venerdì 24 aprile 2020

Scienza, politica e informazione ai tempi del coronavirus.

“Nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi e alle femine parimente o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, [...] le quali i volgari nominavan gavoccioli. E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire: e da questo appresso s’incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide [...] E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno”.
Boccaccio

Scienza, politica e informazione ai tempi del
Così il Boccaccio descriveva ne “Il Decamerone” i sintomi della la peste che colpì Firenze e l’Europa intera nel 1348. Il metodo scientifico doveva ancora aspettare qualche secolo per celebrare la sua nascita con Galileo, a cavallo tra il 1500 e il 1600, per cui Boccaccio non poteva sapere che quella sciagura era dovuta a un batterio, lo Yersinia pestis, importato dal nord della Cina, tramite le carovane della via della seta, e che era trasmesso all’uomo da topi e ratti tramite le pulci, in un’epoca ove le norme di igiene erano sconosciute e le case infestate da tali parassiti.
L’infezione poi passava da uomo a uomo tramite la saliva. A fronte di un disastro del genere e di tanto dolore umano veniva spontaneo pensare che si trattasse di una punizione celeste dovuta a qualche comportamento sconveniente degli esseri umani.
Adesso sappiamo che, tutto sommato, la teoria del “comportamento sconveniente” era vera, tuttavia la condotta peccaminosa causa della peste non era tra quelle immaginate allora ma solo carenza di igiene. Perciò ora sapremmo che piuttosto che girare di città in città da penitenti autoflagellanti, come avvenne all’epoca, sarebbe bastata una derattizzazione.

