
stregoneria, sono state in realtà le depositarie delle ricette di
medicina popolare, tramandate di generazione in generazione, per la
preparazione di decotti, pomate e infusi. Ma si dedicavano alla
raccolta di radici, erbe e fiori anche alchimisti e speziali che
distillando quintessenze vegetali e minerali, preparavano olii
essenziali e tutto ciò che ritenevano utile per curare le
malattie (sicuramente da queste antiche conoscenze deriva l'abilità
di produrre il famoso e buonissimo liquore alla genziana o all'anice
di cui la versione industriale è il Varnelli).
Particolare
attrazione ha rivestito nel tempo anche il Lago di Pilato (lago di
origine glaciale situato sulla cima del monte Vettore, letteralmente
spaccato dal recente terremoto), tanto da divenire in epoca
medioevale meta di un continuo pellegrinaggio di maghi e negromanti,
considerato anche nei secoli successivi luogo magico e misterioso.
Prende infatti il suo nome da una leggenda secondo la quale nelle sue
acque sarebbe finito il corpo di Ponzio Pilato condannato a morte da
Tiberio. Il corpo, chiuso in un sacco, venne affidato ad un carro di
bufali lasciati liberi di peregrinare senza meta e sarebbe
precipitato, dopo aver percorso la Salaria, nel lago dall'affilata
cresta della Cima del Redentore, scomparendo nelle profondità della
terra. L’alone di mistero che attraeva su questo lago stregoni e
maghi costrinse addirittura le autoritá religiose del tempo a
proibirne l'accesso e a far erigere una forca, all'inizio della
valle, come monito. Intorno al suo bacino furono alzati muri a secco
al fine di evitare il raggiungimento delle sue acque.
Queste terre sono
state per secoli “rifugio”
per le popolazioni in fuga dalle invasioni barbariche prima e dalle
incursioni saracene lungo la costa poi. Quando ebbe inizio la “caccia
alle streghe” molti eretici Clareni, Fraticelli, Sacconi o seguaci
dei Templari scelsero Montemonaco (paese
fondato da monaci benedettini nell'VIII secolo alle pendici del Monte
Sibilla) conosciuto per
l’insofferenza verso i poteri costituiti e la diffusa liberalità.
Non a caso i Sibillini sono sempre stati ricchi di acque sorgive e
specie officinali utili alla pratica dell’alchimia
che in questi luoghi era
tollerata.
La
libertà di pensiero e di azione hanno comunque resistito e
consentito per secoli al territorio sibillino di mantenersi aperto
alle nuove idee e di preservare le antiche tradizioni, di cui le
donne erano principali portatrici, finchè verso la metà del XVII,
furono inviati sulle montagne del Piceno, gruppi di monaci
inquisitori per bonificarle dalla presenza del Maligno. Da allora e
per tutto il seicento, scrive la Lussu, la Compagnia del Gesù tentò
di operare una "damnatio memoriæ" che tuttavia non sortì
il risultato sperato se ancora nel Settecento operavano a Montemonaco
speziali alchimisti.
Libertà,
indipendenza, organizzazione sociale e produttiva autonoma,
conservazione di antichi saperi e tradizioni: attraverso la scoperta
della cultura dei Sibillini si può tentare di capire quanto forte
possa essere il legame di queste popolazioni con il loro territorio,
quanta tenacia e determinazione possano mettere a sua difesa. Questo
legame non può essere spezzato.
Qui
viene custodita una sapienza arcaica, di cui la figura della donna
dei Sibillini
garantisce la trasmissione alle generazioni future: un anello di
congiunzione tra passato, presente e futuro che preserva
l'aspirazione ad una civiltà in armonia
con l’ambiente naturale, in cui gli esseri umani vivono in un
rapporto di reciprocità con gli elementi della natura come l'acqua e
la terra, di rispetto ed unità con il paesaggio, gli animali, le
piante, i frutti.
Qui
si conserva un tracciato storico e culturale che travalica le mura
delle città ed oltrepassa i confini nazionali per raggiungere anche
il cuore dell'Europa: non è forse un caso che il patrono d'Europa
sia proprio San Benedetto da Norcia.
I
paesi che sono disseminati tra queste montagne, sono testimonianze
vive della sedimentazione del lavoro dell'uomo, del suo impegno
civile, della sua arte, delle sue tradizioni e della sua
organizzazione sociale. Tutta l'area colpita dal terremoto è un
museo vivente che conserva la nostra memoria storica collettiva e la
rigenera, anche attraverso l'uso della forza dell'immaginazione,
facendoci comprendere come essa sia
stata per millenni una vera forza motrice per l’umanità, dandoci
severi insegnamenti per ritrovare un rapporto con l'ambiente
finalizzato ad uno sviluppo realmente sostenibile.
“Immaginavi
tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?” Così chiedeva
la Natura all'islandese in una delle Operette Morali di Leopardi.
Gli abitanti dei Monti Sibillini non
hanno di queste illusioni. Sanno benissimo che la vita è un
“perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambeduetra sé di maniera, che
ciascheduna serve continuamente all'altra, ed alla conservazione del
mondo”. Anche se di una potenza spaventosa, quello che c'è stato
non è certo il primo terremoto da queste parti. I paesi e i borghi
stessi portano i segni delle tante ricostruzioni passate. Qui le
popolazioni lo sanno: dovranno ricostuire, pietra su pietra, ed è
per questo che non se ne vogliono andare. La paura è tantissima, non
ti fa dormire di notte, non ti fa più vivere un momento della
giornata senza quella continua tensione dell'animale in pericolo che
per istinto attiva tutti i sensi che restano ogni istante in allerta.
