venerdì 30 dicembre 2022

Franco Berardi Bifo. Come vivremo nel 2023?

Cosa fare quando non c’è più niente da fare? Mai fu tanto difficile scrivere una lettera. Voglio spedirla prima di fine d’anno (per riprendere il filo con qualche decina di amici conosciuti recentemente), ma dapprima il Covid che mi è venuto a trovare in ottobre, poi una successione di altri malanni mi hanno imposto di stare in silenzio.  

Casa Bettola casa cantoniera autogestita di Reggio Emilia

comune-info.net Franco Berardi Bifo

Infine l’enormità degli eventi e la profondità dello squallore umano di cui ci giunge ogni giorno notizia, mi ha quasi tolto il coraggio di scrivere quel che pensavo, di prevedere, di immaginare, costringendomi quasi a bisbigliarmi il dubbio: debbo io forse indorare la pillola, fingere che sia possibile suscitare un’energia politica che non esiste? oppure brutalmente descrivere il panorama? o forse continuare questo silenzio che nessuno mi potrebbe rimproverare?

Un anno fa, nel dicembre del 2021, ho ripreso un’attività che avevo dovuto sospendere durante la pandemia: un’attività difficilmente definibile che consiste nell’andare a parlare in luoghi più o meno affollati, per cercar di capire come può ricucirsi il tessuto un po’ sdrucito della soggettività collettiva. E anche per immaginare come può ricomporsi una comunità dei comportamenti e dei sentieri, e tessere le fila di un movimento. Movimento: coscienza condivisa di una possibilità. Durante uno di queste assemblee, al centro sociale di Garbatella La strada mi capitò di fare un incontro che in qualche maniera ha illuminato il mio percorso durante l’anno successivo. Oscuramente illuminato, se vogliamo.

Avevo parlato dell’epidemia di depressione che sembra diffondersi nella generazione emergente, e uno studente mi disse che durante l’occupazione della scuola aveva notato che il solo modo per liberarsi dall’ansia era parlarne con i suoi amici, e che intendeva fare la richiesta di avere uno psicologo nella scuola. Io gli risposi che forse lo psicologo è meno utile che un’elaborazione collettiva di quella sofferenza che durante i due anni pandemici è dilagata, soprattutto fra i giovanissimi che hanno fatto la loro prima esperienza collettiva costretti all’isolamento.

Nei giorni successivi andai all’Asilo Filangieri di Napoli e all’aula occupata di Mezzocannone a Napoli. A febbraio, mentre si preparava l’invasione dell’Ucraina e la guerra mondiale asintotica nella quale oggi siamo immersi, con Ambrogio Mago e Rolando convocammo un incontro dal titolo: Come vivremo? per lanciare il CRAPU (Centro per la Riattivazione del Pensiero Umano). Il luogo di convegno era una sala di Bologna piuttosto grande, in cui pensavamo di incontrare un po’ di gente. La sala si riempì fino al punto che si dovette aprire una sala attigua e metterci uno schermo per seguire la discussione. La domanda rimase però senza risposta. Quanto al pensiero umano ancora langue, e la riattivazione non sembra tanto facile.

Poi iniziò lo spettacolo atroce: una popolazione di quaranta milioni di persone sono state spinte a immolarsi sull’altare della Nazione Risorta, per gli interessi dei grandi produttori di armi e per l’eccitazione di vecchi criminali quali Putin, Biden, Hillary Rodham Clinton, e tutta una folla di giornalisti che amano il sacrificio estremo per i sacri valori della democrazia, ma solo se a crepare sono afghani, iracheni, o ucraini. Lo spettacolo diventa sempre più atroce: milioni di persone sono senza luce e senza riscaldamento, le città ridotte a macerie, l’orrore dilaga dagli schermi e invade l’inconscio collettivo. L’Occidente manda armi e soldi, e guarda da lungi le fiamme la neve e i corpi spiaccicati nel fango in quelle città lontane, ma non proprio tanto lontane.

Loro muoiono, noi paghiamo. Quanto pagheremo non è chiaro. Al momento i salari sono taglieggiati dall’inflazione, la povertà si diffonde, i padroni del petrolio e del gas arricchiscono. L’ossido di carbonio si ingigantisce e sull’altare della Nazione Risorta riaprono le miniere di carbone, ma se un giovane ambientalista protesta, un giudice lo considera socialmente pericoloso.

