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Dopo Viktor Orban, adesso anche il cancelliere austriaco Karl Nehammer dice no all’ipotesi di ulteriori sanzioni contro la Russia.
L’ormai celebre discorso di Putin ha alzato bruscamente il tiro contro l’Occidente e la Nato, considerati i veri avversari in un conflitto in cui l’Ucraina è dipinta come un ostaggio.
Lo stesso Occidente che, mentre si lecca le ferite di una crisi economica senza precedenti che porterà quasi certamente a uno scontro sociale durissimo, continua a strepitare per bocca dei suoi “leader” parlando di un Putin disperato e debole.
Si parla di fughe in massa da Mosca, di proteste, segni chiari di una leadership non più così indiscutibile
E così riparte il refrain di dichiarazioni di fedeltà incondizionata all’Ucraina, all’alleanza atlantica, alla libertà, contro un leader che una soluzione pacifica non la vuole, anzi punta all’escalation del conflitto.
Ma appare invece chiaro, come lo era fin dal primo giorno dell’operazione speciale, che è proprio l’Occidente di cui parla Putin a non avere mai voluto una soluzione diplomatica: non l’ha mai cercata, anzi l’ha evitata. E non parliamo solo del massacro di migliaia di civili nel Donbass dal 2014, degli accordi di Minsk, delle sanzioni: la Russia aveva dimostrato di fare sul serio già settimane prima di quel 24 Febbraio. Miglia di truppe russe sono rimaste ammassate per quasi due mesi ai confini dell’Ucraina fin da dicembre 2021, quasi come se fosse un’estrema, finale, richiesta di una via diplomatica.
E oggi, a un passo da un conflitto mondiale, molti di quei Paesi che hanno giurato fedeltà incondizionata all’Ucraina e alla Nato si trovano a dover acquistare gas e petrolio a un costo di molto maggiorato, spesso da altre nazioni, che si riforniscono proprio dalla Russia. Come la Finlandia di Sanna Marin, cha da poco ha chiesto di entrare nell’alleanza atlantica: il prezzo da pagare è la rinuncia al gasdotto russo. Così il suo Paese adesso acquista a peso d’oro il gnl (gas liquefatto naturale) dagli olandesi che, non essendone produttori, lo prendono proprio in Russia.
Anche l’Italia ha adottato soluzioni quasi altrettanto brillanti, riaprendo rigassificatori, centrali a carbone e olio – in barba alla salute dei cittadini e dell’ambiente – e implorando piccoli esportatori come l’Algeria affinché colmino la quota di combustibile mancante.
E quindi mentre le aziende chiudono per il caro energia e le manifestazioni in piazza sono diventate quasi un consueto scenario urbano ci troviamo in un una campagna elettorale dove il problema fondamentale che abbiamo in Europa, cioè la guerra, viene evaso da queste mezze tacche di leader tra i quali siamo chiamati a scegliere.
Non lo dice un blogger indipendente, un antagonista: a parlare è Michele Santoro, giornalista e volto stranoto della tv generalista italiana, durante un intervento a La7.
Ma esiste anche chi in Europa segue davvero gli obblighi del suo mandato, invece di pensare a servire i poteri forti.
Innanzitutto il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orban, che si è più volte esposto come voce critica nei confronti delle sanzioni di Bruxelles a Mosca, addirittura mettendo il veto su alcune contromisure Ue e non interrompendo mai le forniture di combustibili dalla Federazione.
C’è poi il cancelliere austriaco Nehammer, che a sentir parlare di nuove misure contro il Cremlino ha risposto: “L’introduzione di nuove sanzioni alla Russia è impraticabile, le misure precedentemente adottate non si sono dimostrate valide. Le sanzioni non dovrebbero colpire i Paesi che le impongono quindi Vienna si oppone all’embargo del gas russo”. Un altro premier che pensa al suo popolo.
E mentre in Italia sempre più aziende saltano per i costi fuori
controllo di luce e gas mentre , il Regno Unito vara un piano
d’emergenza con cui lo Stato coprirà il 50% del salasso per le imprese
per sei mesi: aiuti anche per ospedali e
scuole. La misura segue un piano da 150 miliardi di sterline per aiutare
le famiglie per due anni contro il caro energia: “Mossa obbligata per
proteggere il sistema economico e arrestare l’inflazione”, dichiarano da
Downing Street.
L’Italia? Aspetta l’Unione Europea: di guerra e di crisi non si parla.
ANTONIO ALBANESE
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