lunedì 21 novembre 2016

Terre in Moto seguendo il monito della Sibilla


Terre in Moto seguendo il monito della Sibilla
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“Le antiche memorie sibilline, narrate ancora oggi da vecchi analfabeti col ritmo poetico di una costruzione sapiente, servono a fare storia, a recuperare culture sommerse ma non defunte, sconfitte ma maggioritarie, diverse da quelle delle minoranze di padroni e di guerrieri; a ricostruire rapporti sociali e modi di produzione, a riannodare fili d’intelligenza creativa e di saggezza capace di tessere maturazioni e proiezioni nel futuro.” Joyce Lussu

Quei monti dell'Appennino, punto di incontro tra Marche, Lazio, Abruzzo e Umbria, dove in questi mesi si sta liberando una spaventosa energia proveniente dal cuore della terra, venivano chiamati da Giacomo Leopardi “I Monti Azzurri”. Lui, il sommo Poeta, ne coglieva la luce e il colore.
Ma il loro vero nome è “Monti Sibillini”. Per chi li conosce, nessun altro nome sarebbe più appropriato.
Qui, tra le vette di montagne possenti, creste frastagliate, immense pianure e pendii mozzafiato, il mistero trasuda dall’aspra bellezza della natura, e penetra e scava e riporta in superficie sensazioni perdute.
Qui magia e leggenda, esoterismo e favole, si intrecciano da sempre in un imprevedibile connubio tra culti pagani e cristianesimo, e innervano il paesaggio del fascino del mistero. I nomi dei luoghi parlano da soli: Gola dell’Infernaccio, Pizzo del Diavolo, Valle Scura, Passo del Lupo, Passo Cattivo, Monte di Morte, Passo delle Streghe e tra gli altri il Monte Sibilla dove c’è ancora, ad oltre 2000mt, la grotta della Sibilla Appenninica.
I pastori e gli anziani ancora oggi narrano la leggenda di un regno appenninico sotterraneo e misterioso in cui vive una Sibilla saggia e benefica, le cui ancelle scendono nei paesi a valle per insegnare alle fanciulle l’arte della tessitura. Una leggenda di segno opposto descrive invece la Sibilla Appenninica come una maga potente e terribile, capace di conoscere il passato e di predire il futuro, la regina malefica di un mondo sotterraneo dove si praticano riti orgiastici di natura sessuale, ai quali partecipano giovani cavalieri che penetrano nella montagna e cadono prigionieri delle sue arti magiche.
Il mito della Regina Sibilla fu interpretato dalla scrittrice Joyce Lussu che applicò ad esso la teoria del “matriarcato primitivo” risalendo con i suoi studi ad un passato remoto, quando fioriva una civiltà danubiana che si estendeva dall'Ucraina alla Spagna, da cui avrebbe avuto origine il mito della Grande Madre mediterranea. La Lussu trascorse molto tempo i questi luoghi dell'Appennino centrale, studiando il formarsi di una società di navigatori-mercanti dediti alla pesca, all’agricoltura e agli scambi commerciali.
Queste comunità politiche, secondo i risultati delle sue ricerche, erano indipendenti e si reggevano sulla legge del matriarcato. In esse non esistevano differenze di classe e non si praticavano le guerre come mezzo di conquista. In queste comunità la Sibilla era la depositaria del sapere e delle conoscenze utili per l’agricoltura, l’allevamento e l'artigianato. La Sibilla presiedeva le assemblee, dove si discuteva l’assegnazione dei lavori, la conservazione e la distribuzione delle scorte, la salvaguardia della salute, la coltivazione e l’uso delle erbe medicinali, la difesa del territorio dagli animali selvatici e dalle razzie di avventurieri.
Le donne, le anziane, spesso tacciate di fare uso di arti magiche e stregoneria, sono state in realtà le depositarie delle ricette di medicina popolare, tramandate di generazione in generazione, per la preparazione di decotti, pomate e infusi. Ma si dedicavano alla raccolta di radici, erbe e fiori anche alchimisti e speziali che distillando quintessenze vegetali e minerali, preparavano olii essenziali e tutto ciò che ritenevano utile per curare le malattie (sicuramente da queste antiche conoscenze deriva l'abilità di produrre il famoso e buonissimo liquore alla genziana o all'anice di cui la versione industriale è il Varnelli).
