Andate a rileggere «Moneta e crisi» di Sergio Bologna, prendete questo testo del 1974 – dice Negri nel 78 – e ci troverete tutto ciò che è Autonomia Operaia.
coku.it Leo Essen
Cosa fa Bologna in questo testo? Inizia la decostruzione – sacrosanta – della differenza tra capitale industriale e capitale finanziario.
In Lotte di classe in Francia, Marx definisce l’aristocrazia finanziaria come la riproduzione del sottoproletariato alla sommità della società borghese, e, dunque, gli attribuisce tutte le caratteristiche del Lumpen (arretratezza, parassitismo, furto, infamia, eccetera).
In questo giudizio storico, dice Bologna, si trova tutto il Manchesterismo di Marx. Si trova quella partizione tra lavoro produttivo (industriali e proletari) e lavoro improduttivo e parassitario (finanza e sottoproletariato – e attaché di Stato).
Nel 50 Marx dice che l’aristocrazia finanziaria non esprime il momento core del capitale, ma solo un aspetto, per così dire, accessorio. Eppure, dice Bologna, nel 56 il punto di vista cambia e la banca diventa il punto di partenza per l’analisi dell’intera borghesia. Cos’è successo?
È successo che in Francia Emile e Isaac Péreire fondano il Crédit Mobilier e lanciano il socialismo bonapartista. Marx intuisce di trovarsi di fronte a un mutamento nei meccanismi di estrazione di plusvalore.
Bonaparte, dice Bologna, non poteva più contare su un controllo diretto dalla forza lavoro di fabbrica. Una classe operaia che aveva fatto il 48, dice, non si lasciava più sfruttare oltre certi limiti, pagare sotto certi limiti.
Al regime bonapartista era necessaria un’ideologia della partecipazione collettiva ai benefici dello sviluppo per cooptare la classe operaia in un disegno di regime. Questa copertura ideologica la fornì il socialismo, il saint-simonismo, così come era stato ingegnerizzato da Proudhon.
Il 31 gennaio 1849 Proudhon si era presentato dal notaio Dassaignes per registrare la Banque du Peuple, l’istituto che, mediante l’erogazione di prestiti gratuiti, avrebbe ottenuto l’emancipazione del lavoratore e la sua trasformazione da salariato in associato a un’organizzazione di cooperazione sociale. Poiché Proudhon riteneva che la proprietà fosse un furto, e che questo furto si consumasse attraverso un’errata computazione eccetera, la riduzione di ogni prestazione all’unità di tempo e dunque all’unità cedolare e il controllo della banca di emissione delle cedole avrebbe risolto il problema e immesso nel socialismo, ovvero nel regno dell’uguaglianza. L’uguaglianza passava dal controllo di una banca centrale.
La decostruzione è un’arma a doppio taglio. Bisogna maneggiarla bene. Altrimenti ci si fa male. Decostruita ogni differenza e ridimensionata ogni partizione ci si trova in una notte in cui tutte le vacche sono nere. In cui tutto diventa potere – per esempio. In cui tutto è giustificato – o ingiustificato, non fa differenza.
La gratuità del credito, dice Bologna, significava disponibilità di capitale, superamento della concorrenza tra capitali, livellamento dei saggi di interesse, unificazione del prezzo del denaro, creazione del capitale collettivo. Ma gratuità del credito, dice – e qui inizia a operare la decostruzione – gratuità significa anche possibilità collettiva di diventare produttori-imprenditori, spontaneismo della moltiplicazione del sistema di fabbrica, incoraggiamento collettivo ad arricchirsi. La dottrina proudhoniana cooptava la classe operaia, la piccola borghesia, dentro un progetto di sviluppo, di crescita, di partecipazione, frustrando l’organizzazione della violenza.
I soldi a costo zero, incentivando l’auto-imprenditorialità, aboliscono la differenza di classe.
Si tratta di una lettura attiva della storia, che parte dallo Stato sociale e ne riscrive la storia, retrodatandola fino al 1848 – il metodo è giusto, il filo è giusto, i risultati sono discutibili.
Questa storia della cooptazione la leggiamo sui Quaderni Rossi, la leggiamo su Temps Modernes, già a partire dagli anni Cinquanta, e si riferisce allo stato sociale, non si estende all’Ottocento e al socialismo saint-simonista. Bologna non fa altro che allargare il cerchio.
Marx, dice, si trova di fronte alla prima forma compiuta di stato moderno, al governo del capitale sociale; si trova di fronte alla prima forma compiuta di un moderno sistema monetario, al governo centralizzato della liquidità.
Il progetto di Lafitte per la costruzione di una banca di investimenti, i discorsi di Enfantin sulla necessità di centralizzare le risorse, i loro esperimenti di specializzazione delle Casse, in riferimento a certi settori industriali, la loro funzione regolatrice e programmatrice dell’economia, l’importanza da costoro assegnata all’innovazione tecnologica – insomma, dice, le loro lucide anticipazioni di quella che sarebbe stata l’organizzazione istituzionale dello sviluppo economico moderno – rappresentavano un livello di coscienza del nascente ceto industriale francese molto più elevato di quello espresso dai cosiddetti teorici puri dell’economia, da Say o da Bastiat.