Il
dolce paesaggio della campagna marchigiana, che degrada di collina in
collina fino al mare, diventa una morsa sorda.
Eppure
qui si resta, la paura diventa forza di reazione, perchè resistere è
il compito che queste popolazioni si stanno assumendo per difendere
un patrimonio sociale, culturale e ambientale che appartiene a tutti
noi, uomini e donne d'Europa e del Mediterraneo.
Questi
luoghi, che sono stati anche leopardiani, sono stati colpiti
da quella forza ignara della Natura, che con convinto materialismo il
poeta riconosceva come assolutamente indifferente alle sorti del
genere umano e che, in forma di terremoto, ha mutilato la terra, gli
esseri e le cose senza alcuna misericordia, mostrando l'onnipotenza
del fenomeno naturale, la sua incoercibilità.
Da
qui, però, non ce ne andiamo. Sappiamo che la Natura, il nostro
poeta ce lo ha insegnato, non è né maligna, né benigna (o
entrambe le cose...), ma è semplicemente Natura. Siamo noi che non
viviamo più in maniera naturale. Il terremoto ci pone di fronte a
una sfida: qui la terra trema e continuerà a tremare. E se la terra
segue il suo movimento, noi pure dobbiamo metterci in moto e
ritrovare la nostra giusta direzione.
Il
terremoto ci ricorda che la Natura non si piega, non si anticipa, non
si controlla. Ci dimostra che è inutile cercare la sicurezza nella
stabilità perchè la destabilizzazione, gli smottamenti sono processi
inevitabili. Dobbiamo assumere il movimento, la trasformazione, e, come
la ginestra del Leopardi, nutrirci delle circostanze avverse e
diventare pionieri di nuova vita. Le circostanze materiali ci impongono
oggi una ridefinizione del rapporto fra soggetto e mondo naturale: se
quest'ultimo si muove indifferente verso di noi, noi non possiamo più
essere indifferenti verso il suo movimento. A noi tocca una scelta
soggettiva, un'azione politica forte, l'attivazione da subito della
“social catena”. Le terre, i territori, devono mettersi in moto. Lo
stiamo facendo. Il lago di Pilato, in cima al Monte Vettore, è un monito
verso chiunque volesse lavarsene le mani: quello è il foro in cui
precipiterà fino alle profondità oscure della terra. Questa volta le
promesse elettorali non basteranno. Qualunque governo sarà, si troverà
costretto a misurarsi con una tradizione di libertà e di indipendenza,
con un carattere indomito e tenace delle popolazioni che vivono nei
territori sconvolti dal terremoto.
Qualunque
governo sarà, la prima cosa che dovrà fare sarà rispettare il diritto
di scelta delle popolazioni colpite dal sisma: poter scegliere se
sfollare sulla costa o restare è adesso la priorità. Chi sceglie di
restare va sostenuto e va messo in condizione di poterlo fare, perchè
solo così può essere evitato lo smembramento delle comunità che non
potrebbero sopravvivere se trapiantate altrove, può essere garantita la
conservazione di un patrimonio prezioso, costruito sull'intreccio di
fili sottili che hanno permesso la trasmissione, da generazione in
generazione, dei saperi lungo il corso del tempo. Questo significa
sostenere con un reddito garantito dallo Stato tutti coloro che hanno
dovuto chiudere le attività commerciali e hanno perso il lavoro,
significa far ripartire tutte le produzioni che qui sono legate
strettamente al territorio e con esso sono integrate, significa
sostenere con fondi sociali le attività agricole e di
allevamento. Questa volta non basterà uno sgravio fiscale.
Qualunque
governo sarà, dovrà fare scelte economiche radicali, rivedendo le
priorità, rinunciando a grandi opere utili solo alle speculazioni, per
destinare tutte le risorse possibili alla ricostruzione e alla messa in
sicurezza di tutto ciò che è rimasto in piedi. Solo così sarà possibile
salvaguardare un patrimonio storico culturale la cui perdita sarebbe di
inestimabile gravità. Alle condizioni attuali, comunque, quella di
restare e di non abbandonare i luoghi della propria vita individuale e
collettiva, è assolutamente una scelta coraggiosa, eroica si potrebbe
dire. Tra montagne che si sono spaccate, terreni che sono sprofondati di
70cm, caseggiati crollati, capannoni e stalle dai tetti sfondati, fiumi
che hanno cambiato corso, strade che sono sparite ed una terra che
continua a tremare, non è semplice rimanere e scommettere sul futuro. Ci
vuole tanto coraggio e determinazione. Queste popolazioni si stanno
assumendo su di sè un rischio altissimo. Ciò deve essere riconosciuto e
rispettato. La politica deve riconoscerlo e assumerlo.
Qualunque
governo sarà, non dovrà aggiungere altri fattori che vadano ad
aumentare tale rischio: non si può chiedere di più. Le trivellazioni e
le escavazioni per il passaggio del gasdotto vanno fermate subito. Così
come, subito, deve rientrare la decisione con la quale il governo Renzi
vuole imporre la costruzione di un mega inceneritore nelle Marche.
Qualunque governo sarà, dovrà fare queste scelte e invertire la rotta.
Qualunque governo sarà, altrimenti troverà la nostra resistenza. In nome
della difesa del nostro territorio. Non per noi, ma per tutti. Non solo
per il presente, ma per il futuro. Questo è il monito della Sibilla.
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