Particolare attrazione ha rivestito nel tempo anche il Lago di Pilato (lago di origine glaciale situato sulla cima del monte Vettore, letteralmente spaccato dal recente terremoto), tanto da divenire in epoca medioevale meta di un continuo pellegrinaggio di maghi e negromanti, considerato anche nei secoli successivi luogo magico e misterioso. Prende infatti il suo nome da una leggenda secondo la quale nelle sue acque sarebbe finito il corpo di Ponzio Pilato condannato a morte da Tiberio. Il corpo, chiuso in un sacco, venne affidato ad un carro di bufali lasciati liberi di peregrinare senza meta e sarebbe precipitato, dopo aver percorso la Salaria, nel lago dall'affilata cresta della Cima del Redentore, scomparendo nelle profondità della terra. L’alone di mistero che attraeva su questo lago stregoni e maghi costrinse addirittura le autoritá religiose del tempo a proibirne l'accesso e a far erigere una forca, all'inizio della valle, come monito. Intorno al suo bacino furono alzati muri a secco al fine di evitare il raggiungimento delle sue acque.
Queste terre sono state per secoli “rifugio” per le popolazioni in fuga dalle invasioni barbariche prima e dalle incursioni saracene lungo la costa poi. Quando ebbe inizio la “caccia alle streghe” molti eretici Clareni, Fraticelli, Sacconi o seguaci dei Templari scelsero Montemonaco (paese fondato da monaci benedettini nell'VIII secolo alle pendici del Monte Sibilla) conosciuto per l’insofferenza verso i poteri costituiti e la diffusa liberalità. Non a caso i Sibillini sono sempre stati ricchi di acque sorgive e specie officinali utili alla pratica dell’alchimia che in questi luoghi era tollerata.
La libertà di pensiero e di azione hanno comunque resistito e consentito per secoli al territorio sibillino di mantenersi aperto alle nuove idee e di preservare le antiche tradizioni, di cui le donne erano principali portatrici, finchè verso la metà del XVII, furono inviati sulle montagne del Piceno, gruppi di monaci inquisitori per bonificarle dalla presenza del Maligno. Da allora e per tutto il seicento, scrive la Lussu, la Compagnia del Gesù tentò di operare una "damnatio memoriæ" che tuttavia non sortì il risultato sperato se ancora nel Settecento operavano a Montemonaco speziali alchimisti.
Libertà, indipendenza, organizzazione sociale e produttiva autonoma, conservazione di antichi saperi e tradizioni: attraverso la scoperta della cultura dei Sibillini si può tentare di capire quanto forte possa essere il legame di queste popolazioni con il loro territorio, quanta tenacia e determinazione possano mettere a sua difesa. Questo legame non può essere spezzato.
Qui viene custodita una sapienza arcaica, di cui la figura della donna dei Sibillini garantisce la trasmissione alle generazioni future: un anello di congiunzione tra passato, presente e futuro che preserva l'aspirazione ad una civiltà in armonia con l’ambiente naturale, in cui gli esseri umani vivono in un rapporto di reciprocità con gli elementi della natura come l'acqua e la terra, di rispetto ed unità con il paesaggio, gli animali, le piante, i frutti.
Qui si conserva un tracciato storico e culturale che travalica le mura delle città ed oltrepassa i confini nazionali per raggiungere anche il cuore dell'Europa: non è forse un caso che il patrono d'Europa sia proprio San Benedetto da Norcia.
I paesi che sono disseminati tra queste montagne, sono testimonianze vive della sedimentazione del lavoro dell'uomo, del suo impegno civile, della sua arte, delle sue tradizioni e della sua organizzazione sociale. Tutta l'area colpita dal terremoto è un museo vivente che conserva la nostra memoria storica collettiva e la rigenera, anche attraverso l'uso della forza dell'immaginazione, facendoci comprendere come essa sia stata per millenni una vera forza motrice per l’umanità, dandoci severi insegnamenti per ritrovare un rapporto con l'ambiente finalizzato ad uno sviluppo realmente sostenibile.
“Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?” Così chiedeva la Natura all'islandese in una delle Operette Morali di Leopardi. Gli abitanti dei Monti Sibillini non hanno di queste illusioni. Sanno benissimo che la vita è un “perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambeduetra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all'altra, ed alla conservazione del mondo”. Anche se di una potenza spaventosa, quello che c'è stato non è certo il primo terremoto da queste parti. I paesi e i borghi stessi portano i segni delle tante ricostruzioni passate. Qui le popolazioni lo sanno: dovranno ricostuire, pietra su pietra, ed è per questo che non se ne vogliono andare. La paura è tantissima, non ti fa dormire di notte, non ti fa più vivere un momento della giornata senza quella continua tensione dell'animale in pericolo che per istinto attiva tutti i sensi che restano ogni istante in allerta.
Il dolce paesaggio della campagna marchigiana, che degrada di collina in collina fino al mare, diventa una morsa sorda.
Eppure qui si resta, la paura diventa forza di reazione, perchè resistere è il compito che queste popolazioni si stanno assumendo per difendere un patrimonio sociale, culturale e ambientale che appartiene a tutti noi, uomini e donne d'Europa e del Mediterraneo.