Questa consapevolezza ci viene tuttavia da più di 400 anni di metodo scientifico, e di studi e scoperte progressive basate su di esso. In un’epoca in cui dalla scienza si cerca il rifugio di risposte inequivocabili e definitive, vale la pena considerare il fatto che il metodo scientifico si basa proprio sull’assenza di tale certezza definitiva.
Esso infatti è un modo di conseguire informazioni sul meccanismo di eventi naturali, proponendo delle risposte agli interrogativi. Per determinare se le soluzioni proposte sono valide si utilizzano esperimenti condotti in maniera rigorosa. La rigorosità del metodo scientifico risiede proprio nel fatto che una teoria non è mai definitiva ma piuttosto suscettibile di modifiche, qualora vengano alla luce nuovi aspetti non ancora considerati.
Il pensiero scientifico è quindi soggetto a una critica costante, modifiche e rivalutazioni: è questo che lo rende universale. Il pensiero scientifico è fatto da una fase induttiva di osservazione, misura e raccolta dati la cui analisi porta alla formulazione di una ipotesi; e da una fase deduttiva ove l’ipotesi viene vagliata tramite una verifica rigorosa dei dati, prove e controprove.
E infine, se i dati vengono verificati, alla formulazione di una teoria.  Una verità a tempo determinato ovviamente, fino a che non sopraggiungano evidenze che portino a formulare ipotesi e teorie diverse. La scienza perciò non è altro che conoscenza e come tale non può che essere progressiva. Né può essere “buona” o “cattiva” nei contenuti che essa porta essendo solo una luce che illumina i fenomeni naturali e ci consente di averne una comprensione.
Certo, esistono come in ogni ambito umano scienziati disonesti che manipolano i loro studi per interesse ma questo ha a che vedere con la debolezza umana e non con il metodo scientifico. E la scienza è esclusiva pertinenza degli scienziati non tanto come categoria di persone infallibili quanto come soggetti che sanno usare correttamente il metodo scientifico.
Inutile imbufalirsi quando si sente dire “la scienza non è democratica” perché questo non significa che il signor scienziato decide lui quale sia la verità, significa solo che un’evidenza scientifica si raggiunge attraverso un procedimento induttivo e deduttivo e non per “consenso a maggioranza”. Si può, per controbilanciare, affermare altresì che la scienza non è una monarchia né una dittatura perché neanche il monarca o il dittatore possono imporre una verità scientifica.
Così in questa epidemia scoppiata solo pochi mesi fa la scienza ci ha già spiegato la causa della malattia e delle morti. È un agente patogeno chiamato virus, così piccolo che non è visibile a occhio nudo e neanche con un comune microscopio.
Siamo riusciti però a fotografarlo tramite un microscopio elettronico che utilizza gli elettroni anziché la luce e sappiamo che ha l’aspetto di una coroncina, da cui il nome. Sappiamo che si tratta di un virus a RNA e abbiamo letto tutte le lettere del suo genoma, abbiamo capito come fa ad entrare nelle cellule umane legandosi alla proteina ACE2 enzima che regola la vasocostrizione delle arterie.
È sempre il metodo scientifico che ci ha consentito negli anni di avere gli strumenti di conoscenza che ci permettono di fare respirare artificialmente le persone con sintomi più gravi.  Non vi sfuggirà che nel 1300, in assenza di ventilatori e di letti di terapia intensiva il bollettino della protezione civile sarebbe stato molto più tragico. Possiamo fin da ora dire che il patrimonio di conoscenze che ci ha dato nei secoli il metodo scientifico ha salvato milioni di vite in questa pandemia quindi cerchiamo di darci una pacca sulla spalla per aver inventato, secoli fa, un metodo di ragionamento così efficace.
Non mancano oggi, come nel ’300, i guru e i santoni pieni di verità che saltano a piè pari la verifica con metodo scientifico, trasformando le loro teorie in ipotesi, a loro dire inequivocabilmente vere, senza alcuna verifica accurata, se non video ben costruiti su youtube o comparsate televisive.
Perché vedete, neanche un premio Nobel può saltellare da una tv all’altra proclamando che il coronavirus sia stato costruito in laboratorio come chimera con il virus AIDS senza provare quello che dice. Perché per l’appunto la scienza non è né una democrazia né una monarchia e tutti devono passare al vaglio della verifica delle loro ipotesi, indipendentemente dai titoli acquisiti.
L’ipotesi del virus chimerico costruito in laboratorio è stata ampiamente confutata dall’analisi genomica da parte di tutta la comunità scientifica, dati alla mano e non per proclamazione. Sarebbe bello che ora, in assenza di evidenze ulteriori, si evitasse di dare seguito alla miriade di teorie sciamaniche e complottiste che fioriscono sui social e nelle TV.
Qui si dovrebbe aprire una riflessione sul “quarto potere”, quello dell’informazione, che orienta le masse e di fatto fa politica più del parlamento stesso. Etica vorrebbe che l’informazione in tempi di pandemia sappia orientarsi nel complesso mondo della scienza evitando “false balance” ovvero confronti inappropriati tra ciò che ha passato il vaglio del metodo scientifico e ciò che è popolare, sorprendente e fa audience ma non ha nessuna dignità scientifica.
Il quarto potere ormai da tempo crea eroi e martiri, personaggi popolari e leader politici indipendentemente dai contenuti che ciascuno porta. Se questo è un problema in tempi ordinari, in epoca di pandemia questa modalità può fare danni enormi alla salute pubblica.
Non manca, come nel ’300, l’incapacità di accettare fenomeni naturali senza trovare un capro espiatorio tra altri umani possibilmente che ci stanno sulle balle per qualche motivo. Il complotto è sempre consolatorio perché ci consente di confermare, seppure in maniera cervellotica, il nostro desiderio di antropocentrismo e di controllo del mondo.
Il complotto ci consente di continuare ad illuderci del dualismo uomo-natura ove esiste una natura addomesticata, a servizio dell’essere umano posto al di fuori di essa. Qualora qualcosa dovesse sfuggire da questo addomesticamento, la colpa deve essere per forza di un altro essere umano sennò il castello illusorio crolla. Vale la pensa ricordare che nel ’300 la popolazione disperata in cerca di spiegazioni arrivò a dare la colpa agli ebrei dando luogo a persecuzioni e uccisioni.
