Partiamo da questo dato di fatto: l’acqua che ci arriva in casa è prelevata per la quasi totalità da falde sotterranee, e poi analizzata ed eventualmente trattata per rispettare 59 parametri.
(Milena Gabanelli e Andrea Priante – corriere.it)
A cosa servono
I prodotti in commercio sono centinaia, ma sostanzialmente si dividono in tre categorie:
1) Le caraffe filtranti: l’acqua passa all’interno di una cartuccia con carboni attivi che trattiene il cloro e, se il filtro contiene resine, anche parte dei minerali disciolti. Sono gli apparecchi più diffusi (13,6% delle famiglie) e costano poche decine di euro.
2) Filtri applicati al rubinetto: in genere si limitano a togliere il cloro e a eliminare le sostanze in sospensione (rilasciate eventualmente da tubature obsolete) senza intaccare i minerali disciolti. Presenti nel 12% delle case, il prezzo può arrivare fino a 2/300 euro.
3) I sistemi di microfiltrazione: si installano sotto ai lavandini e l’acqua viene spinta attraverso una serie di membrane che sono in grado di rimuovere tutto, dipende dalla capacità di filtraggio. Quelli a osmosi inversa producono un’acqua praticamente distillata e quindi, per renderla bevibile, l’apparecchio reintegra almeno una parte dei sali minerali o la miscela con l’acqua del rubinetto. È la soluzione più costosa (dai mille agli oltre 3mila euro) e si stima sia presente nel 4,4% delle abitazioni ma è anche quella che va «di moda» e che più sta spingendo il mercato.
Sono sistemi sicuri?
La risposta è sì, perché questi apparecchi sono disciplinati da leggi europee, italiane e dalle linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità. A condizione che venga effettuata la corretta manutenzione e regolazione. In caso contrario, nella migliore delle ipotesi sono inutili (un filtro saturo non filtra più nulla), nella peggiore rilascia tutto quello che fino a quel momento ha trattenuto, o favorisce la formazione di colonie di batteri che potrebbero provocare una gastroenterite. Inoltre, gli esperti raccomandano di non conservare per troppo tempo l’acqua in un contenitore (incluse caraffe e vaschette di raccolta) perché aumenta il rischio di contaminazione. L’Organizzazione mondiale della sanità mette in guardia da un filtraggio eccessivo perché «può comportare la riduzione dell’assunzione complessiva di sali minerali nutritivi da parte dei consumatori», visto che la quantità di nutrimenti e sali minerali che assumiamo bevendo varia tra l’1 e il 20% del fabbisogno, mentre il resto ci arriva dagli altri alimenti.
È vero che depurano?
La risposta la fornisce l’Istituto Superiore di Sanità : brocche e apparecchi non potabilizzano né depurano, perché l’acqua del rubinetto è già potabile e sicura. Significa che anche le sostanze pericolose (dall’arsenico al nitrato, dal cianuro al mercurio) che si possono trovare naturalmente nelle nostre falde, devono essere in percentuali talmente basse da non comportare rischi per la salute. E se nella rete per la distribuzione emergono contaminazioni, la legge impone l’immediata sospensione dell’erogazione e il rifornimento agli utenti, se necessario anche tramite cisterne. Il Centro Nazionale per la Sicurezza delle Acque ha studiato oltre 2,5 milioni di analisi condotte sulla potabile di 18 Regioni tra il 2020 e il 2022 arrivando a certificare che nel 99,1% l’acqua potabile in Italia rispetta i parametri sanitari, e nel 98,4% è conforme agli indicatori di qualità che influiscono su sapore, odore o colore.
E allora a cosa serve filtrare l’acqua? Per l’Iss gli apparecchi «hanno la sola finalità di modificare le caratteristiche organolettiche delle acque». Vale a dire che ne rendono più gradevole il sapore e l’odore, oppure – se hanno in dotazione i necessari dispositivi – la raffreddano e aggiungono l’anidride carbonica per chi la preferisce frizzante. In conclusione: salvo guasti alla rete o che le tubature di casa nostra siano così obsolete e rovinate da presentare infiltrazioni o rilasciare tracce di metalli (e allora la soluzione è sostituirle), utilizzare correttamente questi apparecchi non fa né bene né male alla salute.
La pubblicità ingannevole
Il vero problema sono quei produttori che vogliono farci credere che,
filtrandola, avremo un’acqua con caratteristiche miracolose. E che sono
stati puntualmente multati dall’Antitrust: Enagic Italy multata per
aver diffuso la tesi che la potabile trattata coi suoi apparecchi (che,
oltre a filtrare, ionizzano, cioè modificano il ph) abbia effetti anti-infiammatori, anti-allergici, anti-obesità e che sia in grado di prevenire il cancro. Sanzionati tre distributori dei sistemi Aurora D’Agostino che spacciavano l’acqua filtrata e ionizzata per un elisir con potere di prevenzione dei disturbi cardiaci, di tumori, cellulite, diabete e sclerosi multipla. Multata pure la Sirio Srl, secondo la quale basta bere un litro e mezzo dell’acqua che esce dai suoi sistemi a osmosi inversa per prevenire ipertensione, disturbi della circolazione, calcoli renali, artriti e stipsi. E stangata la Puntoacqua Italia, che denigrava quel che esce dai rubinetti, sostenendo che «solo con un’appropriata microfiltrazione si possono bloccare agenti contaminanti nell’acqua di casa».
Da anni AquaItalia,
l’associazione dei produttori che aderisce ad Anima/Confindustria, si
batte contro le fake che rischiano di danneggiare l’intera categoria.
Leggiamo nel loro comunicato ufficiale: «Non esiste legame tra il trattamento dell’acqua e una funzione sanitaria».
Ha anche promosso un codice etico che vieta ai venditori di «ingenerare
il sospetto che l’acqua dell’acquedotto sia impura o non potabile» o
«il timore che sia nociva per la salute». In caso di violazione, al terzo richiamo l’azienda viene espulsa dall’associazione.
Fanno bene all’ambiente?
Venditori e costruttori onesti fanno invece leva sul fatto che questi apparecchi fanno bene all’ambiente perché, se l’acqua di casa è più buona, meno persone acquisteranno quella in bottiglia riducendo il consumo di plastica e l’inquinamento derivato dal suo trasporto. Per questo, fino al 2023, a chi comprava un sistema per il filtraggio domestico è stato garantito un credito d’imposta di 500 euro. Puntare alla riduzione dell’uso della plastica è sacrosanto. Ma a proposito di ambiente occorre anche sapere che, a differenza di caraffe e filtri, ai sistemi a osmosi inversa servono due/tre litri d’acqua di rubinetto per «produrre» un litro d’acqua filtrata. Il resto finisce nello scarico.
dataroom@corriere.it
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