Questi luoghi, che sono stati anche leopardiani, sono stati colpiti da quella forza ignara della Natura, che con convinto materialismo il poeta riconosceva come assolutamente indifferente alle sorti del genere umano e che, in forma di terremoto, ha mutilato la terra, gli esseri e le cose senza alcuna misericordia, mostrando l'onnipotenza del fenomeno naturale, la sua incoercibilità.
Da qui, però, non ce ne andiamo. Sappiamo che la Natura, il nostro poeta ce lo ha insegnato, non è né maligna, né benigna (o entrambe le cose...), ma è semplicemente Natura. Siamo noi che non viviamo più in maniera naturale. Il terremoto ci pone di fronte a una sfida: qui la terra trema e continuerà a tremare. E se la terra segue il suo movimento, noi pure dobbiamo metterci in moto e ritrovare la nostra giusta direzione.
Il terremoto ci ricorda che la Natura non si piega, non si anticipa, non si controlla. Ci dimostra che è inutile cercare la sicurezza nella stabilità perchè la destabilizzazione, gli smottamenti sono processi inevitabili.  Dobbiamo assumere il movimento, la trasformazione, e, come la ginestra del Leopardi, nutrirci delle circostanze avverse e diventare pionieri di nuova vita.  Le circostanze materiali ci impongono oggi una ridefinizione del rapporto fra soggetto e mondo naturale: se quest'ultimo si muove indifferente verso di noi, noi non possiamo più essere indifferenti verso il suo movimento. A noi tocca una scelta soggettiva, un'azione politica forte, l'attivazione da subito della “social catena”. Le terre, i territori, devono mettersi in moto. Lo stiamo facendo. Il lago di Pilato, in cima al Monte Vettore, è un monito verso chiunque volesse lavarsene le mani: quello è il foro in cui precipiterà fino alle profondità oscure della terra.  Questa volta le promesse elettorali non basteranno. Qualunque governo sarà, si troverà costretto a misurarsi con una tradizione di libertà e di indipendenza, con un carattere indomito e tenace delle popolazioni che vivono nei territori sconvolti dal terremoto.
Qualunque governo sarà, la prima cosa che dovrà fare sarà rispettare il diritto di scelta delle popolazioni colpite dal sisma: poter scegliere se sfollare sulla costa o restare è adesso la priorità. Chi sceglie di restare va sostenuto e va messo in condizione di poterlo fare, perchè solo così può essere evitato lo smembramento delle comunità che non potrebbero sopravvivere se trapiantate altrove, può essere garantita la conservazione di un patrimonio prezioso, costruito sull'intreccio di fili sottili che hanno permesso la trasmissione, da generazione in generazione, dei saperi lungo il corso del tempo. Questo significa sostenere con un reddito garantito dallo Stato tutti coloro che hanno dovuto chiudere le attività commerciali e hanno perso il lavoro, significa far ripartire tutte le produzioni che qui sono legate strettamente al territorio e con esso sono integrate, significa sostenere con fondi sociali le attività agricole e di allevamento. Questa volta non basterà uno sgravio fiscale. 
Qualunque governo sarà, dovrà fare scelte economiche radicali, rivedendo le priorità, rinunciando a grandi opere utili solo alle speculazioni, per destinare tutte le risorse possibili alla ricostruzione e alla messa in sicurezza di tutto ciò che è rimasto in piedi. Solo così sarà possibile salvaguardare un patrimonio storico culturale la cui perdita sarebbe di inestimabile gravità.  Alle condizioni attuali, comunque, quella di restare e di non abbandonare i luoghi della propria vita individuale e collettiva, è assolutamente una scelta coraggiosa, eroica si potrebbe dire. Tra montagne che si sono spaccate, terreni che sono sprofondati di 70cm, caseggiati crollati, capannoni e stalle dai tetti sfondati, fiumi che hanno cambiato corso, strade che sono sparite ed una terra che continua a tremare, non è semplice rimanere e scommettere sul futuro. Ci vuole tanto coraggio e determinazione. Queste popolazioni si stanno assumendo su di sè un rischio altissimo. Ciò deve essere riconosciuto e rispettato. La politica deve riconoscerlo e assumerlo.
Qualunque governo sarà, non dovrà aggiungere altri fattori che vadano ad aumentare tale rischio: non si può chiedere di più. Le trivellazioni e le escavazioni per il passaggio del gasdotto vanno fermate subito. Così come, subito, deve rientrare la decisione con la quale il governo Renzi vuole imporre la costruzione di un mega inceneritore nelle Marche.  Qualunque governo sarà, dovrà fare queste scelte e invertire la rotta. Qualunque governo sarà, altrimenti troverà la nostra resistenza. In nome della difesa del nostro territorio. Non per noi, ma per tutti. Non solo per il presente, ma per il futuro. Questo è il monito della Sibilla.  

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