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Oskar Lafontaine, ex ministro delle Finanze tedesco e leader del partito socialdemocratico, ha rilasciato dichiarazioni pesantissime circa il comportamento dell’Europa e della Germania in questa crisi geopolitica, di cui la guerra in Ucraina è solo la parte visibile, e ha lanciato accuse precise nei confronti degli Stati Uniti. Senza mezzi termini, Lafontaine ha attribuito agli americani l’attacco al North Stream («sono responsabili direttamente o indirettamente») ed ha dichiarato che è da considerarsi come un atto di guerra nei confronti della Germania. Il politico tedesco ha poi spiegato che la Germania, e in generale l’Europa, devono emanciparsi dagli Stati Uniti ed ha chiesto che l’attuale leadership tedesca chieda il ritiro di tutte le strutture militari e delle armi nucleari statunitensi presenti in Germania.
Oskar Lafontaine è stato un politico di primo piano del partito socialdemocratico SPD con cui, nel 1990 fu candidato a cancelliere perdendo le elezioni contro il cristianodemocratico Kohl. Nel 1995 viene eletto Presidente dell’SPD, che porta alla vittoria delle elezioni nel 1998. Nel governo socialdemocratico nato da quelle elezioni, Lafontaine ricoprì l’incarico di Ministro delle finanze, dimettendosi l’anno seguente in aperta polemica con il cancelliere Schröder; sempre per tale motivo, si dimise dalla carica di Presidente della SPD. Il politico tedesco ha lasciato definitivamente la SPD per fondare, nel 2007, il partito politico di sinistra radicale Die Linke, di cui viene nominato Presidente, rimando in carica fino al 2010.
Durante un’intervista rilasciata a Deutsche Wirtschafts Nachrichten, Lafontaine ha detto: «L’esplosione dei due gasdotti è una dichiarazione di guerra alla Germania ed è patetico e vile che il governo tedesco voglia nascondere l’incidente sotto il tappeto. Dice di sapere qualcosa, ma non può dirlo per motivi di sicurezza nazionale». Poi prosegue: «I passeri lo fischiano dai tetti da molto tempo: gli Stati Uniti hanno eseguito direttamente l’attacco o almeno hanno dato il via libera. Senza la conoscenza e l’approvazione di Washington, non sarebbe stato possibile distruggere gli oleodotti, che costituiscono un attacco al nostro Paese, colpiscono la nostra economia nel profondo e vanno contro i nostri interessi geostrategici. È stato un atto ostile contro la Repubblica Federale – non solo contro di essa, ma anche – che chiarisce ancora una volta che dobbiamo liberarci dalla tutela degli americani».
Per quanto concerne la presenza militare statunitense in Germania e sulla NATO, Lafontaine ha dichiarato: «Il ritiro di tutte le strutture militari e delle armi nucleari statunitensi dalla Germania e la chiusura della base aerea di Ramstein. Dobbiamo lavorare con costanza verso questo obiettivo e allo stesso tempo costruire un’architettura di sicurezza europea, perché la NATO, guidata dagli Stati Uniti, è obsoleta [..] Questo perché la NATO ha smesso da tempo di essere un’alleanza difensiva, ma piuttosto uno strumento per rafforzare la pretesa degli Stati Uniti di rimanere l’unica potenza mondiale. In ogni caso, dovremmo formulare i nostri interessi, che non sono affatto congruenti con quelli degli Stati Uniti».
Per il politico tedesco è arrivato il momento di renderci indipendenti dagli Stati Uniti e di giocare la propria partita in autonomia in un mondo multipolare e in dialogo con le altre potenze. Al contrario, qualora non avvenisse, secondo Lafontaine l’Europa potrà soltanto soccombere sotto i colpi dei conflitti in cui saremo trascinarti da Washington per sostenere i propri interessi. Lafontaine è stato netto e chiaro: «L’Europa paga il prezzo della vigliaccheria dei suoi stessi leader».
Poi, Lafontaine attacca il Cancelliere Scholz, definito «scolaretto» in merito alla questione dei gasdotti, e parla di «umiliazione» per la Germania; la Ministro degli Esteri Baerbock è stata invece definita «sempliciotta» e il suo ministero come «pappagallo alla propaganda statunitense». E sulle sanzioni alla Russia ha affermato: «Stanno danneggiando gli Stati occidentali più della Russia e porteranno alla deindustrializzazione, alla disoccupazione e alla povertà».
[di Michele Manfrin]
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