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di Cassandra,
Tic tac, tic tac… alcuni orologi analogici scandiscono ancora il tempo. L’incipit del professor Sinagra oggi, davanti alla Corte Costituzionale, è pertinente, incisivo e dirimente: “oggi parliamo qui di vita e di morte” e noi, cittadini esclusi da ogni possibilità di partecipazione a tale e fondamentale quesito, assistiamo muti per scelta e per impossibilità, alla decisione altrui sull’esistenza del principio di autodeterminazione.
Tic tac, tic tac, secondi che passano rapidi su epoche intere di conquista dei diritti umani inalienabili. Il diritto di disporre del proprio corpo in primis, poi il diritto al lavoro e di esercizio della propria professione, il diritto alla libera scelta delle cure mediche. Tutti diritti sospesi in nome di un non dimostrato bene comune. Il bilanciamento tra i diritti naturali di ogni essere umano e il bene collettivo è il vulnus su cui ruotano tutti gli interventi cui abbiamo assistito nell’udienza odierna presso la Corte Costituzionale.
Questo bilanciamento si rivela, alla luce degli interventi, della documentazione presentata e dalle stesse dichiarazioni di Janine Small vice di Bourla, vertice Pfizer, privo di fondamento. Il trattamento farmacologico a cui molte categorie di lavoratori, professionisti e cittadini sono stati chiamati a sottoporsi liberamente con il ricatto dell’espulsione dalla società e da ogni possibilità di sostentamento, non impedisce in alcun modo il contagio della covid-19. Non impedendo il contagio nessuno può dire di non essere vettore di infezione per i propri pazienti, familiari, alunni. Dunque di cosa parliamo?
Parliamo del fatto che molti giudici hanno rimesso alla Corte Costituzionale la legittimità dei provvedimenti di sospensione dal lavoro e dalla professione, dei provvedimenti amministrativi per i cittadini di cinquanta e più anni.
Di fatto, alla base del DL. 44/2021, i provvedimenti citati e a tutti noti, trovano ragion d’essere nell’imperativo del governo (e non del parlamento) di dover proteggere i non meglio identificati fragili (tra cui bambini e adolescenti che non si ammalano in forma grave, dati alla mano).
Pertanto, la ratio del governo che ha guidato le scelte del solo Esecutivo, non solo non esiste in quanto il cosiddetto vaccino non previene il contagio, ma fa acqua da tutte le parti poiché, per coerenza anche coloro che per ragioni mediche non hanno potuto sottoporsi al trattamento, non avrebbero potuto avere contatti con i fragili. Eppure sono stati accolti in seno alla collettività e nei reparti ospedalieri o nelle RSA. Se la ratio è proteggere, occorre che vengano fornite quelle prove scientifiche che mancano alla stessa AIFA. Se la ratio è proteggere, come mai si è lasciato che personale medico, assistenziale con diagnosi della Covid non è stato a propria volta sospeso e messo in quarantena il gruppo di lavoro con cui lavorava a contatto? I veterinari con quali fragili sarebbero a contatto? Gli psicologi? I biologi che operano in laboratorio? Eppure tutti sospesi.
Non c’è modo di sostenere una tale ratio mentre è, alla luce delle evidenze e alla concretezza dell’esperienza di ciascuno di noi, che qui si tratta di un ricatto di Stato al fine di sottoporsi ad un trattamento sanitario del quale si sa ancora gran poco.
Esiste però una questione ancora più saliente e grave. Il ricorso alla Corte Costituzionale avviato da più giudici italiani è ammissibile o i medesimi giudici avrebbero potuto espletare la loro importante funzione applicando le norme esistenti a partire dall’applicazione della nostra carta costituzionale in primis?
Molti altri giudici hanno svolto pienamente la loro funzione facendo valere quel diritto che pensavamo solido e per il quale esiste una chiara e ferrea gerarchia delle fonti del diritto. Il diritto internazionale (Carta di Nizza, Convenzione di Oviedo) è primario rispetto alle leggi nazionali, la Nostra Costituzione è concorde con tale diritto ed è primaria rispetto alle legiferazioni d’urgenza del governo, esecutivo di passaggio, organo non legislativo. Dunque si può fare a meno di scomodare la Consulta suprema. Però è stata scomodata e ora, proprio ora, dovrà decidere se ammettere questa richiesta di “aiuto” dei giudici nello svolgimento delle loro funzioni e in caso affermativo, decidere se lo Stato può imporre un trattamento farmacologico che non protegge alcuno se non coloro che vi si sottopongono (e anche questa affermazione è ancora da provare visti i ricoveri di persone con plurime dosi).
Quindi, l’incipit del professor Sinagra oggi, davanti alla Corte Costituzionale, è pertinente, incisivo e dirimente: “oggi parliamo qui di vita e di morte” e noi, cittadini esclusi da ogni possibilità di partecipazione a tale e fondamentale quesito, assistiamo muti per scelta e per impossibilità, alla decisione altrui sull’esistenza del principio di autodeterminazione. Non è più questione se essere sospesi dal lavoro per il rifiuto di un trattamento farmacologico sia giusto o meno, è questione di chi decide circa il nostro corpo e la nostra vita e costui è uno Stato incarnato, con poteri e interessi particolari che certamente non ha dimostrato di amarci.
Fino a quando la maggior parte dei cittadini lascerà una delega in bianco a questa entità sovraordinata sulla gestione di ogni singola vita? Esistono davvero motivi validi per i quali uno Stato possa imporre qualsiasi misura con un generico e non dimostrato e dimostrabile bene comune? Lo Stato può imporre un trattamento che ha causato la morte di 29 persone (decine di volte di più i decessi in fase di accertamento) e decine di migliaia di danneggiati in modo grave?
Da oggi, qualsiasi sia il responso dell’oracolo, cambieranno le nostre vite e le nostre azioni.
Noi cittadini abbiamo compreso realmente di cosa si tratta?
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