martedì 4 agosto 2020

Lo Stato di rovescio

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Roberto Pecchioli
accademianuovaitalia.it

Si chiama Stato di diritto – locuzione derivata dall’espressione Rechtsstaat, coniata dalla teoria giuridica tedesca del XIX secolo – quella forma di governo che sottopone se stessa alla legge attraverso la divisione dei poteri e la formazione di istituzioni di garanzia. Presupposto dello Stato di diritto è che l’esercizio arbitrario del potere venga contrastato con la regolazione dell’organizzazione e del funzionamento dei pubblici poteri, attraverso istituti normativi e modalità istituzionali.

Se la definizione è corretta, l’Italia è entrata trionfalmente nel territorio dello Stato di rovescio. All’inserimento progressivo nel corpus giuridico di norme che limitano l’esercizio della libertà di parola e la possibilità concreta di diffusione del pensiero, potrebbe presto aggiungersi la proposta di legge “Costanzo e altri” (Atto camera 2592) tesa a introdurre i reati di “istigazione a disobbedire alla legge elettorale, di isolamento sociale o affettivo e di istigazione alla rinuncia o al rifiuto dei trattamenti sanitari.” La politica del carciofo – o della rana bollita- continua senza posa: pezzi di libertà concreta si perdono progressivamente nella passività di massa.

La dittatura si nasconde sempre meno. Nel 2020 ha assunto la maschera dell’emergenza sanitaria per il contagio da Coronavirus, senza perdere di vista l’ampliamento della sorveglianza digitale e informatica. Almeno fino alla metà di ottobre, il governo si è attribuito poteri d’emergenza, il che significa che – per il nostro bene! – molte delle nostre libertà più comuni sono sequestrate, a partire dal diritto a manifestare pubblicamente il dissenso nei suoi confronti, al tempo in cui si fa reale lo spettro di un impoverimento irrimediabile del nostro popolo (meno dodici punti e mezzo di PIL).

A molti cittadini è impedito di salire sui mezzi pubblici nonostante abbiano regolarmente stipulato un contratto di trasporto attraverso l’acquisto dei biglietti di viaggio. L’affollamento di treni e bus mette in crisi il distanziamento sociale, prologo dell’isolamento che la proposta di legge citata vuole imporre e proteggere dalle grinfie di quella che un tempo era chiamata società civile. Guai se obiettiamo a programmi di vaccinazione massiva: tutta la forza (benevola!) dello Stato cadrà su di noi, popolo in maschera.

Il capo dell’opposizione andrà a processo per rapimento (!!!) in quanto ha impedito l’approdo in porti nazionali a navi estere su cui erano imbarcati cittadini stranieri decisi a entrare in Italia senza essere invitati, al di fuori delle leggi internazionali e domestiche. La cosa grottescamente più assurda è che il voto parlamentare che manda a processo Matteo Salvini è stato determinato dagli stessi che erano in maggioranza con lui (il partito grillino) e addirittura dalle medesime persone fisiche che – in qualità di membri del governo e persino di capi dello stesso (Giuseppe Conte) avrebbero potuto, anzi dovuto, se erano convinti che Salvini commettesse un delitto, impedire gli atti criminali imputati al “mostro” milanese.

Nessun problema: la magistratura giudicante provvederà a fare giustizia. Peccato che i capi delle correnti organizzate dei giudici, nelle famose e famigerate chat intercettate al loro potentissimo factotum, Luca Palamara, invitassero gli inquirenti in toga ad attaccare Salvini “anche se ha ragione.” E’ lo Stato di rovescio, bellezza. Contemporaneamente, in Lombardia si indaga su certe forniture sanitarie (gratuite!), all’evidente scopo di mettere in difficoltà la giunta di centrodestra. Nessuna curiosità giudiziaria sulle mascherine mai pervenute alla regione Lazio, il cui presidente, il fratello del commissario Montalbano, è segretario, nel tempo libero – del partito-Stato PD. Silenzio sull’ospedale fantasma anti Covid in Campania, mai utilizzato. Anche a Napoli, però, comandano i Buoni e i Giusti. Il potere del denaro svuota la democrazia, l’egemonia della magistratura rende impotente la politica- ovvero la volontà popolare – e abolisce lo Stato di diritto. Stato di rovescio, come la faticosa, vana ricerca, sulla grande stampa e sulle principali televisioni, della notizia del rinvio a giudizio dell’ex ministro Luca Lotti, uomo ombra di Matteo Renzi.

