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È all’ottavo mese, Maria Vittoria scalcia e tanto. Ma il pancione non le sta impedendo di girare per l’Italia. Si divide tra visite mediche di controllo ed iniziative pubbliche, oltre alle comparsate televisive. La pasionaria del Comitato del No, così è stata definita Anna Falcone. Calabrese doc, avvocata cassazionista, attivista antimafia e promotrice di mobilitazioni antiviolenza e per i diritti delle donne, è uno dei volti emergenti di questa campagna referendaria: “La Costituzione è frutto di sangue, fatica, battaglie che non sono mai finite. Questa riforma va fermata”.
Lo scorso 19 ottobre il ministro Boschi ha dichiarato che “nel fronte del No non ci sono donne in prima linea”. Si sente l’eccezione che conferma la regola?
Mi sento in buona compagnia – e mi dispiace per il ministro Boschi che ha preso l’ennesima ‘cantonata’ – visto che solo nel nostro “Comitato per il NO” abbiamo ormai più di 700 nodi locali, più di 100 comitati studenteschi e circa 36 comitati all’estero.
Da settimane chiede un confronto pubblico con Boschi. Ha avuto notizie? Si terrà mai?
Nessuna risposta, nonostante l’invito ufficiale e reiterato. Grave che si sottragga al confronto, non tanto con me, ma con una esponente dell’unico comitato di cittadini per il NO. Evidentemente al governo interessa più alimentare la ‘favola’ della contrapposizione fra Renzi e gli altri partiti, che confrontarsi nel merito della riforma con i cittadini che la contrastano non per fini di lotta politica, ma di difesa democratica dei valori costituzionali.
Ad oggi, nel nostro Parlamento le donne rappresentano circa un terzo dei componenti delle due Assemblee. Con la riforma si promuove – leggo – “l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza”. Almeno su questo punto è d’accordo?
Peccato che il riequilibrio di genere non sia affatto una novità inserita dalla riforma, ma un principio già presente ed espressamente contemplato dalla Costituzione agli articoli 51 e 117, 7° comma, che sanciscono le “pari opportunità” e la “parità di accesso” delle donne alle cariche elettive pubbliche. Le nuove norme, previste agli artt. 55 e 122 della Carta, sono un duplicato, che per di più ne diluiscono la forza, inserendo un parametro – quello della “equilibrata rappresentanza” – che è molto meno forte dei primi due. Del resto, se tali principi non hanno ancora trovato piena attuazione, non è ‘colpa’ della Costituzione che, anzi, li ribadisce in maniera chiara, ma di una palese e reiterata resistenza della classe politica a darne attuazione nelle leggi ordinarie.
Lei viene dalla società civile, ma all’interno del fronte del No ci sono forze eterogenee: dal M5S alla Lega ai partiti della sinistra radicale. Progetti politici accomunati soltanto da questa battaglia referendaria. Quando Renzi parla di “accozzaglia” non ha un minimo di ragione?
Innanzitutto dimostra la sua mancanza di cultura democratica e rispetto per chi la pensa diversamente da lui. Secondariamente, trascura un elemento: Renzi ha voluto imporre al Paese una vastissima riforma della Costituzione, votata in Parlamento da una maggioranza ‘drogata’ da un premio dichiarato incostituzionale, senza possibilità di confronto con le altre forze politiche e con la società civile, per renderla migliore e più condivisa. Se ora tutte le altre forze politiche e una larga parte di società civile si oppongono a questa riforma, forse non è un’“accozzaglia”, ma la maggioranza reale degli italiani. E proprio perché la battaglia è democratica, prima ancora che ‘partitica’, non ha senso contestare la mancanza di affinità politiche. Blindando la riforma in Parlamento e cercando di imporla agli italiani sotto il ricatto della paura (dopo di me il diluvio!) o con argomenti di insuperabile populismo (risparmi gonfiati o irrisori, tagli alle poltrone e finto efficientamento, a fronte del taglio reale ai diritti dei cittadini ed emarginazione dei territori), ha dimostrato la vera natura di questa riforma: una riforma di restaurazione e concentrazione del potere in capo all’ “uomo solo al comando”.
