Talvolta
mi chiedo se non sia, quest’epoca, quella della negazione della
pluralità dei punti di vista. Mi rispondo che la realtà non sta
immobile, e contraddizioni ci sono, e dunque non è possibile attestare
un’unica verità; al limite, esiste il conflitto tra le opinioni o tra le
diverse interpretazioni di una realtà.
Si comprende facilmente che questo conflitto, poiché concerne il discorso della democrazia, implica la predisposizione al confronto dialogico, pur nella durezza delle distinzioni. La democrazia si realizza concedendo parità a tutti i punti di vista; al contrario, affermare che solo un’opinione è legittima significa assumere una posa antidemocratica.
Nel discorso contemporaneo si è insinuata una tendenza che prova a recidere, con potenti mezzi mediatici e politici, il patto che lega la democrazia all’esistenza di diverse “articolazioni semantiche”, dunque a concedere legittimità a un’unica opinione o giudizio. Una tendenza che apre la strada a una forma viscida di totalitarismo.
Vi sono segnali, documenti, prove di questa appropriazione autoritaria del linguaggio e delle opinioni; non sono nascoste o segrete: questa tendenza totalitaria si esprime nel pensiero “mono-tesista” dei fanatici dell’atlantismo, principalmente.
Ciò è palese tanto per la guerra in Ucraina, dove chi non si accorda al punto di vista atlantista viene bollato come filo-putiniano, che per il genocidio di Gaza, dove basta veramente poco per essere considerato un filo-Hamas o un antisemita.
Si tratta della posa di chi si presenta come il delegato del Bene, alimentando il primato del proprio gruppo o tribù; e annullando, di fatto, il valore dello scambio paritario delle opinioni, proprio di una democrazia compiuta. Quando qualcuno esprime un’opinione che non è coerente con l’opinione dominante diviene un “nemico”, per il quale ci può solo disprezzo e nessuna legittimazione.
L’idea paradossale – e decisamente irrazionale – del fanatico dell’atlantismo è che esista una sola logica e una sola modalità di lettura della realtà, e di conseguenza un’unica verità; ed è da questo punto di vista che concede o revoca la cittadinanza alle opinioni, ossia che riconosce liceità solo e solamente a quelle articolazioni semantiche che coincidono con la propria.
Ma qui, come suol dirsi, casca l’asino … Privando l’altro di ogni riconoscimento, e avversandone con foga le opinioni, il fanatico dell’atlantismo svela la sua essenza totalitaria, giacché agisce come ordinatore autoritario dei discorsi e delle verità. Non è solo un modo di impedire alla società di cogliere il mondo nella sua contraddittorietà e parzialità, ma anche un modo dispotico per imporre la propria esclusiva verità.
Un esempio paradigmatico. In riferimento ai parlamentari italiani che hanno votato contro l’eliminazione delle restrizioni sull’uso delle armi in suolo russo, un noto giornalista ha scritto (testuali parole): «Queste sono persone che hanno problemi con la realtà e andrebbero allontanate da ogni carica pubblica».
Questa frase è sintomo di due gravi patologie. Da una parte, l’autore fa vibrare tra le righe la certezza che la propria visione del mondo sia quella giusta, considerando le altre incapaci di affrontare compiutamente la realtà; dall’altra, l’autore si auspica un intervento autoritario che privi dei diritti politici chi esprime un’opinione diversa dalla propria.
Ebbene, entrambi queste patologie sono tipiche dell’attitudine totalitaria: l’imposizione di un “pensiero unico” e la repressione di chi esprime un pensiero diverso.
È sbalorditivo – e sconcertante – che queste persone si presentino come i difensori della democrazia; l’estro del fanatico dell’atlantismo è quello del suprematismo che non concede cittadinanza all’altro.
Totalitarismo, che altro?
* da Facebook
Nessun commento:
Posta un commento