La costituzione del Crédit Mobilier, avvenuta il 18 novembre 1852, e l’avventatezza con cui gli si concede una leva di 5 volte il capitale (5C), lascia perplesso persino James de Rotschild.
Una leva 5C, dice Rotschild, con l’appoggio del governo, getterà sul mercato una mole di credito che poggerà su garanzie mutevoli, dubbie e incerte. I direttori di questa banca, dice, saranno padroni di tutte le imprese. Ma ciò che è peggio, è che questa banca potrà favorire un affare a spese di un altro, esasperare il valore, esaltando questo e umiliando quest’altro, e a tutti imporre le proprie condizioni. Per la massa di titoli che verranno in suo possesso detterà legge sul mercato, una legge senza controllo e senza concorrenza. Le diverse imprese, troppo deboli per sostenere la lotta, saranno forzate a mettersi a disposizione, il grande commercio e la grande industria finiranno per non avere alcuna libertà e alcuna garanzia e non potranno che muoversi sotto un grande controllo e un’unica azione. La banca penetrerà in tutti i consigli di amministrazione, delle ferrovie, delle miniere, dei canali. Comporrà a suo piacere questi consigli, dirigerà queste imprese con i suoi consiglieri o con persone di sua scelta. Riunirà nelle proprie mani o sotto la propria autorità la maggior parte della ricchezza pubblica. Più che un pericolo, dice, sarà una calamità. Estinzione di ogni concorrenza, annullamento di tutte le forze individuali. Il risultato sarà disastroso.
Non c’è dubbio – dice Bologna -, si tratta dell’avvento di una nuova banca. La differenza tra la nuova banca, impegnata in operazioni di immobilizzazioni a lungo termine, e la vecchia banca, impegnata in operazioni di credito commerciale a breve termine, non sta nella tipologia del credito concesso, ma sta nell’ideologia. E questa ideologia è incarnata da un nuovo biglietto, che si pone in concorrenza (e aspira a sostituire) il biglietto di banca, creando un «valore omnium» con un interesse giorno per giorno, un biglietto che rappresenterà il simbolo utopico di un saggio medio di interesse.
È lo stesso sviluppo del capitale che rendeva necessaria una tale banca – dice Bologna. I nuovi settori ad alta composizione organica di capitale, dice, l’industria pesante in primo luogo, rendevano indispensabile un processo di fusione e concentrazione. La stessa capacità espansiva della banca, la su capacità di estendere le sue operazioni ad altri paesi, in particolare quelli in via di sviluppo, dipendevano dall’associazionismo. L’idea-forza dei Péreire, dice, era la creazione di un mercato mondiale dei capitali, di una sola area monetaria unificata.
Tra le più importanti conseguenze che ci si può aspettare, scrivevano i Périere, si può segnalare la possibilità di creare dei titoli di credito i cui interessi saranno serviti sulle principali piazze d’Europa in base a dei rapporti fissi da stabilire tra le monete dei diversi stati. Non l’oro, ma la forza di associazione è il vero potere finanziario francese nel mondo.
È la teorizzazione più matura del capitale sociale, del mercato mondiale – dice Bologna.
Questa è la nuova banca. Ma non bisogna fermarsi qui. Non bisogna fermarsi alla visione di un sistema finanziario separato e pensato come contrapposto al sistema della produzione. Bologna approfondisce la decostruzione tra produzione e finanza, tra banca e fabbrica.
Nella sociologia socialista, dice, la distinzione tra denaro come merce particolare e denaro come capitale, viene espressa mediante la differenza tra una sfera della finanza, avulsa dal mondo del lavoro, manifestazione degenerata dell’economia – insana -, e una sfera della produzione, caratterizzata dall’equo scambio di valori, dalle giuste leggi del mercato – sana.
Bologna decostruisce questa differenza.
Bisogna ricordare ai mistificatori socialisti che non c’è differenza tra banca e fabbrica. Ambedue sono mercati di merci. Operano in un sistema con le stesse leggi capitaliste dello scambio. In secondo luogo (qui Bologna richiama Marx), quella stessa moneta che nella sfera finanziaria appare come merce particolare e dà luogo al settore produttivo di interesse – è capitale, è plusvalore estorto in fabbrica e investito in operazioni che consentono di comandare lavoro altrui. Più precisamente, dice, è capitale prodotto nelle fabbriche inglesi e investito negli istituti mobiliari francesi. La sovrapproduzione che si registra in Inghilterra è perciò il falso nome che viene dato al supersfruttamento, la speculazione è il falso nome sotto cui si nasconde la svalorizzazione del lavoro. Non c’è differenza tra fabbrica e banca.
Questa decostruzione ha un andazzo allegro, alla Baudrillard, anziché un andazzo tormentato, alla Derrida. Quando si tratterà di fare i conti con quella frazione di lavoro, rimessa al giogo del plusvalore assoluto (mentre a un’altra frazione sarà offerto un reddito che garantisce la separazione dalla prima frazione) questa decostruzione allegra mostrerà i suoi limiti.
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