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(di
Massimo Fini – massimofini.it) – Caro Alessandro Sallusti, anche se
qualcuno si sorprenderà, io ho per te stima umana e professionale.
Sentimenti che, credo, siano reciproci visto che per quattro volte mi
proponesti di venire al Giornale (tre volte me lo propose Feltri, due
Belpietro, una Giordano). Tutte proposte lusinghiere che fui costretto a
rifiutare per una mia coerenza che Paolo Liguori, forse a ragione, ha
definito “cretina”. Ma io son fatto così. Benché sia un
antiberlusconiano della prima ora (Europeo, 2.8.1986, Un americano a
Milano: “O il calcio distruggerà Berlusconi o Berlusconi distruggerà il
calcio”) il Giornale, come quasi tutti i media di destra, è stato sempre
molto attento alla mia opera di scrittore, se fosse stato per quelli
della cosiddetta Sinistra, Repubblica, Espresso ecc., io non sarei
esistito, culturalmente, in questo Paese. Mi dicono che molti tuoi
lettori mi apprezzano e fra i tuoi giornalisti ci sono dei
“criptofiniani” di cui non farò i nomi.
Ma c’è una cosa che non posso proprio digerire ed è la vostra
capillare, costante, sistematica delegittimazione della Magistratura
italiana di cui il tuo editoriale “Datevi uno scudo dal virus dei
giudici” è solo l’ultimo di infiniti altri dello stesso tenore. Se
qualcuno proponesse di aprire le carceri in un “liberi tutti”, io potrei
essere d’accordo perché, non è demagogia, molti di quelli che stanno
fuori sono peggio di molti di quelli che stanno dentro.
Ma il vostro
“garantismo” è double face ed è questo che è intollerabile. Silvio
Berlusconi che, penso, faccia parte della “famiglia Berlusconi”
proprietaria del tuo giornale, mi ha chiamato in giudizio per danni,
cioè è ricorso alla Magistratura, benché io non abbia mai ficcato il
naso nelle sue questioni di donne, perché un premier, come ogni altro
cittadino, ha il diritto di fare in casa sua quello che più gli piace a
meno che non si tratti di delitti. E penso anche che oggi una ragazza di
17 anni sia minorenne solo per l’anagrafe, per cui bisognerebbe
abbassare l’età penale attiva e passiva a 14 anni (ragionando o
sragionando come Adriano Sofri, mandante di un vilissimo assassinio
sotto casa, e che oggi fa la morale a tutti, estrapolando dal testo
secondo un malvezzo sempre più abituale, qualcuno potrebbe dire che
voglio mettere in gattabuia anche i ragazzini). Renato Brunetta, che è
della vostra scuderia, mi ha citato per danni, cioè è ricorso anch’egli
alla Magistratura. Che, quando fa comodo, torna a esistere. Per tali
“garantisti” double face io ho questa formula: provate a rubargli
l’argenteria e vedrete come va a finire, chiameranno la pula, i pm, la
Gestapo.
Vittorio Sgarbi, che è anche lui del giro, candidato per FI alle
recenti Regionali, che scrive sul tuo giornale, per un’intera estate mi
additò in tv al pubblico ludibrio, con relativa fotografia, “wanted”,
come il principe dei “forcaioli”. È che questa gente pensa sempre che il
mondo sia nato con loro. Io ho firmato l’appello per la scarcerazione
di Valpreda in galera da quattro anni senza processo (il solo appello
che ho firmato in vita mia). Fosse stato per la cosiddetta Destra, a cui
tu oggi appartieni, Valpreda poteva restare in galera a vita e qualcuno
dei vostri predecessori scrisse che il fatto che fosse affetto dal
morbo di Buerger era segno inequivocabile che era il responsabile della
strage di Piazza Fontana. Valpreda, infangato in tutti i modi dai vostri
predecessori, sarà poi assolto. Ho difeso Giuliano Naria, presunto
terrorista rosso, che si fece nove anni di detenzione preventiva, solo
l’ultimo ai “domiciliari”, e che fu poi assolto con formula piena. A una
settimana dal suo arresto sono stato il primo a difendere Enzo Tortora
(“Io vado a sedermi accanto a Tortora”, Il Giorno, 25.6.1983) e non Enzo
Biagi, come sempre si dice, e tale evaporazione della mia persona, ora
che la spavalderia della splendente giovinezza mi viene meno con le sue
energie, comincia a darmi parecchio fastidio. Lo difesi non tanto, o
almeno non solo, perché lo conoscevo di persona, un liberale
aristocratico di cui sarebbe stato difficile immaginare che si
affiliasse a una bocciofila, figuriamoci alla camorra, ma perché era
accusato de relato da pentiti che riferivano voci sentite da altri
pentiti. E la sorella di Enzo, Anna, perdeva il lume degli occhi quando
in seguito i tangentisti si mascheravano dietro quello che era successo a
Tortora. Perché nell’inchiesta Mani Pulite non si trattava di
“pentiti”, ma le accuse erano per tabulas, si basavano cioè su carte,
documenti bancari e confessioni degli stessi autori dei crimini. Anche
se poi si insinuò che i magistrati di Mani Pulite li arrestavano perché
confessassero e si invocò l’intervento di Amnesty International per due o
tre settimane di custodia cautelare (una cosa terribile rispetto ai 9
anni di Naria). Ma quel gran signore di Francesco Saverio Borrelli,
procuratore capo di Milano, corresse: “Noi li arrestiamo e loro
confessano”.
Come si ricorderà per almeno due anni, dal 1992 al ’94, tutti i
giornali si sdraiarono lascivamente ai piedi dei pm di Mani Pulite e in
particolare a quelli di Antonio Di Pietro (“Dieci domande a Tonino”,
Paolo Mieli, Corriere della Sera).
Ma passata la buriana nel giro di poco tempo quasi tutti i giornali e
i giornalisti, in particolare quelli della cosiddetta Destra, fecero il
salto della quaglia e da adoratori di Mani Pulite ne divennero gli
accusatori. Per cui i veri colpevoli di Tangentopoli divennero i
magistrati, i corrotti e i corruttori le vittime e spesso giudici dei
loro giudici. Non c’è da meravigliarsi se con un simile esempio la
corruzione abbia oggi infettato l’intero Paese scendendo giù per li rami
a buona parte della cittadinanza. Fra questi “saltatori” spicca
Vittorio Feltri, il più assatanato “forcaiolo” finché rimase
all’Indipendente (Enzo Carra sbattuto voluttuosamente in prima pagina in
manette, messi sotto accusa i figli di Craxi, Bobo e Stefania – toccò a
me difenderli per l’ovvio motivo che i figli non hanno né le colpe, né i
meriti, dei padri – l’appellativo di “cinghialone” appioppato a
Bettino, trasformando così una legittima inchiesta in una caccia
sadica).
No, io non prendo partito per “lorsignori”, per i ladri in guanti
gialli, perché hanno già molti difensori d’ufficio e ufficiosi. Io ho
difeso, difendo e difenderò sempre gli stracci. Non c’è macchia sul mio
onore di giornalista libero e libertario. Non so quanti, in questo
Paese, possono dire altrettanto.
Massimo Fini
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