lunedì 30 settembre 2024

Daniele Raineri. Una soffiata, poi 80 bombe: così ha colpito lo Squadrone 69 che ha ucciso Nasrallah.

I retroscena dell’operazione che ha permesso al battaglione d’élite di uccidere il leader di Hezbollah. È lo stesso reparto che si era ribellato a Netanyahu contro la riforma della giustizia.

 Una soffiata, poi 80 bombe: così ha colpito lo Squadrone 69 che ha ucciso Nasrallah

(Daniele Raineri – repubblica.it)

L’intelligence di Israele conosceva la posizione di Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah ucciso venerdì, da molti mesi e questo è un ulteriore segno rivelatore — se ce ne fosse ancora bisogno — di quanto la sicurezza interna del gruppo libanese sia ormai molto compromessa. Non era ancora arrivata, però, la decisione politica di ucciderlo. Il governo Netanyahu l’ha presa mercoledì per due motivi. Il primo è che il momento è stato considerato giusto, perché dopo mesi di confronto a bassa intensità Israele ha cominciato una campagna massiccia per sradicare il più possibile Hezbollah dal confine Nord.


 

Per quasi un anno non c’è stata urgenza, poi la situazione è stata rivalutata: intollerabile. Il secondo motivo è che Nasrallah nel giro di pochi giorni avrebbe cambiato nascondiglio — e questo ci dice che Israele o riesce a intercettare le comunicazioni del Partito di Dio oppure ha alcune talpe all’interno dell’organizzazione, perché non ci sono altre spiegazioni per giustificare la qualità delle informazioni a sua disposizione.

Mercoledì l’ordine di Netanyahu ai militari è stato di procedere con l’operazione per uccidere Nasrallah non appena ci fosse stata la cosiddetta “possibilità operativa”. Il primo ministro è volato verso New York per parlare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e questa mossa ha contribuito a creare un clima meno minaccioso rispetto ai giorni precedenti. Meno minaccioso nel senso che il gruppo libanese ha ritenuto che Netanyahu non si sarebbe mai allontanato da Israele se avesse ordinato di uccidere il leader. E invece il viaggio era anche un diversivo e ha funzionato. Al punto che Nasrallah si è incontrato con i suoi comandanti per commentare il discorso di Netanyahu al Palazzo di Vetro, e assieme a lui c’era anche il comandante militare del gruppo, Ali Karaki, che cinque giorni prima era scampato a un attacco aereo per ucciderlo a poche centinaia di metri dal bunker di Hezbollah. Karaki aveva appena preso il posto del comandante Ibrahim Aqil, ucciso una settimana prima, che a sua volta aveva rimpiazzato il comandante Fuad Shukr, ucciso sempre nella stessa zona a luglio. Eppure Nasrallah, Karaki e gli altri comandanti che sapevano di essere sulla kill list di Israele pensavano di poter trascorrere ancora qualche ora in quel bunker.

A svolgere la missione è stato lo Squadrone numero sessantanove, un’unità dell’aeronautica israeliana che gli esperti definiscono d’élite. Hanno sganciato ottanta bombe su un’area residenziale densa, fatta di palazzoni di molti piani e strade strette e il numero delle vittime non è ancora definito. Il ministero della Sanità libanese dice che i morti sono sei e i feriti novantuno, ma non è un bilancio congruo con la scene di devastazione viste dopo il bombardamento, al punto che c’è da chiedersi se molti civili di quell’area non fossero già fuggiti, temendo il peggio — che stava arrivando.

Il sessantanovesimo squadrone è formato per metà da piloti riservisti. Sono gli stessi piloti che nel marzo 2023, al culmine delle proteste popolari contro la riforma della giustizia proposta da Netanyahu, annunciarono che non avrebbero preso parte a un’esercitazione in segno di protesta contro il premier e toccarono così un nervo molto scoperto: personale militare che rifiutava di obbedire. Poi la crisi era rientrata.

Sabato mattina, alcuni operativi di Hezbollah hanno trovato il corpo di Nasrallah fra le macerie. L’informazione è subito arrivata agli israeliani, che nel giro di poco l’hanno resa pubblica.

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