Dopo Giappone e Messico siamo il terzo importatore: il nostro consumo
idrico è a un livello critico. Alla vigilia della Giornata mondiale, un
rapporto del Wwf racconta come possiamo ridurlo.
repubblica.it di ANTONIO CIANCIULLO
UN ESSERE umano per sopravvivere ha bisogno
di 4 litri di acqua al giorno. Ovviamente ne usiamo di più per cucinare
e per tutti gli usi domestici: il consumo medio quotidiano di una
famiglia europea si aggira attorno ai 165 litri. È già una bella cifra,
se però si calcola anche l'acqua virtuale, quella che non vediamo ma è
servita a produrre il cibo e a far funzionare le industrie, scopriamo
che il conto s'impenna. E che la situazione del nostro paese si fa
critica: l'impronta idrica in Italia, cioè la quantità di acqua dolce
utilizzata per produrre beni e servizi, è pari a 132 miliardi di metri
cubi l'anno, 6.309 litri pro capite al giorno. Siamo il terzo
importatore netto di acqua virtuale al mondo (62 miliardi di metri cubi
l'anno), dopo Giappone e Messico e prima di Germania e Regno Unito.
Alla
vigilia della Giornata mondiale dell'acqua che si celebra il 22 marzo,
questi dati sono raccontati nel rapporto "Acqua in bocca: quello che il
cibo non dice sull'impronta idrica" preparato dal Wwf. Sono numeri che
mostrano la faccia di una potenziale carenza: solo il 2,5 per cento
dell'acqua che copre per oltre due terzi il pianeta è dolce. Se togliamo
la quota non disponibile perché racchiusa nei ghiacci e nelle acque
sotterranee, di questo patrimonio prezioso resta solo l'1 per cento.
Per
molto tempo questo 1 per cento è stato sufficiente. Ma l'assalto alle
zone umide, la crescita demografica, l'aumento dei consumi pro capite e
l'inquinamento hanno fatto saltare in molte aree del mondo un equilibrio
già fragile. E ora il cambiamento climatico minaccia di assestare il
colpo finale. Così, mentre l'acqua diventa sempre più preziosa, l'Italia
si trova esposta al terzo debito idrico del pianeta.
"La colpa è
del peggioramento delle nostre abitudini alimentari", spiega Francesca
Greco, la ricercatrice del King's College di Londra che assieme a Marta
Antonelli ha curato lo studio. "In Italia il consumo di cibo è
responsabile dell'89 per cento dei consumi di acqua e questo dato ci
dovrebbe aiutare perché la dieta mediterranea ha un impatto idrico molto
minore di quella a base di carne. Peccato che negli ultimi anni il
nostro stile di vita sia peggiorato: importiamo grandi quantità di beni
che richiedono molta acqua come la carne di maiale tedesca".
Non
solo abbiamo aumentato i consumi di carne (una bistecca da 3 etti costa 4
mila litri di acqua) ma siamo passati dal pollo ruspante al wurstel,
dalla ricotta con latte di pecora al pascolo ai latticini d'importazione
provenienti da allevamenti intensivi. E così la situazione è
progressivamente peggiorata: l'impronta idrica dell'Italia è del 66 per
cento più alta della media mondiale (1.385 metri cubi pro capite
l'anno). E tra le principali economie non europee l'Italia si colloca al
vertice dei consumi pro capite, dopo Stati Uniti, Canada e Australia.
"Sul
risparmio idrico è stata fatta molta comunicazione ma sul versante
sbagliato: si parla quasi solo dei consumi nelle case che valgono il 4
per cento del nostro bilancio complessivo", aggiunge Francesca Greco.
"Visto che i prodotti di origine animale (latte, uova, carne, formaggi)
rappresentano quasi la metà dell'impronta idrica totale dei consumi, in
Italia per migliorare dovremmo puntare con forza sul made in Italy, sui
prodotti da pascolo, sul
chilometro zero, sulla dieta mediterranea".
Una proposta che
punta a dare spazio, anche in vista di Expo 2015 dedicato al cibo, alla
messa a fuoco di un'impronta idrica capace di valutare i vari tipi di
consumo: l'acqua verde, cioè la pioggia contenuta nel suolo e nelle
piante (69 per cento del totale, assorbita dall'agricoltura); l'acqua
grigia, quella utilizzata per diluire l'inquinamento (22 per cento);
l'acqua blu: laghi, fiumi, falde sotterranee (9 per cento).
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giovedì 20 marzo 2014
Acqua, ogni giorno seimila litri a testa: ecco tutti gli sprechi nascosti.
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