“Se voti NO, non cambia niente”, ripete la propaganda del governo. Il vostro, in effetti, non è un NO conservatore? La Carta deve rimanere per sempre così?
La riforma parte da un presupposto fuorviante: cambiare la Costituzione per risolvere i problemi del Paese. Sappiamo bene che i problemi dell’Italia non dipendono certo dalla sua Costituzione, ma, semmai dalla sua mancata attuazione in parti importanti e cruciali. Ancor di più dalla incapacità della classe politica di intercettare e risolvere i problemi veramente prioritari per il Paese: lavoro, mobilità sociale ed economica, rilancio delle eccellenze, sostegno alle fasce deboli, sviluppo sostenibile, tutela del territorio, politiche energetiche all’avanguardia ecc. Per fare questo non c’era bisogno di stravolgere la Costituzione. Del resto i fini che vengono affermati nel testo (quelli dichiarati, non quelli reali!) – superamento del bicameralismo paritario, riduzione dei costi, revisione dei rapporti fra Stato e Regioni, potevano essere tranquillamente raggiunti con una modifica più contenuta della Costituzione, con leggi ordinarie o con la modifica dei regolamenti parlamentari, senza stravolgere la forma di governo, l’equilibrio fra i poteri e – soprattutto – senza depotenziare diritti e partecipazione dei cittadini. Proprio per questo il nostro non è un NO conservatore, ma è un NO “costituente”.
In che senso NO “costituente”?
Chiediamo riforme condivise e finalizzate ad una evoluzione del sistema democratico. E crediamo che solo una vittoria del NO possa far scendere il governo a più miti consigli ed aprire, dopo il voto, una dibattito aperto e plurale sulle riforme realmente necessarie alla “modernizzazione” del Paese. A partire dalla revisione della legge elettorale che, avallando l’attribuzione della maggioranza della Camera ad una sola forma politica di minoranza, aggrava gli effetti antidemocratici e di concentrazione del potere della riforma. Contrariamente a come viene presentata, questa è, invece, una riforma antimoderna e mistificatoria: prima si sono indeboliti i cittadini, precarizzando il lavoro, mortificando la scuola e tagliando sanità e servizi sociali, ora si cerca di estorcere il voto degli elettori scaricando sulla Costituzione debolezze e inefficienze di una politica non all’altezza delle sfide della modernità.
Nei suoi dibattiti pubblici ha attaccato, più volte, la riforma parlando di violazione della sovranità popolare, nel testo però si modifica lo strumento dei referendum: se raggiunte 800mila firme, infatti, il quorum non sarà più calcolato sugli aventi diritto ma sul numero dei votanti dell’ultima tornata elettorale. Ciò non avvantaggia la partecipazione e il potere dei cittadini?
No, avvantaggia i gruppi già esistenti e organizzati sul territorio, o quelli adeguatamente finanziati e sostenuti mediaticamente. Già il quorum attuale di 500mila firme è difficilissimo da raggiungere, in soli 3 mesi, per gruppi di semplici cittadini che vogliano opporsi a una legge che ritengano sbagliata o ingiusta. Chiedere un referendum, costa, e molto, e non è un’operazione alla portata di tutti, men che meno dei gruppi spontanei. Questa riforma, invece che assicurare a tutti pari fruibilità dello strumento referendario, costruisce una corsia preferenziale per i soggetti già organizzati. Ancora una proposta di modifica della Costituzione che accentra potere, invece di distribuire diritti.
Nella riforma si dice che finalmente viene inserita una norma che garantirà a tutti i cittadini italiani lo stesso livello di cura. Secondo lei, ci saranno ricadute sulla sanità pubblica?
