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«Se le cose vanno in una direzione difficile – ho già parlato di Ungheria e Polonia – abbiamo gli strumenti»: sono le parole che la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha pronunciato in riferimento alle elezioni italiane di domenica 25 settembre, rispondendo ad una domanda alla fine del suo intervento all’università di Princeton, vicino New York. La preoccupazione della Commissione è quella che vinca un partito considerato di “estrema destra” – implicito è il riferimento al partito di Giorgia Meloni – che possa mettere in discussione le politiche europee e discostarsi dai parametri socioeconomici e dai rigidi controlli sui conti pubblici imposti da Bruxelles.
Il riferimento a Ungheria e Polonia non è casuale. Si tratta di due stati già al centro delle attenzioni del Parlamento e della Commissione europea e accusati di “sovranismo” con ripetute azioni volte a congelarne l’accesso ai fondi europei. Il meccanismo è ormai rodato: i Paesi che non rientrano nei rigidi parametri ideologici e normativi fissati dai vertici europei vanno “rieducati” e riportati nel solco delle politiche comunitarie sfoderando appunto gli «strumenti» evocati dalla von der Leyen: lo “spread” e l’elargizione – condizionata – dei fondi del Pnrr. È infatti possibile sospendere i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che comunque, è bene ricordarlo, in buona parte non sono trasferimenti, ma prestiti concessi solo a patto che vengano effettuate precise riforme, tra cui la più importante è quella che riguarda nuovi pacchetti di “liberalizzazioni”. Mentre sul potere dello spread il caso più eclatante dal passato riguarda proprio l’Italia, quando nel 2011 il governo Berlusconi venne di fatto obbligato alle dimissioni sotto la pressione dei mercati finanziari e poi sostituito dal governo tecnico guidato dall’ex commissario europeo Mario Monti.
Del resto, stiamo parlando di una ben precisa forma di democrazia che non ricalca quella espressa dall’etimologia del termine: si tratta della “democrazia” dei mercati e delle banche che già aveva descritto bene nel 2018 il commissario europeo al bilancio Gunther Oettinger con una frase tanto concisa quanto chiarificatrice: «I mercati insegneranno agli italiani a votare» aveva detto il commissario, salvo poi dover rapidamente tornare sui suoi passi scusandosi con gli italiani. Ma il concetto di democrazia dei tecnici di Bruxelles era ormai già ampiamente trapelato e la recente dichiarazione della von der Leyen non è altro che una variazione, altrettanto esplicita, dell’affermazione di Oettinger, con la differenza che la von der Leyen non sembra avere l’intenzione di scusarsi.
La presidente dell’esecutivo europeo ha parlato con preoccupazione anche dei recenti esiti elettorali svedesi dove ha prevalso la coalizione di centrodestra: anche in questo caso, i partiti “euroscettici” o non aderenti completamente alla linea europeista sono considerati potenzialmente pericolosi, ossia non democratici, in quanto minacciano di non rispettare le indicazioni della Commissione sui parametri di Maastricht e sullo Stato di diritto. «La democrazia è un costante lavoro in corso, non è mai al sicuro. Non puoi metterla in una scatola e basta» ha asserito la von der Leyen e ancora con riferimento alle elezioni italiane ha aggiunto: «Vedremo l’esito. Abbiamo avuto elezioni anche in Svezia. Il mio approccio è che qualunque governo democratico sia disposto a lavorare con noi, noi lavoriamo insieme».
Da par suo, Giorgia Meloni ha da tempo giurato fedeltà alle regole europee e alla collocazione euroatlantica dell’Italia. Evidentemente consapevole delle regole del gioco nelle ultime settimane ha ripetutamente ribadito che non intendere violare i vincoli di bilancio stabiliti da Bruxelles e ha ribadito la salda adesione dell’Italia alla NATO, dimostrandola con i voti allineati al governo Draghi in tema di corsa agli armamenti, donazioni militari all’Ucraina e sanzioni alla Russia. Da Bruxelles preferiscono evidentemente continuare a sottolineare il punto, nonostante le preoccupazioni appaiano a questo punto ingiustificate. Analoghi avvertimenti, seppur più misurati nella forma, sono arrivati nelle ultime ore anche da Washington, tramite un alto funzionario dell’amministrazione Biden che, a margine dei lavori dell’Assemblea generale dell’Onu, ha affermato che chiunque sarà il nuovo premier italiano, Biden dovrà «averci una conversazione precoce e prendere le misure». In tutto questo, sui principali media italiani, ancora si sposta il fuoco dell’opinione pubblica da queste intromissioni, continuando a parlare di fantomatiche ingerenze russe nelle elezioni italiane, seppur senza alcuna prova a supporto.
[di Giorgia Audiello]
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