venerdì 2 dicembre 2022

Il lecito, l’obbligatorio e il proibito di Giorgio Agamben

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quodlibet

Secondo i giuristi arabi, le azioni umane si classificano in cinque categorie, che essi elencano in questo modo: obbligatorio, lodevole, lecito, riprovevole, proibito. All’obbligatorio si oppone il proibito, a ciò che merita lode ciò che è da riprovare. Ma la categoria più importante è quella che sta al centro e che costituisce per così dire l’asse della bilancia che pesa le azioni umane e ne misura la responsabilità (responsabilità si dice nel linguaggio giuridico arabo «peso»). Se lodevole è ciò il cui compimento è premiato e la cui omissione non è proibita, e riprovevole è ciò la cui omissione è premiata e il cui compimento non è proibito, il lecito è ciò su cui il diritto non può che tacere e non è pertanto né obbligatorio né proibito, né lodevole né riprovevole. Esso corrisponde allo stato paradisiaco, nel quale le azioni umane non producono alcuna responsabilità, non sono in alcun modo «pesate» dal diritto. Ma – e questo è il punto decisivo – secondo i giuristi arabi è bene che questa zona di cui il diritto non può in alcun modo occuparsi sia la più ampia possibile, perché la giustizia di una città si misura proprio dallo spazio che lascia libero dalle norme e dalle sanzioni, dai premi e dalle censure.

Nella società in cui viviamo sta avvenendo esattamente il contrario. La zona del lecito si restringe ogni giorno di più e una ipertrofia normativa senza precedenti tende a non lasciare alcun ambito della vita umana fuori dall’obbligo e dalla proibizione. Gesti e abitudini che erano sempre stati considerati indifferenti al diritto vengono ora minuziosamente normati e puntualmente sanzionati, al punto che non vi è quasi più una sfera dei comportamenti umani che si possa considerare semplicemente lecita. Prima non meglio identificate ragioni di sicurezza e poi, in misura crescente, ragioni di salute hanno reso obbligatoria un’autorizzazione per compiere gli atti più abituali e innocenti, come passeggiare per strada, entrare in un locale pubblico o recarsi nel luogo di lavoro.

Una società che restringe a tal punto l’ambito paradisiaco dei comportamenti non pesati dal diritto è non soltanto, come ritenevano i giuristi arabi, una società ingiusta, ma è propriamente una società invivibile, in cui ogni azione deve essere burocraticamente autorizzata e giuridicamente sanzionata e l’agio e la libertà dei costumi, la dolcezza delle relazioni e delle forme di vita si riducono fino a scomparire. La quantità delle leggi, dei decreti e dei regolamenti è inoltre tale, che non soltanto diventa necessario ricorrere a esperti per sapere se una certa azione è lecita o proibita, ma perfino i funzionari incaricati di applicare le norme si confondono e contraddicono.

In una simile società, l’arte della vita non può che consistere nel ridurre al minimo la parte dell’obbligatorio e del proibito e nell’allargare per converso al massimo la zona del lecito, la sola in cui se non una felicità, almeno una letizia diventa possibile. Ma questo è proprio quanto gli sciagurati che ci governano si ingegnano in ogni modo di impedire e di rendere difficile, moltiplicando le norme e i regolamenti, i controlli e le verifiche. Finché la tetra macchina che hanno costruito rovinerà su se stessa, inceppata dalle stesse regole e dagli stessi dispositivi che dovevano permetterne il funzionamento.

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