giovedì 28 settembre 2023

Il dossier di Kiev sui droni iraniani usati dai russi: anche dall’Italia i componenti dei velivoli. “Voi vi arricchite, noi moriamo”

Nel documento consegnato dal presidente Zelensky i dettagli delle forniture di parti commerciali che vengono utilizzate per assemblare i velivoli killer. Si tratta di tecnologia civile che aggira i controlli arrivando da Usa, Canada, Giappone, Svizzera e molti paesi europei.

Un drone esposto in una strada di Teheran in occasione della Settimana della Difesa

(di Floriana Bulfon – repubblica.it)

“Voi vi arricchite, noi moriamo”. È questo il senso del dossier consegnato dal presidente Volodymyr Zelensky ai leader del G7 durante il vertice dello scorso agosto: un documento che dimostra come i droni killer iraniani usati per bombardare le città ucraine siano costruiti con dozzine di componenti europee, statunitensi e canadesi.

Nei mesi scorsi l’esame degli ordigni abbattuti aveva permesso di scoprire i pezzi provenienti dall’Occidente: Repubblica era riuscita a rivelare il ruolo di un’azienda bresciana nelle consegne all’Iran, sottoposto da anni all’embargo internazionale. Ma il Guardian adesso ha esaminato il rapporto di 47 pagine confezionato dal governo di Kiev con l’analisi completa di 600 raid portati a termine in soli tre mesi dagli Shahed, prima prodotti nella Repubblica islamica e adesso assemblati pure in Siria e direttamente in Russia, in una fabbrica della regione tatara di Alabuga.

Sono stati identificati persino i chip a cui con un laser sono stati cancellati i numeri di serie per nascondere il fornitore, come fanno i criminali con le pistole con matricola abrasa. Il risultato è impressionante: ci sono 52 elementi made in Usa e in Europa negli Shahed 131 e 56 negli Shahed 136, i più diffusi, usati pure ieri sera per colpire il porto di Reni.

Si tratta sempre di componenti civili, gli stessi impiegati per realizzare elettrodomestici, trattori, automobili: equipaggiamenti che passano più facilmente attraverso la rete dell’embargo, ma che poi finiscono per trasformarsi in missili e carri armati. “La produzione dei velivoli teleguidati iraniani – è scritto nel dossier – è stata adattata per utilizzare soprattutto componenti commerciali, la cui vendita è poco o per niente sorvegliata”. “Credo che molte intelligence europee non diano alcuna attenzione alle sanzioni”, ha detto al Guardian il parlamentare Ue Bart Groothuis, membro della sottocommissione Difesa ed Esteri. Adesso Kiev si è resa conto di quanto queste forniture stiano contribuendo all’armata di Vladimir Putin e intende mettere un freno. “Le sanzioni contro Mosca non bastano – ha dichiarato ieri Zelensky – . Ci saranno nostre azioni”. Secondo il Guardian, nel rapporto per il G7 gli ucraini hanno proposto di distruggere le fabbriche di droni in Iran, in Siria e in Russia con un attacco missilistico: “Possiamo farlo noi, se ci date le armi necessarie”.

L’elenco dei Paesi coinvolti in questa filiera parallela è lungo: Stati Uniti, Canada, Germania, Svizzera, Giappone, Olanda, Polonia, Francia ed anche Italia. La pompa del carburante per gli Shahed 136 viene dalla filiale polacca della TI Automotive Gmbh tedesca, parte della multinazionale britannica TI Fluid Systems, mentre il processore arriva da STMicroelectronics, che ha impianti in Francia e in Italia.

Invece sul modello 131 ci sono un circuito a 14 canali e un microprocessore della NXP Semiconductor olandese; un transistor e un circuito integrato della International Rectifier, parte della tedesca Infineon Technologies Ag; un tracciatore GPS della svizzera U-blox; un microcontrollore a 32 bit, un processore sempre a 32 bit e un sistema a basso voltaggio della STMicroelectronics.

Tutte le aziende interpellate dal Guardian hanno spiegato di non vendere a società iraniane e di avere interrotto i rapporti con la Russia dopo l’inizio della guerra. Allo stesso tempo, pur non permettendo la cessione a terzi dei loro prodotti, non hanno la capacità di impedire che questo avvenga. La strada dei pezzi infatti passa soprattutto attraverso triangolazioni: giungono a Teheran tramite Turchia, India, Uzbekistan, Kazakhstan, Uzbekistan, Vietnam e Costa Rica.

Nel rapporto, gli ucraini sostenevano che Teheran e Mosca stavano progettando insieme una versione dello Shahed 131 – chiamato Geran dai russi – con un nuovo propulsore. È stata presentata ieri: ha un turbo jet al posto del motore a elica, diventando più silenzioso e più manovrabile. Probabilmente può trasportare più esplosivo. E tutti scommettono che sarà uno dei protagonisti della campagna invernale contro le città ucraine.

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