martedì 26 settembre 2023

La Cina prima in scienza

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Tutte le volte che parlo della Cina e del suo potere in espansione, noto una sorta di fastidio inconfessato in qualche lettore, non so se dovuto al fatto che si teme di dover subire un nuovo status coloniale, ma questa volta da parte di popolazioni non bianche oppure riferibili a chissà quali ostilità culturali o anche solo al fatto di non riuscire a superare lo stadio della cineseria. Il fatto è che tre quarti di secolo passati come colonia marginale del moloch anglosassone non solo ci hanno istupidito e involgarito, ma ci hanno resi ancor più provinciali: la cosa infatti che spicca come un faro nella notte è che la cultura cinese è agli antipodi di quella nordeuropea ed è poco interessata al dominio. Ma quello che voglio dire è che è del tutto inutile voltare la testa e cercare di non vedere, ma è invece necessario comprendere ciò che occorre fare per sfruttare le occasioni e le sfide che si presenteranno.

Naturalmente alcuni faranno il tifo per la guerra che – esattamente come è stato per l’Ucraina-  si immagina vittoriosa. Ma è probabile che non ci sarà alcuna guerra perché gli americani sono pieni di ira e di livore, ma sanno benissimo di essere in affanno e lo dimostra la statistica fatta da Nature secondo cui dal 2022  la Cina ha superato gli Stati Uniti per i contributi agli articoli di ricerca pubblicati  sulle  82 riviste di scienze naturali di alta qualità. Per la verità già nel 2017 gli articoli dei ricercatori cinesi avevano superato per numero quelli americani, ma adesso si deve riconoscere che non solo sono di più, ma complessivamente migliori. Per comprendere bene cosa questo significhi va ricordato che gran parte della ricerca Usa si basa sull’importazione di cervelli dall’Asia e dall’Europa e su una rete di università sparse dovunque che fanno il lavoro per loro pur di piatire una firma anche al millesimo posto su un articolo. quindi quando parliamo di ricerca Usa, parliamo in buona sostanza di tutta o quasi la ricerca occidentale e anzi quella del Washington consensus.

La seconda notizia di cui vorrei parlarvi  deriva da un documento trapelato  dall’Office of Naval Intelligence (ONI) degli Stati Uniti e di cui è stata confermata l’autenticità:  i cantieri navali cinesi sono in grado di costruire nuove navi militari a un ritmo 232 volte superiore a quello degli Stati Uniti, come si evince dall’immagine di apertura. Né si vede come gli Usa con una popolazione molto inferiore a quella cinese e con una deindustrializzazione in corso possano mai colmare questo divario, tanto più che la flotta cinese è già oggi superiore a quella americana per numero di mezzi disponibili . In queste condizioni un attacco alla Cina sarebbe a dir poco problematico. E gli Usa in realtà sono ben attenti a queste cose: il comando della Marina americana prima della battaglia delle Midway avvisò Roosevelt che in caso di  esito negativo sarebbe stato opportuno intavolare trattative per un armistizio col Giappone. Eppure la marina del Sol Levante benché avesse le due più potenti corazzate al mondo, la portaerei più grande e i migliori siluri mai costruiti,  era complessivamente inferiore sia alla flotta americana che a quella britannica. Oggi la Cina aggiunge alla sua flotta l’equivalente di quella britannica attuale ogni anno.

Dal momento che l’occidente neoliberista per avidità di guadagno ha pensato bene di spostare in Asia le attività produttive e industriali è difficile poter pensare di invertire la rotta in tempi brevi, occorrono al minimo decenni, ma comunque è chiaro che siamo nel secolo dell’Asia: il fatto che la ricerca in campo scientifico stia passando di mano ci dice che anzi sarà più di un secolo e l’unica prospettiva politica sensata di questo Paese sarebbe quella di prendere il treno del futuro invece di collassare col vecchio.

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