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Reddito universale? Il punto di partenza di Grillo è che, dato che
c’è la decrescita e non ci potrà essere la piena occupazione (anzi, ci
sarà la massima disoccupazione, a prescindere dal virus), bisogna dare
un reddito a tutti per sostenere l’economia.
Tutto ciò ovviamente si è aggravato con l’emergenza in corso. Qui, tra
me e Grillo, c’è una prima divergenza di fondo: più che di decrescita,
dell’industria o dell’agricoltura, bisogna parlare di un
risposizionamento (dell’industria, dell’agricoltura e dei servizi). Ma
dovranno crescere altre attività, ad esempio nel comparto dei beni e dei
servizi immateriali, che prenderanno il posto delle occupazioni
precedenti. Quando si sviluppò l’industria, si ridusse drasticamente
l’occupazione in agricoltura. Quando s’è sviluppato il post-industriale,
cioè i servizi, c’è stato un calo più o meno drastico degli addetti
all’industria. Poi, nella fase che nei miei libri ho definito
post-capitalistica, si ridimensionano tutti questi settori a reddito. E’
quindi necessario far crescere la risposta ai bisogni della società (in
questo sta il cambio del paradigma, rispetto alla ricerca di profitto)
perché comunque la società va avanti. Quindi, quando parliamo di reddito
universale, dobbiamo tener ben presente questa differenza: non stiamo
andando verso la decrescita, che per essere “felice” necessita di una
riduzione della popolazione che sia maggiore del calo della produzione,
sennò sarebbe ancora più infelice.
Per essere “felice”, la decrescita richiede di ridurre la popolazione
mondiale: è il vecchio progetto di alcuni ambienti estremistici
dell’ambientalismo, e di ambienti particolarmente retrivi della grande finanza (che sono poi quei due ambienti che qualcuno
sospetta che abbiano avviato e condizionato l’impresa di Grillo e
Casaleggio). A fianco di questo aspetto, che è cruciale, ve n’è però un
altro – che è il motivo per cui siamo entrati in questa crisi,
che poi è stata aggravata da quella sanitaria. E cioè: nella maggior
parte dei comparti produttivi, la redditività degli investimenti è
diventata negativa. Per capirlo dobbiamo osservare l’andamento del Pil:
nel caso italiano (e l’Italia è una delle potenze industriali del
pianeta) è stato significativamente vicino allo zero per parecchio
tempo, e fra l’altro sarebbe negativo il Pil pro capite, che è quello
più importante per la domanda: a fronte del Pil che non cresce, c’è la
popolazione residente che cresce. Continua ad aumentare l’occupazione, è
vero, anche se è precaria e sottopagata. Ma se noi da questa
occupazione e da questo Pil sottraiamo quel 20-30% che ancora fa reddito
positivo, con un fatturato decisamente superiore al costo (quindi,
stipendi buoni), tutto il resto è ancora più insostenibile. Quindi noi
dobbiamo affrontare questi due aspetti: da una parte il
ridimensionamento dei comparti produttivi dell’economia materiale, dall’altra la decrescente redditività degli investimenti.
Chi è il grande sconfitto, di questa situazione? E’ tutta la moneta a
debito: tutto ciò che è a debito non è sostenibile. Lo vedete: il Pil
non cresce, ma cresce il debito pubblico. Questo di per sé non è un
segnale di insostenibilità, perché comunque abbiamo un grande risparmio
privato, sia pure anch’esso in calo: titoli e depositi, in ogni caso,
rappresentano quasi il doppio del debito pubblico. Quindi il
sistema-Italia sta benissimo, paradossalmente; ma le sue prospettive non
sono sostenibili, se non si esce dall’economia
del debito. Perciò va benissimo parlare di reddito universale. Basta
che non sia sorretto da due fattori, che denuncio. E cioè: l’aumento del
debito, in particolare del debito pubblico, ovvero un aumento (o una
introduzione) di una forte tassa patrimoniale. Meglio l’emissione di una
moneta nazionale parallela, non convertibile in euro, fino al
raggiungimento della piena occupazione. Data la crisi
aggravata dal coronavirus, si può quindi pensare a un reddito
universale di 1000-1500 euro mensili pro capite, in più prestando
particolare attenzione, innanzitutto, ai comparti più colpiti dallo stop
imposto dall’emergenza.
Il turismo, ad esempio, ha perso l’annata: andrebbe immediatamente
istituito un “reddito di quarantena” per tutti quelli che hanno perso
completamente il reddito. E quindi turismo, ristorazione, palestre:
tutte attività che non riapriranno, quando cominceremo a tornare alla
vita normale.
Se però ci fosse un’interruzione definitiva – come paventato da Mario
Draghi – di tutto il sistema produttivo, allora l’immissione di moneta
non a debito rischierebbe di creare inflazione. Quindi dobbiamo
immetterla per evitare che l’economia,
l’industria e la produzione si blocchino: a quel punto servirà a
stimolare quelle risorse e quella capacità produttiva aggiuntiva che
l’Italia ha. Ma se in Italia, a causa di questa situazione (il perdurare
dell’emergenza e la chiusura nelle case di tutti quanti) si dovessero
bloccare tutte le attività produttive, bisognare considerare anche la
specificità della nostra struttura produttiva, che è basata su aziende
piccolissime, che poi a un certo punto chiudono: perché devono pagare
l’affitto, le bollette. Senza un aiuto consistente, io smetto di pagare
il mutuo, stacco le utenze, faccio presente ai collaboratori che è
finita. Poi, se arrivano risorse reddituali aggiuntive (perché lo Stato
immette) ma intanto l’attività è stata chiusa, che cosa ci si compra,
con quei soldi? Questo è il problema della moneta non a debito:
l’urgenza. Invece, se si usa solo moneta a debito, tutta dentro un
progetto finanziario, poi la devi ripagare, e quindi devi guadagnare di
più di quello che è il debito. E abbiamo visto che non è più possibile,
essendo finito il capitalismo (questo è il vero motivo per cui c’è la crisi).