Dobbiamo tuttavia entusiasmarci (“orgoglio italiano” esulta la televisione per dovere d’ufficio) per il completamento del ponte autostradale di Genova. Possiamo sommessamente ricordare che è del tutto ovvio che un’infrastruttura strategica distrutta venga rapidamente ripristinata? Per la verità, ci si attenderebbe che il concessionario sotto la cui gestione il ponte Morandi è crollato fosse cacciato, come avevano garantito mano sul cuore i governanti. Niente da fare: la società dei Benetton è sempre lì ed è giustificata l’indignazione dei parenti delle vittime, decisi a rimanere estranei alla parata dell’inaugurazione, con gran sventolio di bandiere tricolori e pistolotti grondanti retorica.

Ci permettiamo un’autocitazione tratta da un nostro intervento sul concetto di “dromocrazia,” il potere postmoderno della velocità secondo Paul Virilio, che “incute meraviglia, timore, ma fa di più: dissuade. La mondializzazione impone una dissuasione civile su scala globale, in cui i divieti di agire, pensare, si moltiplicano e ci rendono, appunto, dei dissuasi. La prigione senza sbarre di cui parlava Aldous Huxley non è più in costruzione, ma in via di completamento. Siamo dissuasi dall’agire, perché c’è la prigione; dal parlare, per timore di ammende, risarcimenti e cause civili; dal pensare perché è inutile, un esercizio di autismo ai limiti della patologia. E oggi, persino dal vivere, poiché la nostra presenza inquina.

Il contrario dello Stato di diritto: operazioni che cercano di produrre effetti nei comportamenti e negli immaginari. Minacce, parole d’ordine, obblighi, perché la gestione di una crisi è uno strumento di comunicazione. Impera la retorica dissuasiva. Il nuovo Stato etico più la società dello spettacolo, nel senso indicato da Guy Debord. Paul Virilio ricordava che siamo dei “dissuasi,” il che significa che lo Stato di diritto è liquidato di fatto. Un sistema che dissuade, con la minaccia o anche con il suadente appello all’istinto di conservazione non è diritto, ma biopotere, come scoprì Michel Foucault. Suoi obiettivi sorvegliare e punire. Il combinato disposto delle leggi, delle sanzioni e delle intimidazioni prima scoraggia, poi inibisce.

Siamo degli alieni abbrutiti dai chierici dei media e dagli esperti. Il sistema “corporativo” (multinazionali, potere finanziario più l’apparato repressivo degli Stati nazionali) impone le sue maschere, i suoi marchi e le sue leggi eccezionali ed emergenziali senza inconvenienti. Al tempo in cui il contagio non uccide quasi più, continuiamo ad alienarci gaiamente, mentre qualcuno cerca con accanimento nuovi contagiati, gli “asintomatici,” per giustificare il blocco della nazione. Ci accontentiamo, al più, di cliccare sull’icona “non mi piace “di qualche profilo dissenziente sulle reti sociali. Il sistema – che pare sempre a un passo dal crollare – trionfa senza problemi.

La rilettura di Guy Debord (La società dello spettacolo) è illuminante. Così scrive nel paragrafo 12 della sua opera capitale: “Lo spettacolo si presenta come un’enorme positività indiscutibile e inaccessibile. Non dice niente di più che quel che appare è buono, e quel che è buono appare.” La condotta che esige per principio è l’accettazione passiva, che “ha già ottenuto per il suo modo di apparire senza diritto di replica, per il suo monopolio dell’apparenza.“ Nel successivo paragrafo, continua dimostrando che il sistema è senza replica, altro che Stato di diritto. Avevano le loro ragioni quei marxisti che denunciavano la natura formale delle libertà borghesi” liberali. “Il carattere fondamentalmente tautologico dello spettacolo risiede nel semplice fatto che i suoi mezzi sono allo stesso tempo il suo scopo. E’ il sole che non tramonta mai sull’impero della passività moderna. Ricopre l’intera superficie del mondo e si bea indefinitamente della propria gloria.

