martedì 26 settembre 2023

DOMENICO QUIRICO. Ecco come finisce la Françafrique.

Dopo Mali e Bourkina Faso, Parigi si ritira dal Niger: è il requiem per un impero coloniale defunto «complice» degli jihadismi, travolto da Cina e Russia.

Manifestazione a Niamey, Niger, con una donna che tiene un cartello "Non vogliamo più la Francia"

(DOMENICO QUIRICO – lastampa.it)

Adesso i vecchi incanti sono davvero sfumati. O ci lasciano indifferenti quando non danno fastidio. La loro estinzione si avverte di più dove erano più tenaci. È finito ieri, con il ritiro dal Niger, il tentativo della Francia di prolungare in una vicenda suicida il proprio colonialismo, quello «d’antan», con le basi militari, il controllo economico di risorse e moneta, i satrapi-vassalli fatti e disfatti a proprio uso. 
Era il penultimo, resta ancora ma con ben altri mezzi e astuzie il «dominio indiretto» americano. 
Una vicenda che rivela, come tutti i sacrilegi dell’anacronismo, certi limiti disperanti dell’intelligenza umana. 
Va in soffitta tra le anticaglie inutili il sogno di de Gaulle, grande utopista e negatore del presente, fingendo le indipendenze di tenere l’impero nei vecchi stampi. 
A estinguerlo, a riprova di quanto fosse marcio, è bastata una spallata di quattro sgangherati colonnelli saheliani, per di più addestrati proprio dai francesi. 
In fondo una forma di eutanasia.

Il requiem per un impero defunto, ora che i soldati francesi entro l’anno abbandoneranno anche il Niger, si è obbligati a intonarlo. Anche se era ormai spazzatura, un segno di arretratezza, di un attaccamento vischioso alla propria conservazione che emana pavidità intellettuale e morale, ristrettezze, depressione. Le popolazioni degli ex sudditi sono ostili ai francesi, ai loro eterni maneggi e saccheggi economici, non vogliono più vedere le loro uniformi, in Mali ne hanno persino abolito la lingua. I golpisti hanno solo approfittato di questo umore popolare. Macron ha cercato di dare la colpa di questa vasta, radicata insofferenza non agli errori di Parigi ma alla propaganda della Wagner. Che trucco meschino! Lo scorso anno annunciava la costituzione di una task force di contro informazione per fermare la seduzione dei russi.

Persino sotterrare il colonialismo versione Marianne costringe a maneggiare arroganze spigolose e insofferenti, vecchi sciovinismi con umori inaspriti dalla consapevolezza di debolezze crescenti. Anche le residue basi militari, in Ciad dove si aggrappano a colonnelli golpisti ma amici, Costa d’Avorio, Gabon e Gibuti, ora cadranno come pedine appese in aria. Una parte dell’Africa è libera di pensare al proprio futuro, in cui non ci saranno certo i golpisti. E la Francia finalmente, a cercare di essere ciò per cui l’amiamo, una società avida di valori intellettuali e per nulla disposta a rinunciare a crearne di nuovi e a sostenerli con energia. La definirei una boccata d’aria.

Dunque la Francia ha perso la guerra del Niger. Dopo il golpe del generale Tiani contro un fedele compare della Francafrique, il presidente Bakhum, Parigi e i suoi ascari assemblati nella scalcagnata Alleanza dell’Africa occidentale, hanno minacciato invasioni, imposto sanzioni che hanno affamato uno dei popoli più poveri del modo, posto ultimatum categorici di restaurare il presidente. Si ipotizzavano raid fulminanti in stile americano. Ora Macron, in fondo un mediocre, può finalmente passare alla Storia assumendosi il compito di liquidatore che dichiara la bancarotta: i millecinquecento soldati di quello che era diventato, dopo altri sfratti, l’estremo fortilizio della Francafrique, tornano a casa, insieme all’ambasciatore che doveva dimostrare, restando in ostaggio, che Parigi non riconosceva la giunta militare.

Meglio esser chiari: questa volta non è il solito partire per restare con cui finora la Francia ha camuffato i suoi aggiornamenti del controllo coloniale. I soldati partono perché l’assedio delle loro basi in Niger li avrebbe costretti alla resa, per mancanza d’acqua elettricità, carburante, assordati dalla folla dei nigerini che manifestavano: andate a casa, irridendoli con bandiere russe.

L’ultima scusa a cui si era appesa la Francia era quella di essere nel Sahel per condurre una guerra contro un nemico dai contorni fluidi, «i terroristi». Una guerra a tempo indeterminato mai decisa da parlamenti, con legittimazioni legali dubbie, condotta con metodi brutali e soprattutto inconcludenti, fallimentari. I jihadisti di Al qaeda e dei rivali in guerra santa l’Isis, continuano a guadagnar terreno, hanno tagliato fuori Menaka e Timbuctu, scendono sempre più a Sud verso il golfo di Guinea. Già si speculava su una buona scusa per allargare la presenza militare a altri stati come il Benin. Nel Sahel, infatti, sospettano che i francesi lascino sopravvivere i jihadisti per prolungare la emergenza e avere una scusa per restare.

L’Empire chiude i battenti non per consapevolezza di un tempo finito; o per virtuoso rimorso penitenziale come intona la solfa in voga in alcuni discorsi di Macron agli africani. Si sfascia perché è un modello screditato, non ha soldi per tener testa alla sfida di russi e cinesi. E soprattutto perché gli africani hanno acquisito consapevolezza che «la fraternità» di Parigi altro non è che un ipocrita strumento di sopraffazione, come una crema analgesica con cui il vampiro unge la pelle prima di succhiare il sangue.

La Francia, da tempo, in Africa è un Paese pieno di zone oscure, tarde, violente, vi ha commesso giganteschi errori. Colpa anche nostra che come Europa non abbiamo saputo dirle: basta! Anzi abbiamo concesso una delega in bianco su mezza Africa accettando terminologie ormai logore, ideologie sudice che continuavano a opprimere, chiacchiere retoriche di figure sclerotiche. Consentendo che prolungasse un futuro che era già ipotecato.

Per esempio siamo andati a Niamey, insieme ai tedeschi, con duecento soldati, i soliti «istruttori», pretesto con cui si fa sempre maquillage alle missioni inutili o impresentabili. In realtà davamo una mano ai francesi nel tenere a bada sudditi indisciplinati e scalpitanti. Sarebbe questa l’Europa, ovvero la complicità negli errori? Perché il tentativo a Parigi era di continuare le antiche abitudini facendo pagare all’Europa le spese.

Il 31 gennaio del 1830, regnante un reazionario già fuori della storia come Carlo decimo, fu decisa la spedizione militare in Algeria. Iniziò così. Che cosa resta di questa storia? «Enfumades», massacri, torture, una impresa di rapina… «vivere sull’arabo e nutrire la guerra con la guerra…» come ordinavano i regolamenti per le razzie, e Stati artificiali messi su mischiando ad arte popolazioni e culture in modo da dividere e continuare dominare. Aria di infamie defunte. Prima o poi bisognava scontare l’ottavo peccato capitale nascosto con ostinazione nelle pieghe della coscienza nazionale, il colonialismo e la sua eredità.

Nessun commento:

Posta un commento