Ho trovato grave la campagna di comunicazione fondata sugli slogan della “sanità uguale per tutti” o, peggio, “delle cure antitumorali alla portata di tutti”, perché è palesemente falsa. Un’operazione di sciacallaggio mediatico. E non è un’espressione forte: glielo dimostro. La Costituzione conferisce già allo Stato la competenza generale a legiferare in materia di tutela della salute, tramite la determinazione dei c.d. “livelli essenziali di assistenza (L.E.A.). Se il governo avesse veramente voluto garantire a tutti un alto livello di tutela della salute, avrebbe già potuto farlo ampliandone la portata, aumentando le risorse (invece di tagliare i bilanci) e proponendo una riforma che neutralizzasse le differenze fra tanti diversi sistemi sanitari regionali, condizionati dalla più o meno ampia disponibilità finanziaria delle singole Regioni. Ancora una volta, non solo non lo ha fatto, ma ha inserito in Costituzione una norma “specchietto per le allodole” (art. 117, 2° comma, lett. m) che conferisce allo Stato un potere che, di fatto, aveva già: quello di stabilire “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute”, ma lascia alle Regioni le competenze in materia di “programmazione ed organizzazione sanitaria”, da cui dipende la reale ampiezza e qualità dei servizi e delle prestazioni erogate. La causa non sta solo nella differenza di risorse riferibili a quei territori, ma anche nella mancata attivazione del c.d. “fondo perequativo” che, secondo l’art. 119 Cost., avrebbe dovuto sostenere le Regioni economicamente più deboli. La riforma non incide su nessuna di queste criticità.
Ultima questione: la paventata svolta autoritaria. Da un lato avremmo sicuramente un rafforzamento dell’esecutivo ma paventare, come fa il Comitato del NO, svolte oligarchiche non è un’esagerazione? E il bicameralismo paritario non si può superare?
Noi abbiamo il dovere di evidenziare come un sistema che concentra in capo al governo buona parte dei poteri, alterandone l’autonomia e la separazione, non è un sistema che garantisce maggiore efficienza, né maggiore stabilità, ma semplicemente si presta ad essere interpretato in senso autoritario da forze che, una volta conquistato il potere, lo esercitino in modo assolutistico e antidemocratico. Non è un’esagerazione, è una possibilità concreta, e le Costituzioni nascono proprio per impedire che ciò accada, tramite la previsione dei c.d. “pesi e contrappesi” fra i poteri, di organi e figure di garanzia autonome e non soggette al potere esecutivo, di diritti inviolabili e incomprimibili. A partire dalla piena partecipazione democratica dei cittadini alla vita pubblica e politica, che è la prima garanzia di indirizzo e controllo sul corretto esercizio dei poteri.
Che sensazioni ha sull’esito del referendum?
La prossima consultazione referendaria è una grande sfida di partecipazione democratica. Mi auguro che i cittadini colgano questa occasione per riappropriarsi del diritto di decidere liberamente del proprio futuro, senza cedere a ricatti o condizionamenti: si vota sulla Costituzione, non sul governo. I governi passano, le Costituzioni restano. Ed è bene che quella che ci ritroveremo nei prossimi anni sia una Costituzione dei diritti, non dei poteri.
Ipotizziamo vinca il NO. Il 5 dicembre cosa accadrà al Paese?
Si aprirà senz’altro una nuova fase politica i cui esiti dipenderanno in molta parte dalla volontà del governo che ha due strade davanti a sé: o riaprire una nuova fase di dialogo sulle riforme del Paese, o irrigidirsi nelle sue posizioni e gettare la spugna. Spero prevalga la prima, anche perché noi non abbiamo mai chiesto le dimissioni del premier, né abbiamo condiviso la sua personalizzazione del referendum. Qui si decide di qualcosa di più importante del suo futuro politico: il nostro futuro democratico. Anche in caso di dimissioni, però, sappiamo bene come nessun altro governo sia allo stato possibile senza il Partito Democratico, di cui Renzi rimane il segretario nazionale. Non mi stupirebbe, pertanto, la nascita di un “Renzi bis” o di un governo che abbia comunque il suo avallo.
E Anna Falcone che ruolo avrà dopo il voto del 4?
Continuerò a dedicarmi al mio lavoro di avvocato e, soprattutto, alla mia famiglia, cercando di far nascere senza ulteriori ‘scossoni’ la bimba che aspetto. Magari con la coscienza serena di chi ha cercato di contribuire – per quello che ha potuto – a costruire, anche per lei, un futuro migliore.
(28 novembre 2016)
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