E’ finito, il capitalismo, ma non abbiamo uno straccio di paradigma alternativo per far funzionare l’economia
mondiale. E allora, intanto che tutte le potenze mondiali si avvicinano
a questa constatazione, come si farà a gestire il sistema economico
mondiale? Bisogna trovare un altro paradigma, un altro sistema – in cui
ci sia anche la parte di profitto, ma chiaramente il grosso dovrà essere
retto da moneta non a debito. Ovvero, come spiego nei miei libri: retto
da credito bancario a tasso d’interesse negativo altissimo. Questo
consentirà alle banche di non subire perdite: si limiteranno a ridurre i
propri guadagni, registrando
un mancato arricchimento. Stato e banche però devono modificare la loro
contabilità, altrimenti non ce la si fa. Prima che la gente assalti i
supermercati, è urgente risolvere questi problemi. Serve agire in
fretta: l’agricoltura già denuncia la mancanza di manodopera, e le
coltivazioni trascurate poi non si recuperano rapidamente, i danni sono
catastrofici.
Se non si permette alla gente di tornare a lavorare, il comparto
agricolo rischia di scomparire. Se mancano consumatori sui mercati,
provvisti di soldi, addio. Trasponendo questo nella manifattura,
nell’industria e negli altri comparti, capiamo qual è la posta in gioco
adesso: o lo Stato interviene subito con moneta aggiuntiva non a debito,
a circolazione solo nazionale e compatibile con l’euro, oppure tra 4-5
mesi ci troveremo in una situazione talmente difficile, che solo
aumentando il debito con l’Europa potremmo cercare di far riprendere l’economia
(e ho qualche dubbio, che ci accada). Anche Draghi ha espresso questi
dubbi. Certo, la sua posizione è diversa: lui propone di mantenere la
moneta a debito, quindi la contabilità bancaria, perché deve nascondere
come si crea la moneta. Però, se Draghi arriva e fa questa operazione,
in vista della cancellazione del debito aggiuntivo (350 miliardi, da
considerare come “debito di guerra” destinato a cancellarsi), allora anche l’ipotesi-Draghi va presa seriamente in considerazione.
Beninteso, in Draghi non c’è nessuna “metamorfosi”: Draghi è uno dei massimi rappresentanti della finanza mondiale, quella che ci privatizzato e massacrato. Però non fa parte di quella finanza
mondiale legata all’estremismo ambientalista (e ad altri giri tipo
Rothschild) che vuole invece la riduzione della popolazione del pianeta.
In quel caso avrebbe detto: benissimo, se salta tutto per aria,
moriranno milioni di italiani. Sarebbe meglio, se l’Italia si riducesse a
20 milioni di abitanti? Questo lo pensano alcuni, ma non Draghi. In
lui, però, non c’è nessuna metamorfosi: sta solo applicando,
pedissequamente, i principi per i quali abbandonò a suo tempo la nostra
scuola post-keynesiana, passando al liberismo. Evidentemente vuole
mantenere la partita doppia
e la moneta a debito, per poi cancellarla: in questo modo non si
vedrebbe la creazione monetaria, che evidentemente è quello che gli
preme. Infatti, se tutti vedessimo che la moneta si può creare senza
costo, scenderemmo tutti in piazza a dire: ma scusate, se l’avete fatto
per salvare le banche, perché non lo potete fare per salvare le persone?
L’espressione “capitalismo inclusivo”, peraltro, è un ossimoro: è
come dire “liberismo solidaristico”. Quello che ha funzionato, in
passato, con molti limiti ma con grandi risultati, sono state le
economie miste, in cui c’erano elementi di capitalismo e di socialismo.
Probabilmente finiremo per orientarci in questo senso: un recupero della
solidarietà nell’economia, veicolato dalle grandi scelte strategiche e dal peso dello Stato, diretto e indiretto, nell’economia
stessa. Un assetto abbandonato formalmente, a livello mondiale, dopo il
G7 di Tokyo del 1979. Dopodiché abbiamo avuto un quarantennio di
liberismo, e adesso il liberismo non funziona più. L’economia mista, solidaristica, ha funzionato per quasi 40 anni dopo la Seconda Guerra
Mondiale; il suo abbandono ha coinciso con la fine dei partiti
liberali. Con il crollo del Muro di Berlino è finita la Dc, che era
anticomunista. E adesso, che siamo di fronte al crollo della
globalizzazione, immagino che i nazionalismi finiscano per entrare in crisi:
a vincere sarà il ritorno alla solidarietà, sia interna che
internazionale. Sarà un’alternativa sia al sovranismo miope, sia alla
mancanza di sovranità.
(Nino Galloni, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Reddito universale, Carlo Toto e Nino Galloni rispondono a Grillo“, su YouTube il 1° aprile 2020. Vicepresidente
del Movimento Roosevelt e prestigioso economista post-keynesiano,
Galloni – figlio del ministro democristiano Giovanni Galloni, già
vicepresidente del Csm – è stato a lungo dirigente del ministero del
lavoro. Come Draghi, Galloni è stato allievo del professor Federico
Caffè, insigne economista progressista).
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