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Ha fatto scalpore l’annuncio di Trump di tagliare i fondi
all’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), ma tra l’inquilino della
Casa Bianca e l’ente di Ginevra non corre buon sangue già da un po’.
L’accusa è quella di non aver operato tempestivamente nella
comunicazione del diffondersi del coronavirus dall’epicentro cinese di
Wuhan, dove il patogeno sembra essersi manifestato già da fine 2019. Il
30 dicembre il medico cinese Li Wenliang, poi morto a causa del virus,
aveva lanciato l’allarme tra della diffusione dell’epidemia, ma le
autorità locali lo avevano censurato, tacciandolo di divulgare menzogne
e di arrecare «un grave disturbo dell’ordine sociale». Il 31 dicembre
Taiwan, che non fa parte dell’Oms in quanto non viene riconosciuta
repubblica indipendente dalla Cina
ma sua provincia, aveva informato l’istituzione internazionale di
possedere le prove della trasmissione umana del Covid-19. Per tutta
risposta, due settimane dopo l’Oms dichiara in un tweet: «Le indagini
preliminari condotte dalle autorità cinesi non hanno trovato prove
chiare riguardo alla trasmissione da uomo a uomo».
Solo successivamente l’istituto che dovrebbe garantire la salute
della popolazione mondiale prende atto del contagio umano. In visita a
Pechino, il presidente Tedros Ghebreyesus elogia il modello cinese e la
sua velocità di risposta all’epidemia.
Uno studio
condotto dell’Università di Southampton prova come il numero dei casi
di coronavirus avrebbe potuto essere ridotto del 95% se la Cina
si fosse mossa solo tre settimane prima per attuare il contenimento del
virus. Non è un caso se il viceministro giapponese ha definito l’Oms
«l’organizzazione cinese della sanità». La condotta ambigua e poco
trasparente dell’istituto sanitario mondiale non è nuova né lo è quella
del suo direttore generale. Nel ruolo precedente di ministro della
sanità in Etiopia, Tedros Ghebreyesus è stato accusato di nascondere tre
grandi epidemie di colera, falsificando i casi. Ha inoltre presieduto
il Fondo globale per la lotta contro l’Aids, la tubercolosi e la
malaria, di cui la Fondazione Bill e Melinda Gates è cofondatrice, che è
stato coinvolto in scandali di frode e corruzione.
Una volta assunto l’incarico di direttore generale nel 2017, ha
tentato di collocare il dittatore dello Zimbabwe Robert Mugabe come
“ambasciatore di buona volontà” presso l’Oms stessa. Un curriculum non
proprio impeccabile! La stessa Oms in fatto di scandali sembra avere un
certo trascorso. Oltre all’affaire “spese folli” per viaggi, che più
volte l’ha riguardata – fino al 2013 la spesa media sfiorava addirittura
gli 800 milioni annui – è stata responsabile di procurato allarme per
falsa pandemia. Nel maggio 2009 l’istituto di Ginevra ha annunciato una
pandemia di influenza suina H1N1, per cui l’allora presidente Margaret Chan
aveva invitato le case farmaceutiche a produrre «nella migliore delle
ipotesi 4,9 miliardi di vaccini contro l’influenza all’anno». In realtà
non si è verificata alcuna pandemia di H1N1 e molti governi occidentali
si sono ritrovati con scorte inutilizzate di farmaci e vaccini contro il
virus, acquistati a un carissimo prezzo, con un giro d’affari delle
case farmaceutiche stimato dalla Jp Morgan tra i 5,8 e gli 8,3 miliardi
di euro.
A dir poco inadeguata è stata poi la gestione dell’emergenza Ebola,
in cui l’Oms ha dovuto ammettere, in un documento interno del 2014, di
aver commesso «sviste e sottovalutazioni», reagendo con grave ritardo
per arginare l’epidemia in Africa. Il prezzo è stato quello di migliaia
di vite umane in territori già martoriati da fame ed epidemie. Potremmo
indagare ancora oltre sulla scarsa trasparenza
e affidabilità dell’Oms, ma questo ci basta per porci una domanda
cruciale: possiamo consegnare non solo la tutela della nostra salute, ma addirittura l’ordine economico e democratico del nostro paese, come sta avvenendo oggi, a questo organismo?
(Ilaria Bifarini, “Oms, Organizzazione della Mala Sanità”, dal blog della Bifarini del 17 aprile 2020).
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