Da qui alla fine dell’anno la Terra consumerà più di quello che gli ecosistemi naturali sono in grado di rigenerare, ed emetterà più CO2 di quanta oceani e foreste possano assorbire. Con pandemia e lockdown la data slitta in avanti di una decina di giorni.
huffingtonpost.it
Frutta e verdura, carne e pesce, acqua, legna, cotone: il 22 agosto l’umanità avrà esaurito tutte le risorse biologiche che la Terra può rinnovare nel corso dell’intero 2020. Da qui alla fine dell’anno consumerà più di quello che gli ecosistemi naturali sono in grado di rigenerare, ed emetterà più CO2 di quanta gli oceani e le foreste ne possano assorbire. È l’Earth Overshoot Day, il giorno del sovrasfruttamento terrestre, e quest’anno arriva in ritardo di tre settimane rispetto al 2019 a causa della pandemia di Covid-19, che ha messo un freno ai consumi e all’inquinamento. A calcolare la data è il Global Footprint Network, l’organizzazione di ricerca internazionale che tiene la contabilità dello sfruttamento delle risorse naturali, cioè dell’impronta ecologica. Il coronavirus che ha chiuso fabbriche, uffici e i negozi, azzerato gli spostamenti e il turismo mettendo in ginocchio l’economia, ha anche ridotto del 9,3%, rispetto all’anno scorso, l’impronta ecologica dell’umanità.
A incidere è sopratutto il calo dell’impronta dovuta alle emissioni di carbonio (14,5%), grazie alla flessione dei consumi energetici, e di quella legata al consumo di prodotti forestali (-8,4%), per via della contrazione della raccolta di legname, di cui c’è una minore domanda.
Il genere umano ha iniziato ad essere in “debito” negli anni Settanta e da allora, di norma, ogni anno l’Overshoot Day ricorre un po’ prima. Nel 2020 il lockdown ha spostato la data in avanti. Ma l’inversione di tendenza, per quanto storica, non sembra destinata a ripetersi, perché non è frutto di un percorso di sostenibilità intrapreso su scala globale. In altre parole, l’atteggiamento predatorio dell’uomo nei confronti della Terra non è cambiato.
“La riduzione inattesa dell’impronta ecologica non deve essere interpretata come un’inversione di tendenza intenzionale, necessaria a raggiungere sia l’equilibrio ecologico sia il benessere delle popolazioni, due componenti inestricabili dello sviluppo sostenibile”, sottolinea il Global Footprint Network.
L’umanità, infatti, utilizza attualmente il 60%
in più di quanto si possa rinnovare. In pratica è come se si
consumassero le risorse di 1,6 pianeti Terra.
Cambiare rotta si può,
con una strategia che preveda ad esempio di decarbonizzare l’economia
usando le energie rinnovabili, di controllare la crescita della
popolazione mondiale, di progettare e gestire le città in maniera
sostenibile. Fondamentale è anche cambiare il modo in cui si produce,
distribuisce e consuma il cibo.
Nei mari un terzo degli stock ittici mondiali viene sovrasfruttato, è l’allarme lanciato dalla Fao. E sulla terraferma non va meglio. In questo ambito arrivano i consigli della Fondazione Barilla, che invita a preferire alimenti a base vegetale, acquistare cibo prodotto in modo sostenibile da agricoltori locali e prevenire gli sprechi alimentari.
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