A poco valsero gli inviti del papa Clemente VI alla moderazione da parte dei cristiani ricordando loro che anche gli ebrei morivano di peste. Così anche in questa epoca, ove l’essere umano non è, alla fine, molto diverso nelle sue pulsioni primarie rispetto ai suoi avi del ’300, fioriscono complotti diretti verso ciò che si ritiene diverso o incomprensibile, quindi il virus costruito in laboratorio, il complotto cinese, il complotto americano e così via.
Poco vale ricordare che la pandemia sta mettendo in ginocchio l’economia e mietendo vittime in tutto il mondo quindi se qualcuno dovesse averla causata deve aver sbagliato non poco i suoi piani di predominio.
Il lock down del ’300 ci ha regalato “il Decamerone” perché già allora si intuì che il metodo migliore per non morire di peste era di non prendersela e il modo migliore di non prendersela era isolarsi: 
“io intendo di raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccontate in diece giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani nel pistilenzioso tempo della passata mortalitá fatta, ed alcune canzonette dalle predette donne cantate al lor diletto”.
Ha suscitato non poche perplessità il fatto che all’arrivo di un virus sconosciuto il mondo scientifico abbia detto: “chiudetevi in casa” esattamente come fece il Boccaccio nel ’300. Stupefacente fu infatti all’inizio di questa storia una polemica tra il virologo Roberto Burioni e il giornalista Marco Travaglio.
Quest’ultimo, nella sua sprezzante rubrica intitolata “Ma mi faccia il piacere” il 3 febbraio 2020 pontificò con sufficienza ”La migliore arma per fermare l’epidemia è isolare chi ha contratto l’infezione (Burioni , virologo, La Stampa). Fortuna che ci sono scienziati come lui sennò non ci arrivava nessuno”.
Giornalista che con tale dichiarazione confermò di capirci molto poco di scienza ma ahimè anche delle dinamiche politiche economiche e sociali del nostro paese in quanto di lì a poche settimane il mancato isolamento degli infetti della Val Seriana fu la causa più probabile della terribile catena di contagi che fece tanti lutti nella zona di Bergamo.
Un virus sconosciuto, in assenza di vaccini e cure non poteva avere altra risposta dalla comunità scientifica che quella di evitare i contagi per dare tempo a medici e ricercatori di studiare, sperimentare e capire. Chi ha a che fare con la scienza dice più spesso di chiunque altro “non lo so” anche se questo fa irritare la politica, che per ragioni di consenso deve dare sempre risposte e possibilmente rassicuranti e positive, e manda in panico l’informazione che ha bisogno di notizie interessanti da lanciare minuto per minuto.
Nel bene o nel male, tra canzoni dai balconi, chat e contatti skype e video tra amici e parenti, pane fatto a casa, torte e lezioni online, smart working, mascherine, file fuori dai supermercati, l’isolamento medievale ha funzionato nel fermare, almeno per ora, l’epidemia. La scienza ha dato anche gli strumenti tecnologici per superare l’isolamento connessi virtualmente rendendo la quarantena decisamente più semplice. Nel frattempo le conoscenze sull’epidemia, sul virus e sulla gestione dei pazienti hanno avuto modo di perfezionarsi.
Ma se la scienza come ricerca della conoscenza è esclusiva pertinenza degli scienziati l’applicazione delle sue scoperte e le decisioni di come usare le evidenze scientifiche a beneficio della comunità diventa responsabilità di tutti i settori della società.
E qui veniamo alla fase 2 di questa epidemia. Chiariamoci su un punto: nessuno può sapere con certezza cosa accadrà dopo il lockdown. Nessuno può ragionevolmente far previsioni certe su come si svolgerà, una volta rilasciata la quarantena, un’epidemia rispetto a un virus che non è mai stato studiato prima se non negli ultimi mesi.
D’altronde che le previsioni lascino il tempo che trovano ce lo ha ampiamente dimostrato la fase 1 di questa epidemia ove “è poco più che un’influenza” da parte di scienziati avventati in vena di fughe in avanti ha portato a valutazioni e ad azioni infelici da parte dei decisori politici.
Osservando la diffusione di virus appartenenti alla stessa famiglia è possibile che il Covid-19 muti e nel tempo e impari a convivere con gli umani attenuandosi, è probabile che col caldo scompaia per sempre o per ripresentarsi in autunno. Ma nessuno può affermarlo con certezza e chi lo fa sostanzialmente tira a indovinare sperando poi di aver ragione e di poterlo dire al mondo.
Quello che può fare la scienza è di valutare, in base alle conoscenze finora acquisite, le procedure adeguate per minimizzare il rischio di ripartenza dell’epidemia e i suoi effetti in caso questo avvenga, in attesa di sviluppare un vaccino o cure adeguate e sperando che alla fine l’epidemia si attenui o risolva da sola. E si sa che la valutazione dei rischi comporta un bilancio tra rischi e benefici non una certezza di assenza di eventi negativi.
Come ha efficacemente sintetizzato l’epidemiologo Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto superiore di Sanità, intervistato dall’agenzia Dire. “Per noi il rischio accettabile è 0, per gli economisti 10. La politica faccia sintesi”.
È il momento delle scelte e delle responsabilità e mentre la scienza procede con la sua confortante modalità dell’evidenza, ai decisori spetta ora la difficile scelta di chi e cosa sacrificare per il bene comune sapendo che non andrà bene per tutti. Perché sia chiaro fin da ora che nulla sarà come prima e per ricostruire un futuro, dati gli strumenti della scienza, alla politica spetta la visione di tale futuro e le scelte strategiche per avviarsi verso obiettivi condivisi.
E spetta anche l’assunzione di responsabilità, passaggio difficilissimo in un periodo ove le scelte politiche sono basate più su tatticismi che su strategie e l’obiettivo è solo il consenso. E la politica, a differenza della scienza può essere “buona” o “cattiva” in base alla capacità di conseguire i risultati che si era proposta nel perseguimento del massimo bene collettivo.

Nel frattempo, mentre l’animale uomo è provvidenzialmente chiuso in casa per appena qualche settimana, l’inquinamento atmosferico è diminuito e il resto della natura si riprende i suoi spazi, i cigni appaiono nei canali di Venezia e i delfini si riappropriano del porto di Anzio ricordandoci che siamo solo un piccolo elemento del creato. Solo ricordarsi di questo sarà un buon risultato di questo periodo surreale.

Nessun commento:

Posta un commento