Ateo e marxista, Debord attacca la religione, che secondo Feuerbach era già diventata una maschera nel secolo XIX e non aveva tutti i torti, visti gli esiti del cristianesimo ufficiale odierno. “La filosofia, come potere del pensiero separato, e pensiero del potere separato, non ha mai potuto di per sé oltrepassare la teologia. Lo spettacolo è la ricostruzione materiale dell’illusione religiosa. La tecnica spettacolare non ha dissipato le nuvole religiose: le ha soltanto collegate a una base terrestre. Così è la vita più terrestre che diventa più opaca e irrespirabile. Non pone più in cielo il suo rifiuto, ma presenta in terra la sua sfida assoluta, il suo paradiso fallace. Lo spettacolo è la realizzazione tecnica dell’esilio dei poteri umani in un aldilà; la divisione è stata completata all’interno dell’uomo.” Perdoni il lettore l’asperità del linguaggio “situazionista“ delle citazioni debordiane, che tuttavia danno conto dell’immensa menzogna della cosiddetta società aperta.

“Con il successo stesso della produzione separata come produzione del separato, l’esperienza fondamentale legata nelle società primitive al lavoro principale si sta spostando, nel polo dello sviluppo del sistema, verso il non-lavoro, l’inattività. Ma questa inattività non è in alcun modo liberata dall’attività produttiva: dipende da essa, è una sottomissione ansiosa e ammirata ai bisogni e ai risultati della produzione; è esso stesso un prodotto della sua razionalità. Non ci può essere libertà al di fuori dell’attività e nell’esecuzione dello spettacolo viene negata ogni attività, così come l’attività reale è stata completamente catturata per l’edificazione complessiva di questo risultato.“

Insomma, siamo separati da noi stessi e dagli altri, prigionieri di futili diritti individuali legati prevalentemente alla sfera dell’istinto, diritti che un brillante polemista spagnolo, Juan Manuel De Prada, chiama “penevulvari.” Il demone del sistema che si ammanta di diritto ci isola sempre di più. Come dice Debord, siamo riuniti nel separato. “Il sistema economico basato sull’isolamento è una produzione circolare di isolamento. L’isolamento è il fondamento della tecnica e il processo tecnico isola a sua volta. Dalle automobili alla televisione, tutte le merci selezionate dal sistema dello spettacolo sono altresì le sue armi per rafforzare costantemente le condizioni di isolamento delle folle solitarie.” Siamo ontologicamente inferiori a ciò che viene mostrato: “Nello spettacolo, una parte del mondo si rappresenta davanti al mondo ed è superiore ad esso. Lo spettacolo è solo il linguaggio comune di questa separazione. Ciò che unisce gli spettatori è solo una relazione irreversibile con il centro stesso che mantiene il loro isolamento. Lo spettacolo unisce i separati, ma li riunisce come separati.

Diventiamo contemplatori passivi, recettori e a nostra volta diffusori di menzogne, zombie, non viventi “L’alienazione dello spettatore a beneficio dell’oggetto contemplato (che è il risultato della sua stessa attività inconscia) è espressa come segue: più contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti, meno capisce la propria esistenza. L’esternalità dello spettacolo in relazione all’uomo che recita appare nel fatto che i suoi gesti non sono più suoi, ma di un altro che li rappresenta. Ecco perché lo spettatore non si sente a casa da nessuna parte, perché lo spettacolo è ovunque.”

Debord aveva evocato questa unificazione del pianeta nella rappresentazione (il “divenire-merce del mondo“), con la conseguenza che il successo del sistema economico di separazione finisce nella proletarizzazione del mondo. Il diritto del predatore.

Il sistema può trionfare solo perché ci ha imposto il programma e lo ha chiamato diritto. Siamo istruiti e condizionati a obbedire e guardare le sue immagini. L’astuzia straordinaria del potere non è soltanto aver edificato una prigione senza catene, ma aver fatto credere a imponenti masse umane, a generazioni intere, che il rovescio è diritto, i suoi interessi sono i nostri, la vita mera sopravvivenza, la realtà la sua rappresentazione. Tuttavia, c’è una linea di rottura, un punto di non ritorno. La società dello spettacolo non funziona, toglie l’essere e si appropria dell’avere. Dissuade, ma non persuade. Anche lo Stato di rovescio finirà. Quel giorno, in tanti dovranno guardarsi dalla collera di chi avrà scoperto l’imbroglio.

Robero Pecchioli

Fonte: accademianuovaitalia.it

Link: http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/scienza-e-societa/giustizia-e-diritti-dei-cittadini/9366-lo-stato-di-rovescio

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