martedì 10 settembre 2024

Su Renzi Schlein latita: novella Amleta, non si accorge che il Pd è pieno di pretoriani.

Dopo le elezioni in Italia (2022), e le tre del 2024 in Francia, Europa e ora in Germania, per proprietà transitiva, la direzione dei singoli Paesi e dell’Europa è una sola: Repubblica di Weimar. Somiglianze e dissomiglianze si confrontano, condizioni economiche, sociali e internazionali si somigliano. 


(Paolo Farinella – ilfattoquotidiano.it)

Weimar fu il risultato della Prima guerra mondiale, aggravato dal ribollire delle condizioni sociali che presentavano il conto della povertà delle classi medio-basse. “L’uomo forte” (e maschio) parve la soluzione ai loro guai e alla loro fame, a costo di sacrificare i diritti, anche di quei pochi, di cui allora si aveva ancora coscienza. La pseudo-Rivoluzione russa che ebbe il merito di troncare lo zarismo, instaurando il comunismo-capitalista sovietico, tradì il marxismo ideale di Karl Marx (e di Antonio Gramsci). La conseguenza di queste micce convergenti sfociò naturalmente nella Seconda guerra mondiale che portò a compimento le conseguenze incompiute della prima: la spaccatura dell’Europa e la tragica, inutile guerra fredda. Il regime stalinista, vero capitalismo oligarchico di partito, fu un gigante con i piedi di argilla; infatti, crollò dopo appena una generazione (70 anni).

Per opera di uomini lungimiranti, in particolare gli sconfitti, Konrad Adenauer (Germania), Charles De Gaulle (Francia) e Alcide De Gasperi (l’Italietta), si mise mano non a una tattica provvisoria e occasionale e nazionalista, ma a una “idea” di Europa, dalle Alpi agli Uràli, quindi Russia e mondo orientale compresi, cui Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, già dal 1941, dalle celle delle prigioni fasciste di Ventotene, lanciarono non più “il grido di dolore che da tante parti d’Italia si levò verso” Vittorio Emanuele II (1859), ma “l’inno alla gioia” di una Europa non ancora nata, ma già adulta nel sogno di uomini che ragionavano col metro dei secoli e non della cronaca. “Per un’Europa libera e unita” fu il titolo originario del sogno, passato alla Storia come Manifesto di Ventotene, pubblicato da Eugenio Colorno che ne scrisse anche a prefazione. Non fu un colpo di scena, ma un una lunga gestazione che gli autori stessi chiamarono “la guerra dei 30 anni”, dal 1914 al 1945. Lì cominciò l’inizio della fine del fascismo, nonostante le apparenze.

Se non si ha una visione sconfinata, oltre la propria storiella personale, oltre la cronaca dell’ampiezza del proprio ombelico, si resta in chiodati nella melma del guado, impossibilitati non solo ad andare avanti, ma anche a tornare indietro. Oggi, in Italia, da quando Berlusconi balcanizzò l’Italia, facendo della Politica la cloaca degli interessi contrapposti, che solo la corruzione poteva tenere in piedi, non vi sono statisti, ma faccendieri nemmeno di prima scelta, ma tutti di risulta. Più ignoranti sono e più raccolgono voti perché il popolo bue chiede solo panem et circenses: oggi chi fa ridere è superiore a un premio Nobel, chi promette dentiere (per altro usate), milioni di posti di lavoro e dice bugie su bugie, ingannando il Popolo, è un benemerito e siede in Parlamento a legiferare solo “per i suoi”. Regna la giostra dei giocolieri, ingannatori di professione.

Elly Schlein, nemmeno iscritta al partito, fu scelta contro i cacicchi e caimani travestiti, suscitando una timida speranza, anche per essere donna in partito visceralmente maschilista. Oggi è prigioniera di Renzi che, andandosene dal partito (costo minore per lui), ma non dalla “politica, come aveva giurato e spergiurato”, ipotecò il Pd, lasciando a presidiarlo i suoi giannizzeri e pretoriani, come Stefano Bonaccini, Matteo Ricci, Dario Nardela, Giorgio Gori, le Simone Bonafè e Malpezzi, Pina Picierno (oddio!), Debora Serracchiani, Lorenzo Guerini, tutti ‘residenti’ politicamente, ai Parioli, tutti ex-leopolda, tutti renziani nel Pd. Chi parla ancora di sinistra, è complice della destra vetero-neo-post-fascista.

