giovedì 29 dicembre 2022

NORD STREAM E MAINSTREAM, L’IMBARAZZANTE DIETROFRONT

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No, la Russia non ha fatto saltare il gasdotto Nord Stream. Lo scrive il blasonato e ufficialissimo Washington Post, che a settembre, quando si è verificata l’esplosione, era stato lesto a raccogliere e rilanciare le accuse degli establishment occidentali: “è stato Putin!”.

Il Washington Post non fa ipotesi per attribuire una paternità alternativa del sabotaggio. Usa anche termini molto cauti per “assolvere” la Russia. Scrive infatti nel titolo che mancano prove definitive a proposito sua responsabilità.

Tuttavia il quotidiano statunitense raccoglie dichiarazioni anonime ma convergenti di 23 diplomatici e funzionari di servizi segreti occidentali che seguono le indagini e gli sviluppi della faccenda. Nessuno di loro afferma più che la Russia abbia fatto saltare il Nord Stream: neanche coloro che prima lo sostenevano. Semmai alcuni nutrono ancora sospetti contro la Russia, ma dicono che non esistono prove.

Che il Nord Stream sia esploso per un sabotaggio, nessuno lo ha mai messo minimamente in dubbio. Ma se non la Russia, allora chi è stato?

Visto che il Washington Post tralascia questo aspetto, un riassunto delle puntate precedenti consente di mettere in luce sospetti alternativi: o almeno, consente di capire a chi, dal punto di vista geopolitico, ha fatto comodo l’esplosione.

Il gasdotto Nord Stream è, o era, costituito da due linee parallele per portare il gas dalla Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico, evitando il passaggio sul territorio dell’Ucraina. La prima linea è entrata in funzione nel 2011.

La seconda linea – il cosiddetto Nord Stream 2 – benché terminata e perfettamente messa a punto, non ha mai trasportato un solo centimetro cubo di gas. La Germania la ha bloccata ancor prima dell’inizio della guerra per fare un autolesionistico favore agli Stati Uniti.

A questo punto bisogna tornare con la memoria alle settimane che hanno preceduto l’esplosione del Nord Stream. Il gasdotto Yamal, che porta il gas russo verso la Germania attraverso la Polonia, era fermo da marzo. Poco dopo, con sprezzo dei soldi che il passaggio del gas russo  sul suo territorio le fruttava – 1,2 miliardi di dollari all’anno – l’Ucraina ha fatto in modo che cessasse di funzionare una delle due linee dirette verso Ovest. Infine si è fermata la prima linea del Nord Stream, quella operativa dal 2011. I i russi l’hanno sottoposta a meticolosa manutenzione periodica. Hanno individuato malfunzionamenti alle turbine. Le sanzioni occidentali – almeno a loro dire – impedivano la riparazione.

La Germania si è ritrovata così completamente priva di gas russo. Per fare un paragone, l’Italia, che lo utilizzava abbondantemente in quasi ugual misura, ne riceve ancora un po’: e questo le consente di galleggiare, sebbene con difficoltà.

Nelle settimane precedenti all’esplosione del Nord Stream, la Russia assicurava alla Germania che il gas sarebbe tornato ad arrivare in abbondanza se solo essa avesse accettato di mettere in funzione il Nord Stream 2: un chiaro tentativo di spaccare l’Occidente.

La Germania vedeva chiaramente davanti a sé le difficoltà derivanti dallo stop alla fornitura. Al suo interno varie voci, anche molto autorevoli, invocavano la Realpolitik, l’entrata in funzione del Nord Stream 2 e il ritorno del gas russo.

Cosa sarebbe accaduto se la Realpolitik avesse trionfato in Germania, cioè nella locomotiva – ora alla canna del gas – di un’Unione Europea che si trova anch’essa alla canna del gas? Uno strappo tedesco avrebbe potentemente picconato la granitica compattezza anti-russa dell’Europa e dell’Occidente a trazione statunitense. E forse, come in una reazione a catena, altri strappi si sarebbero verificati.

Non si sa chi ha fatto esplodere il gasdotto Nord Stream. Si sa però un’altra cosa: l’esplosione ha impedito che un evento di questo genere si verificasse, sia ora sia nel futuro.

GIULIA BURGAZZI

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