Sullo sfondo vediamo il femminicidio di massa in Iran, la violenza idiota e bestiale dei talebani, ma anche il femminicidio casalingo quotidiano nei nostri quartieri. La guerra contro le donne sembra inarrestabile, e intanto lontano dai fari dell’attenzione mediatica continua la pulizia etnica in Palestina, dove il nazi-sionismo persegue senza fretta il suo sterminio.

La domanda “come vivremo?” non smette di perseguitarmi, per quanto il mio tempo stia per scadere. Gli eventi che si scatenano su scala mondiale dopo la psicodeflazione virale segnano la fine del realismo capitalista. Ma il capitalismo non finisce affatto: irreale insensato demente ma inarrestabile, continua a tagliare la sanità pubblica mentre il morbo infuria, continua a concentrare capitali nelle mani di vecchi e di nuovi assassini. Liberal-democratici e nazional-sovranisti, pur dilaniandosi sui dettagli dell’apocalisse, sono d’accordissimo su una cosa sola: la priorità assoluta è la crescita economica, l’accumulazione di capitale. Il resto crepi.

In effetti il resto sta crepando: qualche migliaio di schiavi sono morti nel sole soffocante del Qatar per costruire piramidi ad aria condizionata, e Maradona che sta in cielo ha mandato il suo Messia perché il popolo argentino possa adunarsi festante anche se l’economia argentina sprofonda (ma quando non ha sprofondato?). Scarica adrenalinica dell’orrore o della festa. Disforia dei corpi isolati, iperconnessi e depressi, oppure euforia collettiva a-significante? L’una e l’altra. Non c’è dunque alcuna possibilità di ricomporre una comunità capace di immaginazione? Il piacere è possibile solo a prezzo del cinismo, dell’indifferenza? E l’empatia sarà sempre più condivisione di una sofferenza intollerabile? Sì e no.

Alcuni segnali mi fanno pensare che nei comportamenti spontanei che gli psichiatri etichettano come depressione, si prepari un’onda per ora inconsapevole: un’onda di diserzione da questo genere umano. È una strategia di diserzione dalla riproduzione: l’estinzione come strategia. Apparentemente paradossale, ma perfettamente ragionevole: disprezzo della politica, fuga dal lavoro inutile mal pagato e precario, ripugnanza per il consumo di merda e plastica, diserzione dalla guerra, ma soprattutto rifiuto della procreazione, rifiuto di mettere al mondo le vittime destinate all’Olocausto che si prepara dovunque.

Come far emergere una consapevolezza che trasformi la depressione in diserzione consapevole? Con quali segni può riconoscersi l’orda dispersa di coloro che fuggono, che si rinchiudono nelle loro tane, che si nascondono per evitar la luce di un sole velenoso? Come diventare corpo collettivo e cosciente? Come vivere felicemente l’esaurimento di ogni futuro di questo genere umano? Come sottrarre ogni energia alla macchina cieca dello sfruttamento e dell’accumulazione?

Alla domanda: come vivremo nel 2023 non ho alcuna risposta da dare che sia rassicurante. Ma alla domanda: cosa possiamo fare quando non c’è più niente da fare? La mia risposta è decisa: niente. Non fare niente, non collaborare con nessun potere, non partecipare a nessuna politica, rifiuta qualsiasi lavoro tanto son tutti di merda, mal pagati e inutili. Cerca soltanto amicizia, piacere condiviso, frugalità e condivisione, gioia oggi e domani non importa.

Suggerisco però anche di seguire il consiglio dello studente che ho incontrato alla Strada un anno fa: creiamo assembramenti nel centro delle metropoli per discutere apertamente su alcune questioni nascoste dalla boria idiota della politica e dall’arroganza ignorante dell’economia. Le sole questioni che ci interessano veramente: come possiamo rendere felice il tempo che ci rimane, il tempo oltre il quale non c’è più niente? Come possiamo trasformare la paura dell’estinzione in coscienza tranquilla dell’impermanenza?

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