La Elly ufficiale, che non si è accorta di essere nel Pd, ancora riserva dei renziani, non solo non ha cacciato via tutti, pretendendo un autodafé personale e davanti a Notaio, ma fidando nel suo parlare in cerchio verticale e trapezoidale che le permette di macinar parole, senza dire niente, resta immobile, novella Amleta, ma senza teschio, a ricordarle la morte, perde il tempo nostro e suo, mentre, intanto, sopisce, tronca, tentenna, si auto-silenzia, sorride al rospo che ingoia. Elly làtita, trafitta dall’altalena bipolare della gelosia di decidere, ma di non decidere, di volere essere, ma di non poterlo, di voler volare verso una maggioranza alternativa al melonismo sconclusionato e raffazzonato, ma “sua disianza, vuol volar sanz’ali” (Dante, Par. XXXIII,18). Mi auguro che l’adesione di Conte e 5Stelle sia fondata su solidissimi accordi di programma, firmati e controfirmati perché il rischio che “accà a schifìo finisce” è logico e intrinseco alle alleanze di vertice senza il popolo che li deve votare.

In Liguria, il Pd, Ensemble senza arte, colpevole di falso ideologico, continua a chiamarsi di sinistra e propone il “nuovo”, cioè il cacicco, professionista della politica di palazzo, Andrea Orlando, tra i più caciucchi del partito, stagionato come un cacio. La sua storia passata è garanzia di assenza di futuro. È stato ministro del Lavoro, senza mai abolire il Jobs Act di Renzi: ha fatto la proposta di salario minimo a € 5 lordi (sì, ho detto 5 lordi!), netti meno di € 3 che sono uguali a meno di € 600,00 puliti al mese. Un lusso esorbitante per questo signore, ex comunista, e oggi liberista sfrenato e compulsivo, nelle riserve delle ZTL. A Genova, dopo la pubblicazione di alcune registrazioni di Giovanni Toti e di suoi pupari, il Pd e 5Stelle, con i cascami residuali dei dintorni (escluso Renzi, l’arabico bin Salman di Rignano e Kalendula), avrebbero avuto la Liguria su un vassoio di portata nuziale. Invece, a due mesi dalle elezioni, hanno ufficializzato la candidatura dell’Orlando sciacquetta, che fa concorrenza al motore immobile di Aristotele, maestro di Alessandro Magno. Coraggio, largo agli ex-giovani comunistelli da acquasantiera, pronti a proseguire le malefatte di Toti Giovanni, “servo volontario” addomesticato.

Nessuno dice una parola sulla nuova grande diga foranea, che alcuni scienziati definiscono “mortale” per Genova, non una parola sulla sanità, ormai privatizzata al 70%, non un rantolo sulla scuola, smarrita tra le ortiche, non un sospiro sul gassificatore in pieno mare di fronte a spiagge da Eden biblico, non una parola sui minori non accompagnati, affidati a Cooperative nate come funghi da chi grida contro gli immigrati e intanto intasca 60 euro al mese cadauno minore, dando da mangiare cibo scaduto e mettendo a libro paga chi non ha mai messo piede dentro un centro di minori. Comune e Regione non controllano nulla, ma sono ubriachi delle “grandi opere” contro cui sbatteranno il muso e dove saranno seppelliti senza rimpianto. Non si sono ancora accorti che il tempo delle mele cotogne è finito per sempre e gli slogan vanno bene per sorelle e amanti della destra allegra e giuliva. Quando tornerà la Politica, quella Grande, la sola che meriti rispetto, chi vota senza conoscenza, colpevole di dissesto nazionale, si sveglierà di botto dal sonno della ragione.

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